Text_ Riccardo Sepe Visconti Photo_ Icity
Io ho 56 anni, lui (solo) 54, al momento di morire. Ammetterete che la cosa mi impressiona. Per l’età, per l’energia del personaggio, per la bellezza intima di quella vita. Sto parlando di Antonio Vinciguerra. Poliziotto. Sì, uno di quelli che per mestiere “rompe”, a lui tocca proteggerci e… proteggerci comporta grandi, grandissime “rotture” (nostre e sue). Ma Antonio il suo mestiere lo ha fatto con precisione, con discrezione, con onestà e soprattutto con spirito di grande abnegazione. Sì, un’abnegazione un po’ demodé… qualcosa del tipo che “oggi non va di moda”… Perché il Vicequestore Antonio Vinciguerra crede (scelgo di parlare al presente!) in un’idea (o, se preferite, in un’ideale) che oggi, al netto di borborigmi sovranisti, non è più molto in spolvero: sto parlando dell’Italia. Antonio Vinciguerra l’idea d’Italia non l’aveva impiantata nell’educazione, e neppure nel senso del dovere… vi sorprenderò ma sono convinto che Antonio non l’avesse neppure impiantata nel cuore (come tutti vi aspettereste che dicessi), no! Antonio quell’idea ce l’aveva nella pancia, nelle viscere, nella sua digestione. Di fatti e misfatti quotidiani. Perché… questo è un poliziotto. Uno di quelli seri. Ed Antonio era serio, molto serio. Fino a sacrificare la sua carriera per il “senso del giusto”! Io c’ero. Io l’ho visto! Io ho assistito al suo trasferimento, alla sua mortificazione, alle ingiuste punizioni… Perché si era permesso di indagare. Opps! Scusatelo: era un poliziotto; lo Stato lo paga (esattamente) per questo. Avercene poliziotti come lui… Dopo la sua morte ho letto commenti che alludevano al suo sorriso… e non mi ci ritrovo! Io, personalmente, non l’ho mai visto sorridere, almeno mai nel senso pieno del significato autentico di questa parola. Antonio alzava le labbra, stiracchiava i muscoli della faccia, stringeva a fessura gli occhi e mostrava i denti… ma questo non era un sorriso. Non poteva essere. Questa era una mimica di tregua, di resa temporanea alla severità per la realtà che ci circonda. Che un poliziotto vede. Vede sempre.
Foscolo, che non era uno sciocco e neppure un pensatore evanescente, nei suoi Sepolcri ci insegna quanto sia importante recarci presso i sepolcri dei grandi uomini… perché “a egregie cose il forte animo accendono, l’urne dei forti”. Già, lui è stato forte, lo è tutt’ora, credetemi anche da morto. Perché per quanti di noi desiderano volgersi al suo esempio, anche se oggi Antonio è polvere, nell’esempio è acciaio! È un uomo giusto, un uomo forte, un uomo che ha servito lo Stato, uno di quelli (e non sono affatto pochi) che crede nell’Italia. Grazie, amico mio sbirro, grazie di tutto.