Friday, November 22, 2024

24/2008

Photo: Nello Schiano
Text: Giorgio Balestriere

 

“Vedute d’Ischia nell’800”, la mostra organizzata da Rosario Caputo e Gaetano Sarnelli e patrocinata dal Comune di Lacco Ameno, ospita opere di parecchi celebri vedutisti ottocenteschi – tutte da collezioni private – a partire da Antonio Joli, e poi Gabriele Smargiassi, Salvatore Fergola, Anton Sminck van Pitloo, Frans Vervloet, Ercole e Giacinto Gigante, Francesco Mancini (Lord), Gonzalvo Carelli, Salomon Corrodi, Marco De Gregorio, Antonino Leto e Rubens Santoro. Tanto che questa esposizione – aperta fino al 31 ottobre negli ambienti della villa Gingerò a villa Arbusto – riveste una certa importanza per la conoscenza della pittura di paesaggio dell’Ottocento e permette anche di tratteggiare con grande vivacità luoghi mitopoietici per eccellenza, dove poter lasciar correre la propria immaginazione tra le vestigia di civiltà antiche, cantate dai poeti di tutti i tempi e abitate da un drappello di gente povera, ma di una vitalità e di costumi non comuni. Tanto è vero che dai primi decenni dell’Ottocento la costa partenopea divenne un foyer di artisti cosmopoliti. Oggi, anche a causa del degrado ambientale e dell’involgarimento, è difficile immaginare ciò che allora dovevano rappresentare per un giovane pittore Ischia e le altre isole del Golfo di Napoli. Attraverso le scelte e il sapiente taglio della mostra viene così delineandosi la personalità di artisti estremamente versatili nei temi e nei soggetti – pittori che con grande curiosità e perizia tecnica seppero aprirsi alle principali esperienze artistiche del loro tempo e farle proprie. Il risultato è uno straordinario e variegato catalogo di opere che vanno dalla scenografica “Veduta di Lacco Ameno” (foto 1), databile 1770 circa, di Antonio Joli – un artista della cerchia di Gaspare Vanvitelli – all’impervio e tormentato paesaggio costiero, “Mare mosso a Ischia” (foto 5), eseguito nel 1927 da Guido Casciaro.
Nel repertorio delle località dell’isola d’Ischia raffigurate dagli artisti dell’Ottocento, Lacco Ameno e il Castello Aragonese sovrastano oltre misura tutti gli altri siti dell’isola, mentre se dei luoghi della costa meridionale non si conoscono opere pittoriche – tranne i vaghi scorci raffigurati nei dipinti eseguiti dal Monte Epomeo -,
probabilmente ciò va imputato ai sentieri piuttosto malagevoli più che al disinteresse degli artisti.
La mostra, articolata in circa 30 dense opere pittoriche, sin dal primo quadro salda le sue polarità cronologiche: il sentimento romantico e l’estremo realismo. “Veduta di Lacco Ameno” di Joli, un quadro eseguito negli anni più intensi del Grand Tour, venne commissionato dal noto ‘amateur d’art’ Lord Brudenell, per ornare la sua aristocratica dimora di Londra. Il dipinto continua alcuni schemi della pittura classica: Joli sembra infatti cogliere una prospettiva panoramica, in modo da ottenere un’estesa veduta della costa ischitana.
Diametralmente opposte alla scuola neoclassica, le opere romantiche passarono in modo evidente da un’arte analitica, descrittiva e oggettiva, a forme diversissime che cercarono però tutte di esprimere una visione globale e soggettiva: una pittura che vive di allusioni alla vita e che si dimena sulla tela come il mercurio su una lastra di metallo. Tuttavia il passo verso il Romanticismo, che nel frattempo s’era imposto in alcuni paesi d’Oltralpe, gli artisti napoletani lo compiranno più tardi. Sebbene il Neoclassicismo a Napoli si impose piuttosto tardi, nondimeno, esso costituì la base dell’insegnamento