DALLA SPAGNA A HOLLYWOOD, DA ALMODOVAR A UN INDIMENTICABILE ZORRO, FINO A UN CELEBRE SPOT ITALIANO: RITRATTO DI UNA VERA STAR.
Abituati all’energia che sprigiona tradizionalmente dai suoi celebri occhi scuri, o alla grinta che innerva i suoi personaggi più rocamboleschi, si fa poco caso alla vulnerabilità di Antonio Banderas. Fino a qualche tempo fa lo si sarebbe definito “un impunito”. Il fascino del divo spagnolo è fatto di strafottenza, provocazione e ironia, la sua bellezza di tratti forti e al tempo stesso morbidi, rudezze virili e flessuosità rilassate. Una combinazione di elementi solo apparentemente contrapposti che hanno giocato un ruolo decisivo ai fini di una carriera praticamente divisa in due: quella in patria, la Spagna, fino alla fine degli anni ‘80, e quella internazionale, che dura da ormai 25 anni, affrontata con caparbia ambizione e dinamico opportunismo anche grazie alla rovente love story con Melanie Griffith,
un amore (vero) che sfocerà in un lungo matrimonio e nel recente divorzio. Antonio Banderas ha oggi 54 anni, ma nemmeno la maturità e le vicissitudini sentimenali hanno scalfito l’allegria impertinente e quell’antica disponibilità non solo ad affrontare ruoli rischiosi (la chiave del suo successo, in fondo), ma anche a governare i rapporti, non sempre facili, con la stampa e le ferree regole dello show business. «Non mi sono mai nascosto», confessa con onestà. «Ho imparato presto a gestire gli effetti della popolarità, anche quelli meno piacevoli. Non presto molta attenzione a quello che si scrive su di me. Non sono quel tipo di attore che la mattina si sveglia e guarda cosa dicono di lui sui social. Diventerei
pazzo se fosse così. Nella mia vita ci sono stati certamente eventi che mi hanno segnato, che hanno fatto da spartiacque. Il divorzio da Melanie Griffith, ad esempio, mi ha fatto capire che un capitolo della mia vita si stava chiudendo. Ma non ho mai evitato i giornalisti o combattuto con rabbia la pressione dei media, nemmeno quando c’erano dei problemi nel mio matrimonio e sentivo il bisogno di proteggere me e la mia ex moglie da ciò che stava accadendo. La satira di Maurizio Crozza sullo spot con la gallina? Certo, l’ho vista, mi ha divertito molto. Se qualcuno fa della satira su di te vuol dire che sei molto popolare, per strada mi chiedono: “Antonio, come sta la gallina? Come va al mulino?” Sarebbe assai sciocco prendersela». Anche il buon carattere ha avuto la sua importanza nel proiettare una stella andalusa nel firmamento globale delle celebrità. Da Malaga a Hollywood partendo da una vocazione precoce: il Bell’Antonio sapeva fin da piccolo cosa voleva fare nella vita. Nato e cresciuto nella Spagna di Francisco Franco, sempre desideroso di riuscire gradito agli altri quanto determinato a diventare qualcuno, Banderas prova inizialmente a fare il calciatore. Un’ambizione che svanisce presto a causa di una serissima frattura al piede, anche se la passione per il calcio non l’ha più abbandonato. Il cinema e la recitazione sono raggi di luce che illuminano l’oppressiva e bigotta atmosfera della Spagna franchista. Girovagare sui palcoscenici degli assolati e polverosi paeselli andalusi significa ridere, cantare, ballare e sentirsi finalmente liberi. Morto il dittatore, esplode la movida madrilena, con il suo carico ribollente di euforia, creatività, divertimento e trasgressione. Il salto nella capitale diventa una tappa obbligata. E’ l’incontro con Pedro Almodovar, all’epoca giovane regista dallo stile radicale e anticonvenzionale, a rappresentare il vero colpo di fortuna per Banderas e la sua carriera d’attore. E’ tempo di forgiare un nuovo cinema iberico, esplorare nuove forme di espressione cinematografica, ridare smalto alla cultura di Spagna. E anche se in quegli anni scatenati l’attore lavora pure con altri registi (Josè Luis Sanchez, Lluis Josep Cameros), è Pedro Almodovar il suo vero pigmalione. Ed è solo con il successo internazionale di “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” che Banderas diventa una star, riuscendo finalmente ad attirare l’attenzione del pubblico di tutto il mondo. «Non ho mai dimenticato le mie radici europee e latine» ha dichiarato la star nell’incontro con la stampa all’Ischia Global Fest. «Ho passato 25 anni a Hollywood, e anche se oggi vivo tra Londra e New York, conservo la mia anima latina». Ma prima di volare oltreoceano, la rottura con il sulfureo maestro spagnolo. Un sodalizio che si chiude nel 1990 con “Legami!”, in cui ancora una volta, nel ruolo di un galeotto psicopatico innamorato di una stella del porno, Banderas conferma la sua scaltra predilezione per ruoli controversi e difficili. Con Almodovar tornerà a lavorare, ma dovranno passare vent’anni.
