29/2011
Photo: Enzo Rando
Text: Silvia Buchner
Di fronte al Castello per antonomasia, quello del signore, di Alfonso d’Aragona, una delle famiglie spagnole che avevano combattuto al suo fianco durante la conquista del regno di Napoli, realizza il proprio regno, di delizie, di cultura, di piacere, coniugando una serie di elementi che fossero l’espressione della propria ricchezza ma anche della raffinatezza intellettuale ed artistica del mondo cui apparteneva. Siamo in pieno Rinascimento e l’eccezionale fermento culturale che in quel periodo attraversa l’Italia sbarca anche ad Ischia e prende corpo in una casa. Sì, perché la torre costruita dalla famiglia de Guevara proprio al di sopra degli scogli di Cartaromana, fra la fine del XV e il XVI secolo, racchiude una complessa stratificazione di richiami e riferimenti, molti non ancora esplorati, che riflette con compiutezza la civiltà cui si richiamava l’alta società di quei tempi. La forma prescelta richiama le tante torri, circolari e quadrate (come quella dei Guevara), che proprio Alfonso d’Aragona fece innalzare in più punti lungo le coste dell’isola per proteggerla dagli assalti saraceni. Ma, per quanto quella dei Guevara avesse l’aspetto di un edificio destinato alla difesa, protetto da muri e alti terrazzamenti, si trattava di un’abitazione a tutti gli effetti, destinata probabilmente a trascorrervi la bella stagione. Intorno, la Natura, incarnata in uno spettacolare giardino che si estendeva fino all’attuale stradina di Soronzano (quindi comprendendo la collina di Cartaromana in tutta la sua estensione), mentre si allungava verso il mare e gli scogli (oggi detti di S. Anna) con una serie di terrazze poste su imponenti terrapieni di cui qualche traccia è ancora visibile. La casa di campagna, nella sua idilliaca atmosfera, fronteggia la città, incarnata nel Castello in quanto sede dei poteri politico e religioso, e si rapporta simbolicamente con essa. I Guevara sottolineano con forza il legame con quel potere che li legittima e ne fa membri di un’elite prestigiosa, dedicando ampi spazi della loro casa a un ciclo di pitture articolato e ricco di evocazioni. Le volte e le pareti dell’ingresso, delle scale e degli ambienti del primo piano, infatti, erano fittamente decorati, e il soffitto di una delle sale del piano nobile restituisce il ‘ritratto’ fedele della zona e degli edifici più emblematici che la connotano – la baia di Cartaromana, il Castello, la Torre, il paese con un campanile. L’eccezionale dipinto offre la possibilità di vedere (e non solo immaginare) come apparivano il maniero e le zone circostanti circa 500 anni fa, nel periodo del loro massimo splendore. Ma la celebrazione del prestigio della famiglia Guevara è solo una delle fonti di ispirazione delle pitture: “La ricchezza e complessità di elementi inseriti negli affreschi che al momento possiamo leggere meglio fanno pensare che siano stati concepiti da un erudito umanista”, così ha commentato il professor Thomas Danzl, docente della Facoltà di conservazione e restauro delle pitture murali e superfici architettoniche dell’Università di Dresda, fra le più prestigiose in questo settore, durante la visita che abbiamo compiuto insieme all’interno della torre. Grazie, infatti, ad un accordo nato su impulso del circolo culturale Georges Sadoul e della sua presidentessa, l’architetto Ilia Delizia, e stipulato fra il comune di Ischia, la direzione regionale dei beni culturali e l’università tedesca, nei prossimi quattro anni, quest’ultima terrà campagne di restauro degli affreschi che decorano la torre. In queste pagine, presentiamo i risultati delle prime quattro settimane di lavoro che hanno visti impegnati tredici ricercatori, coordinati dalla dottoressa Monica Martelli Castaldi della Soprintendenza per i Beni Architettonici di Napoli, che nella torre ha già eseguito una prima campagna di lavori lo scorso anno, e dallo