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Architecture- LA CASA DELL’ARTE

n.13/2007

Photo: Famiglia Colucci
Text: Silvia Buchner

 

Una famiglia che ha vissuto fra due secoli, l’Ottocento e il Novecento, percorrendoli entrambi con intensità e passione per l’arte e la bellezza – che fosse incarnata in un mobile di pregio o in una casa molto amata, in una donna o in un’azione sentita come eroica – e con lo spirito di trarne sempre quanto c’era di forte, emozionante, interessante. Questa è l’immagine che emerge dei fratelli Colucci, in particolare Vincenzo ed Edoardo Maria, nel racconto denso di ricordi puntuali e tanta commozione che ha fatto per noi Anna Colucci. Esistenze senza dubbio fuori del comune rivivono attraverso i tantissimi quadri, opera dei due Colucci ma anche dei tanti amici artisti che li frequentavano, per esempio Luigi Crisconio, e poi nelle fotografie e cimeli raccolti nella piccola casa della signora Anna alle porte di Ischia Ponte, catturando l’ascoltatore per portarlo in una dimensione altra dalla quotidianità, pur nella consapevolezza che per loro quella vita straordinaria era la quotidianità.
Era una famiglia numerosa quella di Giuseppe Colucci, napoletano, decoratore del teatro San Carlo, poi proprietario di una bottega di colorista a Ischia, e di Carmela Di Meglio, ischitana. Fra la fine dell’ ‘800 e gli anni Venti nacquero infatti Angelo, Vincenzo, Giulia, Edoardo Maria, Antonio ed Anna. Ben tre di loro si dedicarono all’arte: Anna divenne pianista ed è poi stata un’amata insegnante di musica, e a tal proposito ci ha raccontato un piccolo episodio. Era il 1954 e Buitoni, industriale dei biscotti, ospite del Regina Isabella, desiderava un pianoforte per essere accompagnato nel canto e allora non era per nulla facile trovare uno strumento così a Ischia. Ma naturalmente in casa Colucci c’era e Buitoni si recò lì più volte per poter cantare, divenendo amico della signora Anna.
I suoi due fratelli più grandi furono apprezzati pittori. In primo luogo Vincenzo, che adolescente andò a Napoli per studiare con Giuseppe Casciaro, il più importante paesaggista napoletano della seconda metà dell’800: le famiglie erano molto amiche ed Anna conserva una bellissima foto d’epoca in cui Casciaro, le sue figlie Carolina e Giovanna e un giovanissimo Vincenzo sono ritratti intenti a dipingere proprio presso gli scogli di punta Molino, che come vedremo ebbero sempre un posto speciale nel cuore dei Colucci.
Ma Vincenzo era smanioso di girare, di conoscere e prestò lasciò il Maestro e Napoli; e ci furono Roma, dove ormai affermato ebbe due studi a via Margutta, la strada dei pittori, la Toscana, Venezia, molto amata e ritratta in maniera per nulla oleografica, la Costa Azzurra, Parigi, Ginevra, Londra, Bruxelles, come pure l’Africa e l’India. Colucci fu soprattutto pittore di paesaggi e tutti questi luoghi, infatti, rimasero impressi sulle sue tele, ma in special modo i paesaggi dell’infanzia, quelli ischitani, riempiono i quadri, con scorci di grande intensità di un’isola d’Ischia inevitabilmente perduta, come quello con la chiesa di Barano, o una strada del centro di Ischia o il Castello Aragonese con il borgo ai suoi piedi. Vincenzo dipinse anche autoritratti assai vigorosi, grandi vasi colmi di fiori e nature morte, e a questo proposito la signora Anna ricorda che una volta egli, nel giorno di S. Antonio, onomastico del fratello, venne a pranzo e davanti alla tavola già imbandita disse: “Ho portato la zuppa di pesce”, vale a dire la parte del pescato necessaria a preparare questo tipico piatto locale. Naturale lo sgomento delle donne che avevano cucinato a lungo per la ricorrenza, finché, aperto l’involto, apparve un quadro al centro del quale troneggiava un bellissimo scorfano…
Edoardo si dedicò anch’egli ai paesaggi, con uno stile diverso, usando colori molto intensi, netti, cieli tersi, ritrasse Ischia ma pure Procida, la Puglia, i Campi Flegrei. I due Colucci sembrano avere molto in comune, nelle vecchie foto appaiono giovani e belli, quasi coetanei e insieme, nel settembre 1919, parteciparono come legionari all’impresa di Fiume ideata da Gabriele D’Annunzio. Nel salotto di Anna c’è uno scritto autografo di D’Annunzio in cui si legge “La città del consumato amore coronata di spine arde sul mondo. Fiume 21 marzo 1920” e i fratelli furono tra quelli che, nel 1938, portarono la bara del Vate durante i funerali. E per loro il legame con quell’azione e quell’epoca gloriosa rimase sempre forte, tanto che amavano tenere le insegne fiumane esposte presso le loro case.
