Thursday, November 21, 2024

Interview_ Cecilia D’Ambrosio  Photo_ Dayana Chiocca  Stefano Fiorentino

Una vicenda lunga quella dello zoo di Napoli (esiste da quasi 70 anni) che ha attraversato momenti bui, e tuttavia di recente è tornata a raccontarsi con molta positività. Aperto in maniera stabile nell’immediato dopoguerra (ma su un progetto d’epoca fascista che voleva creare un’esposizione di fauna africana proveniente dalle colonie italiane), sorge a Fuorigrotta nell’area che ospita anche la Fiera d’Oltremare e il parco dei divertimenti di Edenlandia (attualmente chiuso). Agli inizi del 2000 la crisi nella gestione dello zoo diventa gravissima e la struttura viene avviata al fallimento, ma il patrimonio di quest’azienda assolutamente particolare era costituito da esseri viventi e non da macchinari. E poi c’erano i dipendenti rimasti senza lavoro. Diversi animali morirono e tanti (fra cui gli scimpanzè) furono trasferiti per evitare loro la medesima fine. Basta una rapida ricerca in rete negli archivi dei giornali napoletani per avere il quadro della drammatica situazione. Un destino ormai segnato, insomma, che prende una svolta inaspettata, positiva, bella da vivere e da far conoscere, quando nel 2013 l’ingegnere Francesco Floro Flores – brillante imprenditore partenopeo nel settore dell’informatica ed ingegneria aerospaziale, con circa 400 dipendenti e aziende anche in Germania e Francia, dove recentemente il presidente della Repubblica Macron lo ha insignito della prestigiosa Legion d’Onore – incontra lo zoo di Napoli. Come è andata lo facciamo raccontare a lui, anticipando soltanto che oggi è tornato ad essere uno spazio accogliente, in primo luogo per i suoi abitanti, dove ogni giorno il personale, dai giovani keeper che li accudiscono ai veterinari, alla proprietà lavorano per risalire dall’abisso in cui lo zoo della terza città d’Italia era finito. E la gente comune, chi allo zoo porta i bambini che, immancabilmente, restano incantati per quel rapporto speciale che sempre i piccoli hanno con le creature non umane, glielo riconosce pienamente. Il lavoro realizzato finora e i progetti futuri raccontati nell’intervista dicono che è “necessario ci siano sempre più persone che abbiano voglia di rischiare per questa città e che sentano e vivano Napoli come un’opportunità”, come ha detto lo stesso Floro Flores.

Lei è un imprenditore di successo nel settore delle alte tecnologie: come mai ha deciso di prendere in gestione lo zoo, una realtà, almeno in apparenza, lontana dal suo lavoro?

Ero a casa, guardavo la televisione e Striscia la notizia mandò in onda uno dei servizi più terrificanti dei tanti realizzati sullo zoo di Napoli, dal quale emergeva molto bene lo stato pessimo in cui si trovava. Mi colpì a tal punto che decisi di volerlo cambiare, in un certo senso “salvare”. Così andai al Comune e chiesi se ci fosse un interesse, un sostegno per chi volesse investire; ovviamente mi risposero che non avevano nessuna possibilità di supporto. Tutto questo accadeva quattro anni fa: in un primo momento, mi dissero anche che c’era già un investitore svizzero, lo incontrai per chiedergli se volesse una collaborazione e capii subito che in realtà, lungi dall’avere capitali da mettere nello zoo, era venuto a Napoli in cerca di finanziamenti e si mostrò felicissimo della mia disponibilità. In seguito la cosa sfumò e, tuttavia, l’assessore Enrico Panini mi chiese se volessi provarci da solo, prendendo in gestione anche Edenlandia. Risposi che Edenlandia non mi interessava, sapevo che lo zoo sarebbe stato un investimento più difficile ma lo preferivo.

Perché ad Edenlandia non era interessato?

All’epoca per due motivi: in primo luogo, perché era necessario un investimento maggiore che per lo zoo, una decina di milioni di euro; la seconda ragione è legata al fatto che una struttura come Edenlandia produce forte liquidità e ciò mi preoccupava, perché poteva attrarre interessi “molto particolari”. Per lo zoo è diverso, dietro c’è una gran fatica, tanto lavoro ma anche parecchie soddisfazioni.

Da dove ha cominciato ad operare per risanare la pessima situazione in cui lo zoo si trovava?

Ci siamo mossi “a macchia di leopardo”, partendo da situazioni relativamente impegnative nella realizzazione, che riuscissero però a dare l’impressione immediata ai napoletani che c’era la volontà seria di fare. Quindi le aree gioco per i bambini, la fattoria, il rettilario… Con questa progressione, abbiamo generato ogni 15 giorni/un mese nuovi settori aperti, dedicandoci contemporaneamente alla cura del verde. Qui i giardini sono belli ma era necessario rinnovare gli impianti per avere una buona manutenzione; altre strutture invece, come ad esempio quella per ospitare le tigri, che si è ampliata fino a 3600 mtq, hanno richiesto sforzi molto più impegnativi ed investimenti più onerosi. La verità è che abbiamo messo subito a disposizione tanti soldi, abbiamo investito 2 milioni e mezzo spendendoli velocemente.

Che tipo di personale lavora allo zoo?

