Friday, November 22, 2024

34/2012

Text: Silvia Buchner

 

“… Una piccola isola in uno sconfinato mare senza onde, un piccolo scoglio abbandonato su acque desolate e scure, sotto un cielo cupo (…). L’isola ha perso le maestose costruzioni del Castello, al loro posto si apre una sorta di colombario nella roccia, con dei fori neri come loculi, sormontato da un filare di grandi e antichi cipressi, più sotto due ali di marmo abbracciano l’ultima parte di mare per comporre l’approdo di una barchetta dove una figura ammantata è sola in piedi accanto ad un lugubre barcaiolo (…)” (da: Lorenzo Canova, All’ombra delle isole verdi, DEd’A ed., pag. 17). Così lo storico dell’arte Lorenzo Canova racconta L’isola dei morti (1880) di Arnold Böcklin, uno dei più celebri quadri prodotti dal fermento culturale che attraversa l’Europa alla fine dell’800, nel momento in cui la sensibilità, le inquietudini, le forze che muovono l’arte si stanno indirizzando dal Romanticismo verso il Simbolismo e preparano il Surrealismo e la Metafisica. L’isola dei morti suggestiona e influenza grandi pittori come il grande pubblico della sua epoca, diviene il prediletto da uomini che hanno fatto – nel bene e nel male – la storia del ‘900, da Sigmund Freud a Hitler, a Stalin. E ha scavalcato il tempo: si sono ispirati alla sua atmosfera al di là del tempo terreno, artisti del XX secolo ma anche del XXI (una carrellata divertente dei “debitori” di Böcklin la si può trovare nel sito www.toteninsel.net/gallery.painter1.php e fra di essi possiamo annoverare anche il pittore ischitano Antonio Macrì (vedi articolo). Ma perché? Quel luogo esiste? Davvero il pittore fu ispirato dall’isola d’Ischia e dal Castello Aragonese? Cosa significa L’isola dei morti? Abbiamo cercato di rispondere a queste domande con l’aiuto di Lorenzo Canova, professore di storia dell’arte contemporanea all’Università di Chieti e studioso di Giorgio de Chirico, che fu uno dei più grandi artisti che trovò in Böcklin un maestro ideale. Cominciamo con il mettere un punto fermo: è vero che Arnold Böcklin concepì durante i suoi soggiorni a Ischia il suo quadro più celebre, “L’isola dei morti”? Sì, ormai questo è un dato certo per il quale abbiamo testimonianze da fonti diverse: la moglie in un libro di memorie ne parla e un suo allievo riferisce che Böcklin stesso gli avrebbe rivelato che a suggerirgli “L’isola dei morti” fosse stato il Castello di Alfonso d’Aragona a Ischia e, in effetti, egli soggiornò qui per la prima volta nel 1879, sei mesi prima che il quadro vedesse la luce. L’idea dell’isola rocciosa che incarna il passaggio verso l’aldilà è stata ispirata dunque proprio dal castello Aragonese, probabilmente non dalla prospettiva frontale cui siamo abituati da terra, ma piuttosto dal lato che guarda verso Vivara e sono convinto che anche l’opera intitolata “Prometeus” sia stata influenzata a più livelli da Ischia. Durante il suo soggiorno qui, infatti, ha sicuramente conosciuto il mito di Tifeo che è direttamente associato all’isola (Ndr. Il gigante che aveva osato ribellarsi a Zeus fu confinato sotto l’Epomeo – ma altre versioni del mito lo associano alla Sicilia – e i suoi tentativi di liberarsi sarebbero, secondo gli antichi, causa di eruzioni e terremoti che caratterizzano luoghi di origine vulcanica, quali appunto Ischia e la Sicilia). Ora, è assai verosimile che, nel momento in cui mise su tela un mito del Romanticismo come quello di Prometeo (anch’egli vittima di Zeus, che lo fece legare sulla cima di una montagna per punirlo di aver osato restituire all’uomo il fuoco che il signore dell’Olimpo si era ripreso), Böcklin fosse influenzato dalla storia dell’altro gigante intrappolato da una terra, Tifeo, appunto, e insieme dai paesaggi ischitani che da tante prospettive sono dominati dal monte Epomeo. E chi conosce Ischia coglie la somiglianza delle sue cime con quelle del monte su cui è intrappolato l’infelice Prometeo ritratto dal pittore di Basilea. Il quadro appare come un semplice paesaggio, poi si nota la presenza del gigante avvinto alla cima di una montagna che ricorda fortemente l’Epomeo. Torniamo a “L’isola dei morti”: cosa significa? Böcklin ebbe una familiarità davvero notevole con la morte, perse 8 dei suoi 14 figli e, però, in un autoritratto si rappresenta mentre dipinge con la morte che suona il violino alle sue spalle! “L’isola dei morti” ci parla del grande enigma che avvolge la nostra esistenza: questa, in verità, è una delle missioni che ha l’arte, quando se lo ricorda, cioè di renderci palese ciò che per altre vie non si riesce a capire. L’isola è un concetto metafisico, nel senso che si supera l’elemento fisico per andare verso la trascendenza e il modo in cui essa è ideata dice che l’artista pensava ci fosse qualcosa che sta oltre la vita terrena, che il viaggio continua, perché quella illustrata è una destinazione simbolica che ne prepara un’altra, l’eternità. Non a caso, il morto non è steso in una bara ma sta ammantato, in piedi sulla barca e si dirige verso un luogo che Böcklin, ispirato dalla cultura classica, ha voluto rappresentare con le fattezze di un’isola. L’opera, infatti, contiene elementi che la pongono a cavallo fra due epoche e due sensibilità: la morte, infatti, è fortemente connessa alla