stesso professor Danzl: risultati straordinari, perché sono venute alla luce nuove pitture davvero eccezionali per il loro contenuto. Se, infatti, per un caso fortunato si sono preservati gran parte dei dipinti di uno dei saloni (molto probabilmente protetti da un controsoffitto, realizzato dopo l’abbandono definitivo della torre da parte dei suoi proprietari, agli inizi dell’800), tutti gli altri sono stati molto danneggiati. In verità, da un certo numero di anni la torre non è più usata come deposito per attrezzi e ricovero per animali e non è più alla mercé di vandali che hanno deturpato con firme, graffiti e messaggi insulsi le pareti. Dopo l’acquisizione da parte del comune di Ischia, infatti, in seguito ad un restauro (che ha voluto l’attuale intonacatura bianca delle pareti esterne, criticata perché ha alterato l’originario rapporto tra le parti in pietra e le mura della torre), la struttura si è collocata fra gli edifici storici più interessanti dell’isola. Tuttavia, finora scarsa attenzione è stata dedicata agli affreschi, cosa che appare paradossale, vista l’unicità assoluta di un ciclo di pitture del genere in un posto come Ischia, dove le manifestazioni pittoriche sono rare. Addirittura, durante i lavori necessari per adeguare l’edificio alla destinazione di centro per mostre, gli impianti elettrici sono stati installati anche sopra gli affreschi stessi, attraversandoli con canaline e viti! Finalmente, tuttavia, sembra che si sia compresa l’urgenza di dedicarsi a quest’opera, prima con un lavoro di recupero e consolidamento e poi con uno studio serio e complessivo del significato delle immagini che coprono metri e metri quadrati di pareti e che risalgono al tardo Cinquecento. Il lavoro degli esperti consiste nella pulizia delle pitture, che procede molto cautamente e richiede infinita pazienza, eliminando i livelli di intonaco (tecnicamente, scialbature: ne sono stati contati anche 22!) che hanno ricoperto completamente l’antica pittura nel corso dei secoli. I successivi interventi mirano a rendere più stabili le pitture riportate alla luce e a studiare le tecniche impiegate dagli artisti che le eseguirono. Sarà un lavoro lungo e complesso, ma l’intervento compiuto nel 2010 ha già rimosso strati e strati di sporcizia (aggravata al pian terreno dal fatto che, dopo l’abbandono, alcuni ambienti furono usati per affumicare il maiale), ridando una parziale leggibilità ai dipinti delle scale. E’ apparso, al di sotto del nerofumo, un mondo fantastico di piccole, delicate figure finemente disegnate e intrecciate fra loro: si alternano uomini, donne, animali (in particolare, insetti e uccelli), fiori, piccoli scorci di paesaggio, oggetti, mascheroni, personaggi fantastici anche ispirati dal mito classico (per es. il supplizio di Prometeo, con l’aquila che gli divora il fegato), e non mancano le commistioni coeve (si intende cinquecentesche, naturalmente), il tutto inquadrato all’interno di una ‘cornice di pura decorazione’: si tratta di un modulo pittorico chiaramente ispirato dalle grottesche. Le grottesche consistono, infatti, in minuti disegni su fondo bianco che riproducono festoni, collane, tralci, cornici, intrecci geometrici all’interno dei quali si collocano silhouette esili ed estrose, e che erano di gran moda nel Rinascimento, dopo la scoperta degli affreschi della Domus Aurea di Nerone a Roma. Quando i primi curiosi scesero, nel 1480, dentro i vastissimi ambienti della dimora del celebre imperatore (che essendo posti al di sotto del colle Oppio apparivano come delle grotte, da cui il nome dato ai dipinti presenti all’interno), si trovarono, infatti, di fronte a questo tipo di immagini. La meraviglia e l’ammirazione fu grande: in tanti le riprodussero e divennero rapidamente note ai grandi artisti dell’epoca; basti pensare che Raffaello vi si ispirò per le pitture degli appartamenti del Vaticano. La presenza massiccia