Vincenzo ed Edoardo oggi sarebbero definiti dandy, amavano, infatti, vestire bene e Vincenzo portava l’orologio con il cinturino in oro quando in pochi lo facevano, per lo meno ad Ischia; andavano pazzi per le donne, tuttavia mentre Edoardo molto amò e fu riamato ma non si sposò mai, Vincenzo a metà degli anni ’30 si unì ad Aurelia, detta Lelli, Maestripieri, toscana. Una donna bellissima, indipendente, forte, ma poiché in realtà lo erano entrambi il matrimonio non funzionò, anche se rimasero sposati fino alla morte di lui, nel 1970. Fu proprio grazie all’intraprendenza di lei che, nel 1938, Colucci espose a NewYork, dove andarono viaggiando sul Rex.
Ischia rimase sempre la patria di elezione dei Colucci, oltre che il posto in cui erano nati. Scelsero a luogo del cuore quel tratto di costa di appena qualche chilometro che va dal Porto a Ischia Ponte: la casa di famiglia era al centro del borgo di Ponte, e dal suo terrazzo Vincenzo dipinse nel 1928 in un grande quadro la festa del patrono San Giovangiuseppe della Croce; Edoardo per tutta la vita predilesse la zona di punta Molino, dove abitò per anni. In estate per qualche tempo affittò la casa principale a Luchino Visconti (e Anna ricorda la sorella del regista che andava in giro con un pappagallo sulla spalla), che ancora non aveva acquistato la Colombaia, a Zaro, per ritirarsi in una piccola abitazione vicina, e l’amico Roberto Murolo dedicò una poesia proprio a lui e alla sua casetta amatissima, che ritorna anche in molti quadri.
Angelo gestiva uno dei bagni più importanti di Ischia, con 60 cabine, che battezzò il Lido, a poca distanza da punta Molino, quando lì la spiaggia era così larga che veniva chiamata ‘la spiaggia grande’. Oggi quella piattaforma esiste ancora e, anche se un po’ modificata, e ospita il prestigioso ristorante “Alberto a mare”. Angelo aveva clienti importanti e un giorno il celebre sarto Schubert gli chiese di custodire in cassaforte gli anelli che era solito indossare. Egli, che naturalmente non possedeva un tale oggetto nel suo stabilimento, dopo aver preso in consegna i preziosi e rassicurato il ricco cliente sull’inespugnabilità del suo forziere, li ripose in una scatola di colori vuota!
Vincenzo invece costruì il suo buen retiro, Il Villaggetto, affacciato proprio sul porto, alla riva sinistra: amava la luce e non volle persiane, solo grandi finestre, oscurate da tende gialle, che riprendevano il suo colore preferito, che era anche fra quelli delle insegne fiumane. Quando si girò “Il pirata dell’isola verde”, uno dei tanti film ambientati a Ischia dalla Cineriz di Angelo Rizzoli, il protagonista Burt Lancaster abitò proprio al Villaggetto.
Tutti i fratelli Colucci ebbero, infatti, amici famosi, fra loro in particolare Peppino ed Eduardo De Filippo, tanto che quest’ultimo parlando della piccola Anna, che aveva oltre 20 anni meno dei fratelli pittori, la definì “l’arrevonatura d’a martura”, volendo dire che era venuta fuori come la pagnotta che si fa mettendo insieme tutte le briciole che restano sulla madia dopo aver impastato il pane.
La sorella Giulia, l’unica che ebbe figli, si sposò a Roma, con Antonio Petti, e il primo, assai amato nipote è Sandro Petti, che senza dubbio colse dai geni familiari l’inclinazione per l’arte e la bellezza, e anche il gusto per la bella vita. Sandro Petti, infatti, è stato uno degli architetti che ha plasmato Ischia nel dopoguerra, quando l’isola impetuosamente salì alla ribalta del turismo internazionale e Petti firmò alberghi e ville con uno stile che ha segnato un’epoca. E non è certo casuale che abbia voluto tende gialle sul terrazzo della sua bella casa alla Riva Destra, esattamente di fronte al piccolo regno di Vincenzo Colucci.

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