Interview_ Silvia Buchner Photo_ Riccardo Sepe Visconti Stefano FIorentino
Un terremoto costituisce uno spartiacque, stabilisce un prima ed un dopo, è un evento drammatico dalle ricadute oltremodo complesse, che comporta la riorganizzazione totale delle vite delle persone, dell’economia, dell’idea stessa del paese che è stato colpito. E se si tratta – comunque e sempre – di una cesura violenta, sicuramente avere sul territorio coinvolto irregolarità di tipo edilizio, urbanistico, ambientale e sismico rende tutto estremamente più difficile. Ed è questo il caso del terremoto del 21 agosto 2017: come ci ha detto, infatti, con chiarezza l’avvocato Bruno Molinaro, uno dei maggiori esperti in diritto amministrativo, urbanistica, edilizia sanzionatoria e tutela del paesaggio, circa il 60% del patrimonio abitativo coinvolto è gravato da irregolarità. E’ per dare il suo apporto di professionista estremamente attento, a individuare una via giuridica che consenta di risolvere l’attuale situazione di stallo che Molinaro ha redatto un emendamento (che attraverso il sindaco di Lacco Ameno Giacomo Pascale è arrivato al capo della protezione Civile, Angelo Borrelli) con l’auspicio che divenga parte del decreto legge – che è possibile debba avere le caratteristiche di una legge eccezionale, cioè introdurre elementi di straordinaria novità – che il prossimo Governo appronterà per avviare la ricostruzione a Casamicciola Terme, Lacco Ameno e Forio. Ne abbiamo parlato nell’intervista che segue, in cui Molinaro, addentrandosi con la sua consueta perizia in una tematica assai complessa, spiega come ha individuato, all’interno della legislazione (che negli ultimi anni ha comunque scelto di allentare una serie di vincoli, dando al cittadino un più ampio margine di manovra), i punti su cui fare leva per iniziare a pensare a una ricostruzione sicura e che si mantenga nella legalità. Rende di ancora maggior interesse l’iniziativa dell’avvocato ischitano la recentissima presa di posizione del Commissario per la ricostruzione del terremoto dell’agosto 2016, Paola De Micheli, che ha prospettato una serie di norme appositamente studiate per far realmente partire in Centro Italia l’erogazione dei finanziamenti, praticamente ferma in quanto una quota altissima (si parla del 90%) di edifici e aziende danneggiati non riesce ad accedere ai fondi stanziati perché non in regola dal punto di vista edilizio, fra difformità e pratiche di condono mai concluse, una condizione che avvicina Ischia a quelle zone.
Di quali disposizioni di legge o di regolamento si deve tener conto volendo prospettare la ricostruzione nelle aree terremotate di Casamicciola Terme, Lacco Ameno e Forio?
Il territorio dell’isola è vincolato e nelle aree vincolate il piano paesistico prevale su quello urbanistico: sono quindi necessari due titoli per poter edificare nella legalità, il permesso a costruire che guarda all’aspetto edilizio, all’ordinato assetto del territorio, e l’autorizzazione paesaggistica che si occupa, invece, della gestione del vincolo e che certifica che quella determinata opera è compatibile con il paesaggio circostante secondo gli strumenti e le leggi vigenti. Ciò significa che qualsiasi tipo di intervento innovativo, tale da determinare alterazione dell’originario stato dei luoghi, richiede l’autorizzazione della Soprintendenza, autorità preposta alla tutela del vincolo in regime di cogestione con il Comune che, nel caso di Ischia, è ente subdelegato in materia paesaggistica.
Proprio per la peculiarità della situazione isolana che ha visto convivere un vincolo molto rigido con uno sviluppo edilizio impetuoso e non pianificato che naturalmente ha interessato anche la zona colpita dal terremoto, è importante distinguere fra interventi sul patrimonio legittimo e su quello gravato da abusi. Faccio un esempio che chiarisce la complessità della situazione: l’ampliamento senza titolo del 30% di una casa legittima perché costruita prima che fosse imposto il vincolo, nel 1958 (nel solo comune di Ischia nel 1952), comporta inevitabilmente che l’intera casa venga considerata abusiva, perché l’intervento additivo determina una variazione essenziale della preesistenza che la legge equipara ad abuso totale.
In che proporzioni il patrimonio edilizio danneggiato dal terremoto presenta problemi dal punto di vista della normativa edilizia?
Il nucleo storico del Maio, la parte del cratere più colpita a Casamicciola, annovera diverse costruzioni legittime. Direi, tuttavia, sulla base della mia esperienza, che si possono quantificare nel 40% circa, non di più. Il resto è pregno di criticità. È, comunque, un fatto positivo che gli abusi a Ischia siano nella stragrande maggioranza dei casi coperti da istanza di condono e vedremo di seguito che si tratta di un fattore determinante nella mia proposta di emendamento.
Quali ostacoli comporta avere una casa anche solo in parte abusiva nel momento in cui si vuole ricostruirla?
Soprattutto impedimenti giuridici: su tutti, l’impossibilità di ottenere i permessi necessari ad intervenire sugli edifici e l’impossibilità accedere ai finanziamenti che sicuramente verranno previsti dalla legge sulla ricostruzione.
Tuttavia, lei ha individuato all’interno della normativa esistente e nella giurisprudenza due disposizioni che considerate insieme possono costituire una possibile soluzione al problema dei tanti edifici danneggiati dal terremoto interessati da domande di condono.
