Friday, November 22, 2024

Art- ANTONIO MACRI’: LA MIA ISOLA DEI MORTI

34/2012

Photo: Romolo Tavani
Text: Serena Pacera

 

Una chiesetta bianca si materializza ai piedi del Castello, dapprima evanescente – sembra quasi volersi confondere con lo sfondo, integrarsi nell’architettura dell’isolotto – poi delimitata da tratti sempre più decisi, si stacca dal paesaggio, si sposta alle pendici della collina di Cartaromana e si rende riconoscibile, agli occhi dello spettatore, come il piccolo edificio dedicato a Sant’Anna. Questa la tela realizzata dal pittore Antonio Macrì ispirandosi all’Isola dei morti di Böcklin e adoperando la tecnica a matita, che gli è sempre stata cara e ha riscoperto nell’ultimo periodo. La grafite si deposita sulla tela come un velo lievissimo, come se la scena emergesse dalla foschia del mattino, non ci sono chiaroscuri decisi, il tratto torna ad essere trasparente. Ma se il pittore svizzero nel suo celebre quadro inserisce la figura velata in piedi sulla leggera imbarcazione che si dirige verso l’isola, Macrì richiama questo elemento, in chiave diversa: per la sua personale “isola dei morti” solo un piccolo guscio di noce, simile a quelli dei pescatori della Mandra, che si muove verso la chiesa, scivolando su un mare fermo che è una lastra di alabastro. Una rappresentazione del trapasso meno sinistra e più vicina alla cultura ischitana, un viaggio placido verso una destinazione, quella della chiesetta di Sant’Anna, che non potrebbe essere più appropriata, considerando che sorge su un antico cimitero. Un luogo di culto consacrato alla protettrice delle partorienti, S. Anna appunto, ubicato in un terreno dedicato ai defunti: la vita e la morte si uniscono e si completano, così come accade in natura, formando un ciclo per cui l’isola dei morti – vista con gli occhi di Macrì – diventa, ad un livello più profondo, speranza di vita e rinascita.

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