Thursday, November 21, 2024

30/2011

Photo: Enzo Rando
Text: Assunta Buono

 

LA MOSTRA La 54° Esposizione Internazionale d’arte della Biennale di Venezia che si aprirà quest’anno, dal 4 giugno al 27 novembre all’Arsenale pone i riflettori, in via del tutto speciale, sull’Italia che festeggia i suoi 150 anni di storia, trasformando l’intero territorio nazionale in un “salone espositivo diffuso”. Per Ischia rappresenta un evento di grande rilevanza in quanto, per la prima volta, l’isola si proietta all’attenzione internazionale non per le proprie risorse paesaggistiche e naturali, ma per le incredibili e raffinate qualità artistiche sbocciate al suo interno. Tra gli artisti partecipanti alla Biennale, infatti, ci sarà uno scultore ischitano cresciuto “a pane e arte”, sin dall’infanzia, in una già nota famiglia d’artisti: Giovanni De Angelis. L’esposizione, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – tramite la Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee – d’intesa con la Biennale di Venezia, sarà caratterizzata da profonde innovazioni. La Biennale diretta da Vittorio Sgarbi, avrà come “leit motiv” del Padiglione Italia: “L’Arte non è cosa nostra”. Emblematicamente, infatti, in via del tutto eccezionale, all’interno dell’Arsenale di Venezia troverà posto anche il Museo della Mafia, portato per l’occasione da Salemi, il comune siciliano di cui lo stesso Sgarbi è Sindaco. Un tema così provocatorio, lanciato per questa 54° esposizione d’arte, è stato poi esplicitamente illustrato nel testo che Sgarbi ha divulgato attraverso il MIBAC con il quale afferma con forza:“Perché dovremmo affidarci ai “curatori” o, come si vogliono con civetteria chiamare, “curatori indipendenti”? Perché ci indichino i loro protetti, ci portino nella loro infermeria dove “curano” i loro pazienti e malati? L’arte è diventata come un ospedale, al quale hanno accesso solo i medici e i parenti dei malati. (…)”. E’ stata quindi effettuata una vera e propria mappatura degli artisti italiani, attivi nell’ultimo decennio, grazie al prezioso lavoro svolto da intellettuali di riconosciuto prestigio internazionale, senza che comparissero nel novero i critici d’arte. Operazione, questa, che ha condotto a risultati sorprendenti come affermano gli stessi addetti ai lavori: “Sono state selezionate ben 200 grandi personalità di riconosciuto prestigio internazionale a cui è stato chiesto di indicare un artista che abbia avuto una rilevanza nel primo decennio di questo millennio, dal 2001 al 2011. Una rappresentazione caleidoscopica che non si limita alle scelte dei critici e non segue le tendenze delle gallerie, ma alimenta lo straordinario connubio tra arte, letteratura, filosofia”. Il Comitato degli Intellettuali sarà presieduto dal Prof. Emmanuele F.M. Emanuele, personalità di spicco nel panorama culturale italiano. Il Padiglione Italia avrà una struttura eccezionale con un esercito imponente composto da artisti che esporranno presso gli Istituti Italiani di Cultura all’Estero, da 200 artisti che esporranno all’Arsenale di Venezia e da 1000 artisti selezionati per le esposizioni locali. Ogni sede regionale sarà, quindi, Padiglione Italia. In tal modo si consentirà l’esposizione delle opere di circa mille artisti nazionali. Una fitta rete di collaborazione tra i Capoluoghi di Regione, gli Assessorati alla Cultura, i Direttori di Musei e, non ultima, la significativa rappresentanza delle venti Accademie di Belle Arti d’Italia che permetterà non solo la realizzazione di eventi volti alla promozione e alla didattica ma la creazione di un vero e proprio inventario di pittori, scultori, fotografi, ceramisti, designer, video artisti, grafici. Del resto l’esposizione celebrativa del 150° dell’Unità d’Italia, non poteva esimersi dal “documentare lo stato dell’arte contemporanea italiana” ponendo in risalto la diade artista/territorio. La Sede scelta per la Campania della Biennale sarà il Museo Pan di Napoli in via dei Mille, dove