Proprio così. Già a far data dal 2010 ed ancor più di recente, con il c.d. decreto del “Fare”, sono state introdotte nel testo unico per l’edilizia (TUE) significative novità volte ad apportare una forte semplificazione alla materia del recupero del patrimonio edilizio esistente in relazione ai titoli abilitativi richiesti. Prima di allora, in caso di demolizione, anche accidentale, di un fabbricato, l’area di risulta risultava assoggettata alle leggi vigenti. Quindi, se era proibito costruire, in quel luogo non si poteva riedificare. Oggi invece, se si può dimostrare con fonti anche documentarie (iconografiche, catastali) la consistenza dell’edificio originario, è possibile realizzarlo nuovamente.
La novità più dirompente è, tuttavia, quella della recente approvazione del d.P.R. n. 31 del 2017, in cui si elencano, per le zone vincolate, una serie di interventi edilizi che si possono realizzare senza l’autorizzazione paesaggistica. Quel che più rileva ai nostri fini è che, all’allegato A, lettera A29, si fa esplicito riferimento alle costruzioni in territori colpiti da eventi sismici.
Cosa vi si dice?
Che, a seguito di un sisma, qualsiasi intervento di fedele ricostruzione, eseguito nell’arco di un decennio, di edifici, manufatti e impianti tecnologici che risultino in tutto o in parte crollati o demoliti o siano oggetto di ordinanza di demolizione per pericolo di crollo, non richiede autorizzazione paesaggistica, purché se ne possa accertare la consistenza originaria e la ricostruzione sia fedele all’originale. Sicuramente con questa scelta il legislatore ha inteso rendere più veloci i tempi della ricostruzione e per Ischia ritengo che tale volontà rappresenti la soluzione con la ‘Esse maiuscola’: abbiamo, infatti, una norma che consente di ricostruire senza autorizzazione della Soprintendenza, che ha la tendenza a negarla, e permette di eseguire i lavori con una semplice SCIA.
Tuttavia, è in combinazione con un’interessante sentenza del Consiglio di Stato del 2015 che questa indicazione del legislatore assume un particolare valore per la situazione ischitana.
Perché?
Prima di questa sentenza del Consiglio di Stato, la realizzazione di opere abusive aggiunte ad immobili oggetto di domande di condono era considerato un fatto grave, che determinava l’inammissibilità della domanda stessa, perché si riteneva che andasse persa la possibilità di identificare e distinguere la parte originaria oggetto di richiesta di condono dalla nuova eseguita in ampliamento. Ciò invalidava la domanda. Il Consiglio di Stato ha detto invece che se le parti nuove sono distinguibili da quelle oggetto di condono la procedura può andare avanti, stabilendo anche che la presenza di un abuso su cui pende richiesta di condono non deve impedire interventi volti a garantire l’integrità e la conservazione della struttura. Insomma, se la parte abusiva non interferisce con quelle legittime od oggetto di domanda di condono autonomamente valutabile, il recupero di quelle parti è senz’altro ammissibile.
Stiamo parlando quindi di case in parte o in tutto illegittime, ma su cui pende domanda di condono. E le case totalmente abusive, mai portate in emersione?
Per un immobile o parte di esso completamente abusivo non si può fare nulla perché la legge ne prevede solo la demolizione. Esso non è suscettibile di alcun tipo di recupero, neppure manutentivo. Il fatto positivo è che a Ischia quasi tutti hanno presentato domanda di condono e, quindi, possono eseguire interventi di natura conservativa.
In cosa consistono gli interventi di natura conservativa su immobili oggetti di domanda di condono?
Va tenuto presente che gli interventi su edifici oggetto di domanda di condono sono da considerarsi borderline fra manutenzione straordinaria con adeguamento sismico, che ha come obiettivo la conservazione del bene e la ristrutturazione edilizia, che introduce nell’edificio elementi nuovi. E in questi casi, finora la giurisprudenza ha dichiarato ammissibile solo la manutenzione straordinaria, ma grazie all’aggiornamento del TUE anche gli interventi di demolizione e ricostruzione si fanno attualmente rientrare fra quelli di recupero manutentivo e non più di ristrutturazione come avveniva un tempo. E poiché il legislatore considera anche l’adeguamento sismico un intervento di straordinaria manutenzione è possibile realizzarlo su immobili su cui pende domanda di condono. In pratica, il confine fra la manutenzione straordinaria conservativa con adeguamento sismico (che nel nostro caso equivale a mera ricostruzione dell’esistente, finalizzata a garantirne l’integrità) e la ristrutturazione edilizia prevista dal TUE, che può condurre ad un organismo edilizio del tutto nuovo, è diventato oggi particolarmente labile, giacché le due tipologie di intervento si sono avvicinate dal punto di vista normativo, dando così un margine di manovra più ampio. E ritengo che gran parte del nostro patrimonio edilizio danneggiato ben potrebbe essere catalogato in queste nuove griglie. Sicuramente, fra le valutazioni che hanno portato a fare queste scelte, c’è il fatto che molte parti del Paese sono esposte a terremoti e allo Stato preme di adeguare il più possibile il patrimonio edilizio esistente agli standard di sicurezza antisismici, limitando, nel contempo, i lacciuoli burocratici.