16/2007
Photo: Redazione Ischiacity
Text: Raffaella Di Meglio
Inconfondibili sono le sue Madonne, dal volto arrotondato e delicato, dall’espressione tenera e lievemente malinconica, avvolte in ampi e ariosi panneggi.
Alfonso Di Spigna (Lacco Ameno 1697 – 1785), primo attore incontrastato della pittura ischitana del Settecento, è una figura per molti versi inaspettata nel panorama artistico locale: colto, attivo, molto ricercato e ben pagato sull’isola, dove operò a partire dagli anni ’40-’50 fino ad età molto avanzata. Sue tele sono conservate nelle chiese di diversi comuni isolani, ma le più numerose si trovano a Forio. Qui ha lasciato anche le poche opere firmate, nonché un insolito omaggio al territorio foriano. In una delle prime opere commissionategli al suo ritorno da Genova, Gloria della Vergine con S. Vito e S. Caterina d’Alessandria (1745), che giganteggia (è la più grande tra le tele conservate nelle chiese dell’isola) nell’abside della cattedrale di San Vito, in basso a sinistra compare infatti una realistica veduta della Forio settecentesca, un paesaggio costiero in miniatura, in cui si distinguono le case del nucleo abitato del lungomare, le tipiche torri difensive, prima fra tutte l’inconfondibile sagoma del Torrione, e la cupola di San Gaetano.
Forio, dunque, XVIII secolo: una congiuntura davvero favorevole per un artista.
Il Settecento fu anche ad Ischia, e in particolare a Forio, un secolo di fermenti e di contrasti, di trasformazioni e di rinnovamenti, indubbiamente il momento più intenso, vivace e fervido in ambito artistico. Una vera e propria rinascita, che trasformò il paese in una sorta di grande cantiere. L’isola stava oramai per lasciarsi definitivamente alle spalle l’incubo degli attacchi pirateschi, che per secoli avevano tormentato soprattutto Forio, e del malgoverno spagnolo. Si intensificarono i contatti con la terraferma, la popolazione ricominciò a crescere. Emerse così una committenza ricca, colta e aggiornata, desiderosa di rendere visibile il proprio prestigio sociale ed il proprio potere economico. Università, ordini religiosi, singoli personaggi facoltosi appartenenti alla nobiltà o al clero fecero quasi a gara nell’edificare nuovi palazzi (Palazzo Covatta, il Palazzetto, Palazzo Morgera), nell’ampliare ed impreziosire le chiese già esistenti, come accadde a quelle di Santa Maria di Loreto e di San Vito, o nel costruirne di nuove, come la Cappella Regine, un vero e proprio gioiello barocco, purtroppo perduto.
Prestigiose maestranze napoletane cominciarono a vivacizzare la scena artistica locale. Ne sono un’eloquente testimonianza gli stucchi lasciati da Francesco Starace nella chiesa dell’Arciconfraternita di Visitapoveri, che custodisce anche uno stupendo pavimento maiolicato attribuibile alla rinomata fabbrica dei fratelli Chiaiese. Nel fermento artistico foriano furono coinvolti altri celebri artisti attivi sulla terraferma, come lo scultore Giuseppe Sanmartino (autore del Cristo velato della Cappella Sansevero a Napoli), che disegnò la statua in argento di S. Vito conservata nella cattedrale omonima e l’architetto Ferdinando Fuga, al quale fu affidato il progetto di ristrutturazione della chiesa di S. Sebastiano alle Pezze, oggi non più esistente.
Non sfigura in questo contesto l’opera di Di Spigna. La cultura figurativa assorbita durante i soggiorni a Genova e a Napoli (nella chiesa dell’Ascensione a Chiaia nel capoluogo campano ha lasciato alcune opere eseguite nel 1740-41) distingue i suoi lavori, pur sempre limitati ad un ambito chiesastico e ad un repertorio iconografico devozionale inevitabilmente ripetitivo, da quelli attardati degli altri artisti locali e smorza quella cifra manieristica tipica ad esempio della produzione dell’altro grande pittore indigeno, il foriano Cesare Calise, il quale operò nel Seicento restando del tutto indifferente alla rivoluzionaria lezione del Caravaggio. I richiami all’ambiente artistico genovese (Baciccio, Bernardo Strozzi, Giovanni Andrea Ansaldo, Domenico Piola, Francesco Trevisan), messi in luce dallo studioso Alparone, si affiancano agli influssi di Francesco Solimena e dei più noti condiscepoli Francesco de Mura e Sebastiano Conca, riconoscibili nella composizione, nel cromatismo, nella luminosità di molte sue opere.
