12/2007
Text: Anna Di Corcia
S. Angelo, è uno dei primi giorni dell’anno quando incontro Manuel De Chiara, giovane artista santangiolese proveniente da una famiglia di noti ristoratori di quel pittoresco angolo di paradiso dell’Isola. Appuntamento al Calise di Ischia dove non ci metto molto a riconoscere Manuel che mi viene a prendere col suo inconfondibile pick up bianco.
Lungo la strada da Ischia a Sant’Angelo, Manuel si racconta con grande disponibilità e mi parla degli anni della sua formazione artistica svoltasi prima presso il Liceo Artistico SS. Apostoli di Napoli e poi all’Accademia di Belle Arti della stessa città, dove ha dedicato particolare impegno agli studi di decorazione. Negli anni è riuscito ad affiancare allo studio delle sue passioni il lavoro nel ristorante paterno, dove ha avuto modo di conoscere il via vai di gente ‘bene’ che transita ogni estate per S. Angelo e dove ha avuto sempre più conferma di quanto egli fosse profondamente diverso dai ‘chiattilli’ dalla carriera avviata che lasciavano tracce delle loro cene al suo locale. Manuel è uno che ha imparato a guadagnarsi ogni cosa da sé, soprattutto nel suo lavoro che oggi è quello di dedicarsi alla realizzazione de pannelli graffitati, in plexyglass, plastica o legno per i locali di mezzo mondo, grazie anche alla committenza affidatagli dalla catena di ristorazione ” Rossopomodoro”. Arriviamo nel suo studio e qui, messa a mio agio da un buon caffè, mi guardo intorno e noto, sparsi, i suoi ferri del mestiere: pannelli di legno, colori, aerografo, pennelli e un tavolo da falegname, tanto che mi viene spontaneo chiedergli:
Manuel, ti senti più un artista o un artigiano?
In questo momento mi sento forse più un artigiano, il mio lavoro consiste nella realizzazione di pannelli, sui quali modifico e stravolgo la realtà che vi proietto dopo averla catturata con le foto che scatto andando in giro. Le mie sono soprattutto vedute urbane che trasformo con l’uso del colore, so di non essere originale per questo, c’è chi lo ha fatto prima e meglio di me!
A chi pensi in particolare, c’è una corrente a cui ti senti affiliato?
Beh, sicuramente la Pop art e Andy Warhol, ma io definirei la mia arte un realismo, anzi un iperrealismo in chiave pop.
Spiegati meglio
Io parto dalla foto di un particolare di una facciata, o di un palazzo, a volte solo di un lampione che proietto su un pannello e ritaglio meticolosamente lungo i bordi. Poi intervengo col colore e decido in cosa trasformare l’immagine, se in un panorama romantico o in un eccentrico elemento d’arredo per una discoteca o semplicemente in un quadro di genere da tenere in casa.
Quindi se per il soggetto non lavori di fantasia, dove sta l’originalità di un tuo pezzo?
Nel comporlo, nel mettere insieme i tasselli secondo la fantasia: la mia libertà creativa non riguarda tanto la scelta del soggetto quanto quella della distribuzione del colore, delle prospettive. E poi cerco di sperimentare nuovi materiali, soprattutto le plastiche. Un’idea che vorrei realizzare è quella di sovrapporre un pannello serigrafato su una tela dipinta, ciò mi permetterebbe di ottenere nuove sfumature.
In questo ti è servito lo studio della decorazione, che mi pare tu utilizzi in moltissimi pezzi.
Sì, certamente non si sfugge alla propria formazione e gli studi che ho fatto mi hanno caratterizzato nel mio modo di lavorare.
Qual è la maggiore soddisfazione che trai dal tuo lavoro?
Stare nel mio studio tutto il giorno e lasciarmi andare sulle note della musica che amo per far nascere i miei progetti visivi, sono felice quando disegno un soggetto che mi sta a cuore.
A parte la committenza di “Rossopomodoro” che ti ha richiesto scorci urbani, a te su cosa piace lavorare?
Tutti i miei lavori s’ispirano ad un soggetto che vedo e che trasformo in un oggetto utile, per lo più decorativo. Mi attraggono dei personaggi, se vuoi un po’ irreali (a questo punto mi mostra alcuni pannelli fatti per il pub “Atlantic” a Forio) il palombaro per esempio, che maneggiato da me assume quasi una definizione fumettistica. Nel mio caso non è tanto importante il soggetto in sé ma l’uso che verrà fatto della mia realizzazione.
In che senso?
A me piace progettare, infatti molti dei miei lavori sono serviti ad arredare locali, pubs, e questo mi rende soddisfatto. Il fatto che i miei lavori abbiano un’utilità mi rende fiero, sono consapevole di non voler dare chissà quale messaggio, i miei messaggi sono chiari voglio dirti esattamente ciò che vedi.
Quindi la tua è un’arte che arreda, che serve ad arricchire spazi con particolari inusuali, e di forte impatto visivo?
Sì, mi piace che quello che faccio sia utile e bello.
Come si concilia questo modo di lavorare con la naturale voglia di un artista di esporre in una galleria?
In realtà io non ne ho mai avuta tanta, quando penso ad un mio pezzo nella stanza di una galleria lo vedo quasi fuori posto e mi chiedo perché mai se i miei lavori vi facessero ingresso dovrebbero essere considerati più belli o più importanti. A me piace che i miei pezzi stiano tra la gente, è lì che si svolge la loro vita.