cultura romantica, mentre il recupero in senso nuovo della mitologia antica che egli fa è di stampo simbolista, in quanto elementi tradizionali della cultura classica (il traghettamento dell’anima del defunto verso l’Ade) vengono reinterpretati per dare voce a valori e sentimenti che sono quelli della sua epoca. “L’isola dei morti” ebbe un successo immediato e da subito fu un quadro molto copiato: lo stesso Böcklin ne fece su commissione più versioni ed era riprodotto in stampe ed incisioni, come un poster di oggi. Quest’opera costituisce un legame forte fra l’arte dell’800 e quella del ‘900, perché apre verso la Metafisica, attraverso la mediazione di de Chirico, e il Surrealismo attraverso quella di Dalì e Max Ernst. Il cardine attorno a cui si muove tutto, però, è proprio il pittore Giorgio de Chirico che è molto influenzato dall’opera di Böcklin e la trasmette anche ai surrealisti. Uno dei più grandi pittori surrealisti, Renée Magritte, si indirizza verso questa corrente proprio grazie a “Canto d’amore” di de Chirico e anche in Magritte c’è il segno lasciato da “L’isola dei morti”, nei boschi che ricorrono nei suoi quadri, ma anche in un’opera come il “Castello dei Pirenei”. Un artista molto legato a “L’isola dei morti” nella seconda metà del Novecento è Fabrizio Clerici che al quadro dedica una sua opera intitolata “Latitudine Böcklin”: Clerici era amico di Alberto Savinio e di suo fratello de Chirico per cui viene accostato alla corrente metafisica, ma era molto vicino anche a Dalì e aveva un forte legame con il Surrealismo, a testimoniare la rete di connessioni e reciproche influenze che lega tutti questi artisti. Perché de Chirico sentì l’influenza di Böcklin? De Chirico era molto giovane quando ha avuto un’intensa fase böckliniana e fu allora che realizzò una replica del “Prometeus”, quasi uguale all’originale. Egli non ha avuto maestri e si è scelto un maestro ideale trovando nelle opere del pittore svizzero il senso dell’enigma, del mistero celati dentro l’opera d’arte, la quale con il tramite della pittura riesce a svelare qualcosa che non si può dire con le parole, razionalmente, e che invece si rivela all’artista. Tutti concetti, questi, che interessavano molto a De Chirico, che parlava dell’arte come di “filosofia dipinta”, convinto com’era che ci sono elementi della realtà che non si possono spiegare diversamente che con le immagini per cui l’arte è tale quando rivela ciò che altre discipline come letteratura, filosofia, musica non riescono a cogliere. E l’artista ha il compito di comunicare le sue scoperte-rivelazioni agli altri uomini? Sì, è un profeta, un veggente, e non a caso diverse opere di de Chirico hanno come titolo “L’indovino”, “Il veggente”, “Il profeta”. La Metafisica, come si chiama la corrente pittorica da lui fondata, è per de Chirico profezia e rivelazione: l’artista vede, come il profeta, qualcosa che non è visibile a tutti perché connesso al futuro e proveniente dall’alto, da un elemento quasi trascendente. Richiamandosi alla cultura classica, de Chirico parla dell’artista come di chi ha il dono della profezia, arrivando a citare spesso gli emblemi di questo che era un caposaldo del sentire degli antichi, vale a dire Apollo e il santuario di Delfi, dove da tutta la Grecia si recavano a interrogare il dio attraverso la sua sacerdotessa, la Pizia. Nel ‘900, il contatto fra l’uomo e il dio – esigenza che continua ad essere viva!- si manifesta, invece, attraverso l’artista, che per de Chirico è come il cercatore che va alla scoperta nel mondo di elementi di mistero che sono incomprensibili agli altri e li interpreta, cogliendo il punto di unione fra l’uomo e ciò che lo circonda. Questo “sentimento di rivelazione” era molto forte nella pittura di Böcklin, benché non fosse religioso, come non lo era de Chirico. Questa rivelazione sconfina nel sogno, de Chirico e Böcklin contengono elementi onirici? In altre parole, furono influenzati dalla psicanalisi? No; invece l’interesse per la psicanalisi è forte nella corrente artistica del Surrealismo che è, a sua volta, molto influenzata dall’opera di de Chirico. E anche nella pittura surrealista, soprattutto in certe foreste rappresentate da Max Ernst e nei paesaggi con rocce e cipressi di Salvador Dalì ci sono citazioni intenzionali de “L’isola dei morti”: pensavano che l’opera di Böcklin spalancasse una porta sull’inconscio, intorno a cui ruota molta della loro attività artistica. Posto che è ormai dimostrato che “L’isola dei morti” è stato ispirata da Ischia, è così importante stabilire con certezza quale luogo reale stia dietro un quadro come quello, in cui la componente simbolica e di trasfigurazione è così forte? De Chirico diceva che c’è “un fato nelle cose” e quello de “L’isola dei morti” è di essere legato a Ischia. Certi artisti in fase di rivelazione colgono cose che agli altri sono precluse, sono convinto che essi percepiscono delle energie che sono quelle della cultura, della storia di un luogo: ora, Ischia è il più antico insediamento greco in Occidente e Böcklin nel suo quadro ritorna indietro fino alla cultura della Grecia antica. Per me, quindi, è importante che sia Ischia e non un altro posto, ci trovo una logica consequenziale.

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