Un pittore poco drammatico Di Spigna, forse per indole, forse per necessità. Alle scene forti, alle espressioni tragiche, ai toni cupi preferisce scene calme e rassicuranti, volti sereni e languidi, gesti pacati e composti. Controllati e moderati sono anche gli unici soggetti drammatici noti: la Decollazione del Battista (1775-1780) nella chiesa dell’Arciconfraternita di Visitapoveri, il Compianto sul Cristo morto (1740-1760) nella sacrestia della Basilica di S. Vito e S. Michele abbatte Lucifero (1740-1760) collocato sull’altare maggiore della Chiesa di S. Michele Arcangelo (le ultime due tele sono attribuzioni).
Indiscussa protagonista delle sue opere è la Vergine: vi compare ora soave e leggera, in piedi o seduta su soffici nubi, accompagnata da putti e santi, ora sorpresa dall’apparizione dell’Arcangelo Gabriele, ora madre consapevole che mostra orgogliosa il figlio appena nato. Queste ultime sono solo due delle scene della vita della Vergine, alla quale Di Spigna ha dedicato due cicli di dipinti: uno (1750-1799) realizzato per la Basilica di S. Maria di Loreto (Annunciazione, Visitazione, Purificazione, Adorazione dei pastori), dove sono conservate altre bellissime tele mariane risalenti agli anni ’50 (Nascita della Vergine, Presentazione al tempio, Riposo dalla fuga in Egitto); l’altro (1775-1780) per la congrega di Visitapoveri. Questa piccola chiesa (XVI-XVII sec.) dall’originale doppia facciata, situata nella piazza del Municipio, è il luogo ideale per avvicinarsi all’arte di Di Spigna. Le pareti interne sono interamente adorne di sue tele, così da essere una vera e propria mostra permanente personale. Realizzate dall’artista ultrasettantenne, esse rappresentano anche una sorta di testamento artistico, che non a caso il pittore, iscritto dall’età di cinquant’anni alla Confraternita, ha lasciato qui. Attraverso i sei ovali esposti lungo le pareti dell’unica navata il visitatore ripercorre gli episodi salienti della vita della Vergine (Annunciazione, Visitazione, Nozze mistiche, Adorazione dei pastori, Immacolata, Assunzione) e impara a riconoscere i tratti distintivi dello stile del pittore lacchese: l’andamento circolare della composizione, la morbida fisionomia dei personaggi, la figura aggraziata della Madonna, il panneggio delle vesti.
Nelle tele di Visitapoveri Di Spigna riprende soggetti già affrontati in passato. Una più ombrosa Adorazione dei pastori, una delle poche tele firmate, ispirata all’Adorazione di Solimena della chiesa di S. Maria Donnalbina a Napoli, l’aveva dipinta circa trent’anni prima per la chiesa di S. Michele Arcangelo; un’Annunciazione figura anche nella serie di S. Maria di Loreto. Dal confronto con le opere precedenti emerge come Di Spigna si sia allontanato gradualmente dai modelli del maestro Solimena fino a maturare negli ultimi anni un suo personale linguaggio, che privilegia scene meno affollate e più statiche, più “classiche” e rigorose, colori più delicati e luminosi. L’angelo nel dipinto di Visitapoveri ha lo stesso mantello rosso, ma, mentre nell’Annunciazione di Loreto, ambientata in esterno, è figura più dinamica e barocca, quasi un pezzo virtuosistico, mentre plana con le vesti agitate dal vento tenendo delicatamente il giglio tra le dita della mano destra, qui è ormai saldamente atterrato, il panneggio si è fatto più pesante, il giglio è già nel vaso sul tavolino, i gesti sono più fermi e precisi, il dialogo con la Vergine, meno intimorita, è già iniziato. E il dialogo tra i personaggi è affidato alle espressioni dei volti, ai gesti, mai enfatici, e soprattutto alle mani, eloquenti in questo ed in altri ovali, quali la Visitazione e le Nozze mistiche.
Alfonso Di Spigna è una delle singolari sorprese di una storia artistica, foriana e ischitana in generale, pressoché misconosciuta, esplorata finora solo da studiosi locali, che attende ancora di essere adeguatamente studiata e valorizzata.