di questi motivi classici, ‘pagani’, è evidente nelle pitture della torre Guevara, a riprova del fatto, ci ha detto il professor Danzl, che anche a Napoli erano giunti tali influssi, anche se le maestranze locali non erano brave come quelle romane. Ma è nei saloni del primo piano che si comprende appieno il senso di ciò che la nobile committenza aveva richiesto. Uno degli ambienti è stato l’oggetto dell’intervento più consistente eseguito dall’università di Dresda, ed ha consentito di acquisire le nuove pitture, prima del tutto nascoste, su una delle quattro pareti (le altre verranno ‘esplorate’ il prossimo anno). Fra tanti dettagli pittorici da scoprire, spicca la scena di corte ambientata sullo sfondo di una città fantastica, apparsa sull’arco della porta d’ingresso. Uomini e donne elegantemente vestiti secondo la moda dei tempi di Filippo II di Spagna (che regnò nella seconda metà del ‘500), passeggiano sulle rive del mare, alle loro spalle edifici maestosi tratteggiati in ogni dettaglio e un obelisco, che su un lato lasciano spazio ad un bosco, presso il quale si muovono un cacciatore con il suo cane. Al di sopra, troneggia in buono stato di conservazione lo stemma della famiglia de Guevara, sicuramente realizzato contemporaneamente all’intera decorazione dell’ambiente, come ha tenuto ha sottolineare Danzl, infatti il fregio decorativo che corre sulla parete termina per far spazio allo stemma, che ad esso non si sovrappone. Questo elemento supporta in maniera incontrovertibile il fatto che la torre venne costruita dalla famiglia Guevara, ed è tanto più prezioso in quanto quello in pietra che sormontava esternamente il portone d’ingresso è stato rubato durante l’abbandono della torre. Le volte della sala est, quella che guarda direttamente il Castello (e forse non a caso), sono – come già detto – quasi integre e contengono un ricchissimo repertorio di figure che combina il continuo riecheggiamento della cultura antica ad elementi contemporanei alla realizzazione delle pitture. Figure mitologiche come le impressionanti sfingi che troneggiano su di un lato (va sottolineato che ogni porzione di soffitto reca immagini differenti e se ne conservano tre su quattro) convivono con le doppie aquile coronate, simbolo araldico della casata degli Asburgo cui apparteneva Carlo V, che, molto probabilmente, era imperatore all’epoca in cui gli affreschi furono commissionati; un’armatura da guerriero completa emerge su uno sfondo animato da cani, cervi, agnelli ma anche una delicata colomba, da oggetti simbolici delle arti della pittura e dell’architettura, da elementi vegetali. All’interno di cartigli rettangolari, tre eccezionali paesaggi: di fronte a quello già raccontato che ritrae la Torre e il Castello Aragonese, vi sono i ruderi di Tivoli (riconoscibilissimi per gli studiosi grazie al tempietto circolare), ulteriore riprova del voluto, costante riferimento al mondo della classicità; l’ultimo contiene un paesaggio agreste probabilmente di fantasia, realizzato con un tratto molto fine e accurato. E’ assolutamente prematuro – hanno sottolineato Thomas Danzl e Monica Martelli – cercare di fare attribuzioni a un pittore o ad una scuola: più mani potrebbero aver lavorato alla torre Guevara. Rafforza questa ipotesi il fatto che, oltre alla tecnica dell’affresco, ne è state impiegate altre due (una punta acuminata per tracciare disegni preparatori, ben visibili nelle scale, e una matita di colore rosso, appannaggio del maestro più esperto che l’ha utilizzata per i contorni delle immagini principali), ed è possibile che si possano distinguere influssi artistici provenienti addirittura dal nord Europa – il professor Danzl ipotizza dalle Fiandre. Un sincretismo culturale e artistico calato in un paesaggio di rara armonia, qual è quello che i Guevara (e noi oggi) ammiravano dalla loro torre e che va assolutamente conosciuto, custodito e valorizzato.