Text_ Silvia Buchner Photo_ Dayana Chiocca Stefano Fiorentino
Per riportare la vita al Maio non si può prescindere da una riflessione profonda sui punti di forza (negli ultimi tempi sempre più trascurati) e sulle fragilità (tenute in alcuna considerazione anch’esse) di questo che è a tutti gli effetti uno dei nuclei storici dell’isola d’Ischia – e in particolare del comune di Casamicciola Terme. E se, sicuramente, ha perso la sua centralità (perché la litoranea viene preferita alla via Borbonica per raggiungere Forio, perché l’economia basata sul bosco e la montagna è divenuta residuale, perché anche il settore delle terme non è riuscito a mantenere il passo), tuttavia si deve tener conto di ciò che il Maio è stato, della sua storia, e delle potenzialità che ancora esprime, per dare un senso alla ricostruzione.
Parte proprio da questa premessa metodologica il progetto nato da un’idea dell’architetto progettista Giovan Giuseppe Iacono, sviluppata insieme a professionisti e persone che amano il proprio paese, da Andrea Di Massa e Gaetano Piro, ad Antonietta Iacono, Annalisa Zabatta, Stefania Paparatti, e con l’urbanista Antonio Abalsamo, alcuni di loro colpiti in prima persona dal terremoto. “L’idea, che riguarda la località più danneggiata, il Maio-La Rita, è finora rimasta circoscritta a noi che l’abbiamo concepita, è mancata la condivisione che più ci sta a cuore, quella con le istituzioni e con i cittadini coinvolti” – sottolinea l’architetto Iacono – “eppure questo è il momento di pensarci, anche perché i comuni di Casamicciola e Lacco Ameno hanno stretto un accordo di programma con l’università Federico II per stendere il PUC, cioè il piano urbano comunale, quello che un tempo si chiamava piano regolatore e che dà le direttive su come si vuole far sviluppare il paese. La nostra iniziativa potrebbe essere vista come una fase successiva al PUC, ma che con esso deve camminare di pari passo”. La programmazione dello sviluppo del territorio dovrà tener conto di ciò che è accaduto il 21 agosto 2017, ed è nei poteri di questo strumento urbanistico anche di stabilire che al Maio non si debba tornare ad abitare. Su ciò, tuttavia, Iacono ha le idee molto chiare: “Sono contrario alla delocalizzazione. All’indomani del terremoto del 1883 fu attuata, la popolazione venne spostata nella zona della marina, in un quartiere di baracche impiantato ad hoc e la gente ne ha sofferto, ha perso le proprie radici. Mentre sul resto del territorio ci si è limitati a stabilire i criteri edilizi antisismici validi per l’epoca secondo cui chi voleva (e poteva) ha ricostruito”. Pochi decenni dopo, complice il benessere diffuso, si è tornati a innalzare case pure al Maio, da un certo momento in poi (fine anni ‘50) anche in maniera abusiva e quindi incontrollata. “Non si è realizzato nulla di qualificante per quella zona, costruendo molto soprattutto intorno all’arteria centrale, via D’Aloisio, e in tempi più recenti ci si è allargati fino alle pendici dell’Epomeo e al vallone della Rita. Il risultato è un’area di dimensioni circoscritte in cui c’è di tutto, intensa edificazione, spazi liberi, spazi mal tenuti – spiega Iacono, ed è qui che il terremoto ha colpito maggiormente. La nostra proposta è assolutamente di tornare a costruire e quindi a vivere in quei luoghi – a certe condizioni: il quartiere va rifatto, ma su tutto deve esserci un’idea nuova del Maio, che va rimesso nella disponibilità dei suoi legittimi proprietari, cioè gli abitanti, riorganizzandolo”. Le proposte che sostanziano questa idea partono da principi decisamente nuovi per l’isola d’Ischia, diciamo pure opposti rispetto a ciò che si è fatto finora. Guarda a quel territorio nella sua interezza, valutandone l’idoneità ad ospitare nuovamente abitazioni ma anche altre realtà, pur tutelando i beni di ciascuno, e contemporaneamente prende in considerazione le possibilità di rivitalizzarne le economie, al momento in grandissima difficoltà.
