Friday, November 22, 2024

19/2008

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Silvia Buchner

 

Da bambina la chiamavano ‘Marianna la dolce’, per i suoi modi tranquilli e gentili, oggi Marianna Coppa parla con voce limpida, il tono basso e piacevole, di chi è abituato a riflettere: fin da piccola diceva che sarebbe stata una pittrice, inevitabilmente gli altri aggiungevano “come papà”, ma qualcuno commentava pure “all’ombra di un grande albero non si può sviluppare un altro albero”. Mai profezia fu più sbagliata: Marianna è figlia di Gino Coppa – artista foriano che ha varcato da subito i confini dell’isola con le sue opere, trovando fama e riconoscimenti in Italia ed all’estero – ed è diventata a sua volta un’artista, una pittrice di talento e originale.
I protagonisti, i soggetti prediletti dei suoi quadri sono cose che non ti aspetteresti mai di trovare in un dipinto: sono oggetti scelti tra quelli che usiamo ogni giorno, la bombola del gas, i guanti di gomma, vecchi zoccoli, oppure strumenti che sono stati funzionali in passato, carrucole per tirare l’acqua dai pozzi, la pompa per spargere lo zolfo, comignoli di stufe, ogni sorta di utensile per la campagna, spesso appartenuto al nonno, ‘mazzole’, badili, ‘marrazzi’, zappe, asce, ganci, ma anche il vetusto cancello di canne del pollaio, ‘ritratto’ in uno dei suoi quadri. Lei crea le composizioni, combinando gli elementi prescelti anche in funzione della luce che vi si riflette e delle ombre che proiettano, fondamentali tasselli dell’opera finita. E questi strumenti assolutamente umili, anche banali, isolati o accostati fra loro, balzano fuori dal quadro ma, al di là della prima impressione che fa dire “sono uguali al vero”, “sembra una fotografia”, vivono in una dimensione diversa da quella della realtà tangibile, una dimensione che ha creato Marianna con la sua sensibilità, i suoi pennelli e la sua arte. “In principio – dice – mi innamoro di un soggetto per una serie di ragioni, semplicemente andando in giro, non li cerco neppure, li noto e basta, per quell’abitudine a guardare che ho acquisito nel tempo, per cui mi colpisce anche un ferro che sporge da una vecchia casa”. Così sono nate le nature morte di attrezzi, sempre maschili, ruvidi, taglienti, ma anche quelle con i cardini risalenti al ‘700, le lampade che chiunque ha in un angolo della cantina, i grossi chiodi e le catene che proiettano le loro ombre simili a ideogrammi su muri o su sfondi di un bianco assoluto, ricolmo di luce, una luce che contribuisce a trasportare tutto in un’atmosfera surreale. In quella dimensione, riuscendo a vederli con gli occhi della pittrice, l’osservatore può cogliere anch’egli la “bellezza” in oggetti che non si definirebbero mai belli. Bidoni imbrattati di pittura ed ammaccati trionfano su eleganti sfondi neri, il contenitore accartocciato dal tempo e dalla ruggine (chiunque di noi lo getterebbe senza pensarci, magari avendone fastidio a toccarlo), ritratto in primissimo piano e circondato da una raffinata cornice dorata trompe l’oeil diventa un oggetto antico, ricorda certi calderoni di bronzo rinvenuti nelle tombe micenee, opere artigianali di migliaia di anni fa, di valore inestimabile. “Ho ritratto la ruggine più volte, essa dona agli oggetti un nuovo aspetto, una nuova vita, li vedo nobilitati dalla ruggine, perché racconta che quell’oggetto ha vissuto, ha una sua storia” che è fatta anche di uso e quindi di rapporto con gli uomini che se ne sono serviti. Anche sui vegetali, l’altro soggetto molto amato da Marianna Coppa, è passata la mano del tempo: le zucche sono già toccate dalla muffa, i cumuli di patate e cipolle sono germogliati, i fiori di carciofo sono secchi e lei li ha fermati sulla tela proprio in quel momento, guardandoli con l’occhio di chi ama la natura in ogni suo passaggio, anche quello dell’inevitabile decadenza. Un’ammiratrice del lavoro di Marianna, la signora Trudi Sartori Matarese ha perfettamente condensato in poche parole il mondo che abita queste opere: “Le tue pitture rappresentano la natura, dal corso del tempo raggiunta sì, ma non morta, viva tramite la tua visione (…), piena di inquietudini nascoste e messaggi segreti”.
Dopo aver scritto questo articolo, passando accanto ad un cassonetto ho visto tre grandi bidoni completamente preda della ruggine. Fermarmi a guardarli e pensare a come Marianna Coppa avrebbe potuto pensarli e trasporli sulla tela, è stato tutt’uno. In quel momento, ho capito una cosa molto importante, che l’arte serve a farci vedere il mondo in modo diverso.