esporranno ben 21 artisti provenienti da ogni parte della Regione per una Biennale d’arte assolutamente senza precedenti. GIOVANNI DE ANGELIS: UN ISCHITANO ALLA BIENNALE D’ARTE di VENEZIA Maestro De Angelis, l’invito a partecipare ad un evento così importante per l’arte italiana ed internazionale, quale è la Biennale di Venezia, dedicata alla celebrazione del 150° dell’Unità, dove ogni artista è per la prima volta “profeta in patria”, che valore assume per lei ? Il riconoscimento e la sensazione di appartenere ad un gruppo di artisti considerati dagli addetti ai lavori sprona e conforta per quanto compiuto in quasi settant’anni di attività, un riconoscimento concreto agli incredibili sforzi della propria ricerca creativa. E’ anche l’appagamento del ‘narciso’ che c’è, inevitabilmente, in ogni artista. Fa sentire scherzosamente cosparso di un “frullato” di alloro, un concentrato di celebrazione… Se dovesse giudicare da critico d’arte, dando una definizione del suo “modus agendi” scultoreo, come lo descriverebbe? Quando qualcuno mi chiede del mio modo di occupare il tempo, un flusso di gioiose energie attraversa tutta la mia persona, felice di poter fare lo scultore. Questa parola è per me colma di seduzione: scolpire, colpire per togliere, formare togliendo, appaga in me una evidente intima aspirazione. Considero le mie opere come una trasfigurazione tra realtà e pura invenzione formale, con agganci riconducibili allo studio e all’assorbimento della realtà stessa. Inseguo il respiro libero e sciolto dei “vuoti” e dei “pieni”, il loro rincorrersi continuo e fluido ed il loro rapporto: è in questo rapporto che a me sembra di cogliere il germe segreto delle leggi che governano il cosmo. Credo che la “stilizzazione” di un’immagine è il rifugio di chi si ferma ad una soluzione decorativa, che preferisce il godimento visivo di un andamento formale, il quale si origina da una predominante cultura di gusto più attento al piacevole, allo sguardo di superficie, incapace però di penetrare il senso più intimo e autentico delle cose. Anche nel fluttuare di un drappo nel vento può ritrovarsi l’ordine casuale e segreto che governa i nostri gesti. Quali sono le sue fonti di ispirazione, cos’è che dà l’input creativo per la creazione di opere con una personalità intrinseca così sconvolgente? Le forme che io inseguo sono ispirate dalla suggestione derivata dall’osservare la materia vulcanica attraverso l’erosione degli eventi naturali. In questo senso, le mie forme sono in parte realistiche e in parte scompaiono nella sublimazione formale derivata dall’operare degli eventi naturali, come l’erosione attraverso la salsedine, che scava le parti più morbide di un materiale, il sole, il vento, l’acqua. Le sue figure sembrano fare capolino dalla materia grezza, spesso e volentieri, tanto da lasciare intravedere all’osservatore un senso fortemente ludico di una materia “posseduta”, una materia con una vera e propria “anima”. E’ la dimensione del gioco tra sogno e realtà, tra presenza e parvenza, tra reale e immaginario definito e indefinito che anima la ricerca di una forma che non lascia trapelare il travaglio della sua esecuzione, ma insegue ostinatamente quel senso dell’ “Eterno”, quel Bello che è specchio del divino. In questo lavoro incredibilmente faticoso e costante di sgrossatura, levigatura, rifinitura cosa le da il senso del “compiuto” di un’opera? E’ già il suono dello scalpello che batte sul marmo, ancor prima dell’occhio, a avvertirmi che sto per giungere alla forma pulita e secca. PRODUZIONI ARTISTICHE Una produzione “lunga una vita”, intesa nel senso più vero del termine. Un’arte innata e fervente, sbocciata sin da quando aveva poco più di otto anni nella sua isola, all’epoca ancora ruvida e semplice. Fu proprio lì, mentre era in villeggiatura, che lo scultore svizzero Hermann Haller scoprì le doti di un giovanissimo Giovanni De Angelis, mentre era intento a plasmare la sabbia con quella maestria congenita proveniente