“Va razionalizzata la superficie a disposizione, sostituendo a tante casette sparpagliate blocchi edilizi più compatti, magari con un piano in più ma ben realizzati, anche dal punto di vista estetico, che consentano di recuperare spazio e dare un alloggio a tutti”. Data la complessità intrinseca a quel sito, in cui convivono problemi di sicurezza connessi alla sismicità, ma anche alle sue caratteristiche morfologiche (essendo percorso da valloni e trovandosi alla base dell’Epomeo in una zona di dissesto idrogeologico), con problemi di difformità delle case danneggiate e conseguenti limitazioni poste dalla legge in questi casi, non si può pensare di poter tirare su di nuovo tutto l’esistente, così com’era. Emergeranno, infatti, ad uno studio attento, aree dove non si potrà più costruire, si dovrà migliorare il sistema viario, tortuoso e insufficiente in caso di pericolo, si dovrà qualificare l’intero ambito. “Sarà dunque necessario spostare una parte dei volumi in zone limitrofe considerate adatte e stabilire la destinazione degli spazi rimasti liberi (verde, orti, parcheggi, eventuali edifici pubblici): per fare tutto questo la legge offre gli strumenti normativi, in particolare siamo convinti che la soluzione stia nell’applicazione del principio della perequazione urbanistica. Ciascuno non avrà più il suo pezzetto di terra con sopra una casa più o meno legittima, ma altro, preservando il diritto all’abitazione. Ciascuno, infatti (proprietari dei manufatti che si recuperano, di quelli che si spostano e dei suoli su cui si ricostruirà ex novo) riceverà un credito edilizio, commisurato alla percentuale di bene posseduto. In pratica, quindi, una quota di proprietari potrà recuperare la propria casa sul posto in cui si trovava, i possessori di edifici che si delocalizzano, parteciperanno cedendo l’area di loro proprietà al Comune (che potrà destinarla ad altro uso, secondo il piano stabilito) e ottenendo in cambio la possibilità di avere una casa di superficie pari a quella prima posseduta, e così via. Rientrano nel progetto anche i proprietari di case abusive, che potranno accedere alle abitazioni di edilizia popolare. Appunto. Che rapporto ha una tale idea di ricostruzione con proposte come quella (illustrata sempre in questo numero del magazine) dell’avvocato Molinaro che mira a superare dal punto di vista legale il problema delle difformità edilizie? Su questo Iacono è sicuro: “Sono complementari. L’architetto e l’urbanista operano su scala ampia, l’avvocato a livello di edilizia individuale, contribuendo a risolvere il problema della gestione degli abusi e quindi dell’accesso ai permessi e ai finanziamenti per ricostruire. Ma se la casa su cui pende domanda di condono si trova all’interno di una zona con criticità gravi qual è il Maio, è necessario un progetto come il nostro, che tenga conto accanto alla questione della sismicità anche dei problemi di dissesto idrogeologico. L’avvocato, infatti, non può valutare la consistenza del pericolo: in certe zone le sue idee sono applicabili, in altre decisamente no, qui alla sua opera va affiancata quella dell’urbanista”.
D’altra parte, si deve prendere atto che – al di là del dramma del terremoto – il Maio e La Rita erano zone in sofferenza, da tempo estromesse dai circuiti turistici e commerciali dell’isola. Il nuovo Maio deve assolutamente passare per un ripensamento del suo ruolo rispetto al resto del Comune. “Le sue peculiarità vanno recuperate, in particolare il bosco e le fonti termali, e creando interessi sul posto tornerà ad essere di conseguenza interessante anche il percorso viario – puntualizza Iacono. Delle terme andrebbe sviluppato l’aspetto ludico e di wellness che è totalmente assente, magari creando una realtà nuova che si affianchi alle attuali terme della Rita, e che catalizzi interesse, supportando anche gli hotel del posto. E poi la zona collinare: il Maio è la porta per l’Epomeo più bella di tutta l’isola. Oggi non c’è più il commercio di legname, ma esiste un interesse in crescita da parte dei turisti per alternative al classico mare, e quindi percorsi naturalistici (da migliorare e per i quali esiste sempre il supporto della Regione), trekking, escursioni a cavallo, visite guidate, insomma si devono creare servizi. Includere nel piano di recupero la rivalutazione delle sue risorse economiche, infatti, significa rendere interessante investire in quella zona”.
E’ evidente che un progetto di recupero come quello di cui abbiamo raccontato le linee generali ha assolutamente bisogno di un approccio condiviso fra le istituzioni e i cittadini in cui questi ultimi giochino un ruolo attivo – e si tratta di una possibilità che, come abbiamo visto, la legge contempla. Ma, ancora prima di ciò, è necessario che gli abitanti del Maio siano consapevoli che solo attraverso il cambiamento, che in primo luogo è di mentalità, possono pensare di riavere una casa sicura lì dove sono nati, in una dimensione urbana di accresciuto valore.