«Quando sono arrivato negli Stati Uniti mi dicevano: vedrai, farai solo ruoli da cattivo. Qualche anno dopo avevo il mantello nero e la spada, ero un buono che combatteva contro un cattivo biondo e dagli occhi azzurri. Zorro ha cambiato la percezione della comunità latina negli Usa. Anche doppiare il Gatto con gli stivali è stato importante, i bambini hanno distrutto tutti gli stereotipi sui latini accettando che un eroe positivo delle fiabe avesse un marcato accento spagnolo. Ci sono molti attori e cineasti che, in questa direzione, hanno lavorato più e meglio di me: Javier Bardem, Penelope Cruz, i registi messicani Alfonso Cuaron e Alejandro Gonzales Inarritu. E’ la società, profondamente mutata dall’immigrazione, ad aver spinto il cinema a riflettere su una nuova realtà».
Prima di arrivare alla consacrazione in un mercato ostico e brutale come quello statunitense, piccoli ruoli in film che lasciano il segno: musicista guascone in “The Mambo Kings”; omosessuale innamorato di Tom Hanks in “Philadelphia”; Nosferatu bisex e seduttore in “Intervista col vampiro”, killer prezzolato nell’action thriller “Assassins”. Riesce perfino a non farsi divorare dal cannibalismo mediatico di Madonna nel biopic “Evita”, in cui è un giovane fascinoso Che Guevara. Ma è grazie al pistolero El Mariachi, nel “Desperado” di Robert Rodriguez, che l’ex attore preferito di Almodovar conquista il suo primo ruolo d protagonista nella giungla yankee di Hollywood e diventa la nuova stella nascente, tutta latina, del cinema americano mainstream.
Da allora, Antonio Banderas ha camminato con abilità e leggerezza sui confini dei codici linguistici correnti senza mai sprofondare, tenendosi in equilibrio tra stile personale e standard hollywoodiani. Cimentandosi pure con la regia di “Pazzi in Alabama”, ritratto dell’America sudista, con la sua mentalità ottusa e provinciale, interpretato da una Melanie Griffith in stato di grazia. Oggi, una nuova compagna e il ritorno in Europa, il seduttore latino che ha sempre detestato l’immagine da latin-lover, non ha perso di vista il set e la magia del cinema. In cantiere, diversi progetti: un film su Pablo Picasso e i 33 giorni per dipingere “Guernica”, uno dei dipinti più celebri del XX secolo; un action movie con Bill Murray e un biopic su Gianni Versace diretto dal premio Oscar Bille August. A breve, lo vedremo nelle sale con “The 33” di Patricia Riggen, basato sul libro “La montagna del tuono e del dolore “ del premio Pulitzer Hector Tobar, nel quale si ricostruisce ciò che realmente accadde durante l’incidente nella miniera
di rame di San José in Cile, in cui 33 minatori rimasero intrappolati a settecento metri di profondità per 69 terribili giorni.
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Text: Gianluca Castagna | Photo: Andrea Franco Alajmo, Raffaella Barbieri, Dayana Chiocca