accademico, per cui il passaggio al rinnovamento romantico si ebbe al di fuori delle istituzioni. Negli anni ’30 dell’Ottocento, la pittura romantica a Napoli era ancora marginale e sporadica – nonostante vi avessero lavorato artisti innovatori del calibro di Vernet, Turner, Rebell, Dahl e Corot – fino alla nascita della Scuola di Posillipo, il cui principale esponente è stato Anton Sminck van Pitloo. Dell’artista olandese è qui esposto il dipinto “Veduta di Lacco dalla strada borbonica” (Veduta del Golfo di Napoli da Lacco) (foto di apertura), databile 1830-35. Oltre alla luminosità che allarga mirabilmente il campo visivo e il mistero dei riflessi, che modificano le forme e i colori, quest’opera è nondimeno interessante per la presenza in primo piano, a sinistra, del cosiddetto Palazzo rosa di San Montano, del quale la contessa Elisa von der Recke, sorella della duchessa Dorothea di Curlandia (l’attuale Lettonia), scrisse che “somigliava con lo sfoggio delle sue rigogliose corone di flora del Sud a una dimora per fate”. Un altro artista nordico presto si aggiunse alla Scuola di Posillipo, il fiammingo Frans Vervloet, autore del piccolo ma incantevole dipinto “Il Lago d’Ischia” (Foce del Lago d’Ischia) (foto 2) databile 1840-50. Reso con estrema precisione – le colline di Campagnano, il Monte Vezzi e soprattutto il Palazzo Reale – il dipinto include alcuni personaggi raffigurati dal pittore in piena luce mentre si apprestano a cuocere delle pietanze sopra un braciere.
Ma è con Giacinto Gigante che la pittura romantica di paesaggio si affermò a Napoli, infatti fin dalle sue prime opere – tra le quali si ricorda il dipinto “Dall’Epomeo”, datato 1835 – egli diede una radicale svolta alla pittura di paesaggio, segnando profondamente tutta la produzione vedutistica della metà del XIX secolo. Varie volte Gigante si fermò ad Ischia, dove nel 1854 e 1856 fu ospite di Ferdinando II nella Casina Reale. Un suo dipinto qui esposto, “Casamicciola” (foto 3) – datato 1855 – illustra anch’esso le pendici settentrionali del Monte Epomeo, ma al contrario del quadro precedente, l’elemento principale in quest’opera è la luce, che inonda il caseggiato e dà la sensazione dello spazio. Attraverso questi accorgimenti egli coglie l’inafferrabile – l’aria, la luce – che costituisce l’aspetto più personale del suo linguaggio pittorico. A documentare il superamento degli schemi romantici è qui esposta una tecnica mista – tempera, acquerello e biacca – di Giacinto Gigante, “La villa dei Bagni” (Il Palazzo Reale di Ischia) (foto 4) presumibilmente eseguita nel 1856. Infatti in questo quadro il gusto per il dettaglio topografico ed architettonico prevale sulla sintesi della visione – si pensi al desolato e schematico paesaggio raffigurato nel suo dipinto eseguito nel 1835, di cui si è appena detto – che caratterizza lo stile della seconda fase artistica di Gigante: uno stile quasi prosaico, secondo un rigoroso verismo.
Non meno interessante delle opere di Gigante è un acquerello di Giuseppe Palizzi, “Marina di Casamicciola” (foto 6), che raffigura un gruppo di persone sulla spiaggia di questa località. Più che indagare gli aspetti naturali del paesaggio, Palizzi sembra interessato a rendere le occupazioni degli indigeni. Attraverso una minuziosa descrizione egli ci presenta una scena credibile, introducendo una serie di elementi – i singolari capanni sul mare, la casa con il tetto di paglia, alcune donne e bambini che sembrano scrutare l’orizzonte – che caratterizzano l’immagine e accentuano il colore locale. (FINE PRIMA PARTE)