dal suo essere figlio e nipote d’arte. Ma dire Giovanni De Angelis, oggi, a distanza di oltre sessant’anni di professionalità, vuol dire parlare di uno scultore ischitano che ha trovato risonanza in campo nazionale ed europeo. Un’artista capace di esprimere uno stile scultoreo classico e moderno al tempo, ma dal sapore tutto “mediterraneo”, dove ogni scelta tecnica non è lasciata al caso. Opere le sue, capaci di trasmettere una linea sobria ed elegante, resa con il sapiente uso dell’evanescenza e della concretezza delle cose e della vita, un connubio ricorrente tra realtà e sogno. Volumi, forme e corpi che irrompono con veemenza dalla materia, tentando di liberarsene con una forza che lo stesso De Angelis ha definito “guizzi di carnalità immersi in un paesaggio di forme oniriche”. Sagome lasciate solo in apparenza incompiute, ma che celano un paziente lavoro volto ad ottenere la perfezione delle linee, la morbidezza e l’equilibrio delle masse con una voluttuosità e una leggerezza che riportano ad un gusto quasi neoclassico. Uno scultore capace di rimettersi in discussione costantemente. Una sfida perenne quella di De Angelis volta ad un perdurato “mutamento” che lo stesso Vittorio Sgarbi, anni fa, in occasione dell’inaugurazione della mostra tenutasi alla Villa Colombaia di Luchino Visconti di Forio nel 2004, ha valutato come: “piacere viscerale che De Angelis manifesta per la materia, scegliendola spesso nobile e impegnandosi a nobilitarla ulteriormente attraverso un lavoro di levigatura che acquisisce un valore rituale. De Angelis alleggerisce le masse, piegandone le superfici fino a renderle elastiche, facendo in modo che si offrano totalmente allo scorrimento della luce, oppure sublimando all’ennesima potenza materiali più inconsueti come la lava vesuviana, simbolo perfetto di vita e di morte nel contesto della storia campana, trasformandola in una sostanza di straordinaria raffinatezza” e continua affermando con assoluta determinazione e franchezza quanto si cela dietro il lavoro artistico dove la “continuità della scultura di “mutamento” di De Angelis si associa a quella di Bernini, Medardo Rosso, Rodin, Boccioni ma è anche un preciso richiamo, sia pure solo istintivo, alla singola lezione di ciascuno di questi maestri”, rifacendosi espressamente ad opere come ad “Uomo nella nuvola” e “Simbiosi” entrambe del 2002 considerate “versioni moderne di nuove metamorfosi ovidiane, teatri di stupefacenti mutamenti in bilico fra carne e marmo. Penso all’influsso di Medardo Rosso in opere ancora della fine degli anni Settanta come “Metamorfosi di un’onda” e “Torso nel vento””. Un artista che racchiude in sé il desiderio irrefrenabile del dominio della materia, attraverso poliedriche figure in movimento, che ha visto il suo esordio nazionale con il concorso del “Fanciullo Artista” nel 1942 partendo dalle sue predilette forme equestri in movimento, come il “Cavallo con figura” posto in mostra alla Galleria Centrale di Arezzo nel 1962, per poi esplodere in tutta la sua carica creativa ormai ben assestata negli anni ’70. Ed è proprio di quegli anni, la breve considerazione del noto poeta ciociaro Libero de Libero che in un carteggio del 31 marzo 1976 con lo stesso De Angelis scrive “Vedo che dalla mostra del ’73 a Milano a questa recentissima sei arrivato al colmo della tua creazione e me ne rallegro assai. Quella vela (sic) che io ammirai appena ci conoscemmo a Forio era un seme prodigioso”. Ma questa semplice considerazione altro non era che il succo concentrato di una vita intensa trascorsa tra mostre internazionali, fitti rapporti con critici d’arte e galleristi e con grandi artisti del nostro secolo tra cui Guttuso, Manzù e non ultimo Eugenio Montale, per il quale scolpì a soli 18 anni un ritratto in pietra d’Ischia. Una lunga e faticosa carriera che oggi vede riconosciuti e celebrati i propri meriti piantati proprio da quel “seme prodigioso” che è l’Arte.

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