Al momento dell’acquisizione dello zoo abbiamo dovuto assumere i dipendenti che c’erano in precedenza, persone molto qualificate che hanno capito e apprezzato l’impronta che la nuova gestione ha voluto dare. In una prima fase mi sono avvalso dei migliori collaboratori e consulenti, provenienti per esempio dallo zoo di Roma e da Bari. Li abbiamo conosciuti ed abbiamo imparato da loro sostituendoli poi piano piano con i giovani napoletani istruiti sul loro modello e oggi abbiamo il botanico, l’animalista, la figura che opera nel controllo di gestione. Aggiungo che non è stato difficile trovare a Napoli personale qualificato, abbiamo assunto tanti laureati che ricoprono diverse mansioni, dalla parte scientifica a quella ingegneristica alla gestione e cura degli animali, all’attività di feeding time (Ndr. Le operazioni di nutrimento delle diverse specie, ciascuno secondo le sue esigenze, cui nel fine settimana il pubblico può assistere) ed è bello vedere il sabato e la domenica come interagiscono con gli animali e come questi li ascoltano e lì ricambiano a modo loro. Prima mancavano figure del genere, persone che si prendessero realmente cura degli ospiti dello zoo, non limitandosi a nutrirli. Abbiamo una quarantina di dipendenti più o meno fissi che percepiscono stipendi netti di 1000/1200 euro. All’interno della struttura operano anche ditte specializzate, per esempio abbiamo affidato la cura delle piante ad una società esterna. Per la parte delle infrastrutture, ci sono tre aziende che ci seguono, hanno compreso il livello qualitativo che desideriamo e sono sempre le stesse, tutte campane.

Parliamo dei progetti di sviluppo a medio termine.

Il prossimo passaggio fondamentale è caratterizzare lo zoo di Napoli rispetto ad altri zoo, dobbiamo diventare attrattivi anche per il visitatore che ha visto quelli di Monaco o diBerlino, per citare due dei più belli d’Europa. Noi abbiamo un vantaggio importante, siamo al centro della città e possediamo un patrimonio botanico eterogeneo. In genere, infatti, gli zoo europei hanno tutti lo stesso tipo di vegetazione, che risulta bella ma monotona. Da noi invece ci sono varietà incredibili, flora mediterranea e africana insieme. Poi, ovviamente, abbiamo inserito tutti gli animali che classicamente sono negli zoo: con questo passaggio abbiamo concluso la fase che io ho chiamato 1.0. Adesso si deve lavorare per differenziarci: fa parte di questa missione il progetto “Nuova area scimpanzé”, importante e molto costoso. Lo scimpanzé è un animale affascinante, il più intelligente dopo l’uomo, per cui l’interazione che si crea è incredibile! Però essendo anche molto forte è assai pericoloso da gestire, più di una tigre. Quindi il costo dell’infrastruttura è abbastanza significativo, ci sono solo alcune aziende tedesche che attrezzano gli spazi per accogliere questo tipo di animali. Agli scimpanzé dovrebbero aggiungersi altre specie particolari di primati. L’idea è di creare una sorta di “pianeta delle scimmie”, una nuova attrazione, che dovrebbe essere pronta per l’anno prossimo. E che dovrebbe costituire il famoso salto di qualità dello zoo di Napoli in termini di caratterizzazione, poiché avremmo esemplari che non sono presenti in nessun altro zoo d’Europa. E poi bisogna impegnarsi sugli aspetti che oggi vengono considerati fondamentali per un’istituzione del genere, vale a dire conservazione delle specie e ricerca scientifica.

Cosa si intende per “conservazione delle specie”?

Bisogna sapere che anche i leoni da qui ai prossimi 10 anni saranno in via di estinzione; si prevede che intorno al 2050 quasi tutte le specie animali si potranno vedere solo negli zoo o nei parchi protetti, quindi sarebbe fondamentale riuscire a far procreare esemplari che già abbiamo, per esempio il siamango, un tipo di scimmia o la tigre di Sumatra (ne esistono solo 400 in tutto il mondo), o altre specie in pericolo. La ricerca scientifica invece la vorremmo orientare all’etologia, lavorare, cioè, per mettere gli animali nelle condizioni ideali per non rimanere nella monotonia della gabbia. A questo proposito, i nostri collaboratori si impegnano a attuare una serie di diversificazioni che cambiano ovviamente da specie a specie ma anche da giorno a giorno, creando un vero e proprio programma che li mantenga impegnati.

C’è un modello al quale vi ispirate nel progettare la rinascita dello zoo di Napoli o seguite un percorso tutto vostro?

Guardiamo sicuramente ai grandi zoo europei e in Italia è una realtà interessante quello di Bussolengo, in provincia di Verona, di circa 400mila mq, quindi quasi 5 volte il nostro, è gestito molto bene e la ricerca scientifica è assai curata. Il nostro obiettivo è cercare di allineare gli standard qualitativi a quelli degli altri zoo. Dove il nostro personale segue anche corsi di formazione: siamo stati ad esempio a Copenhagen per apprendere tecniche di gestione degli animali che poi introduciamo qui. L’ambito in cui, invece, pensiamo di essere innovativi, nonostante siamo i più giovani ed i meno preparati, sono i social, abbiamo creato un sito internet e una comunicazione su FB molto avanzata, grazie all’esperienza informatica che fa parte del bagaglio delle aziende che dirigo. Abbiamo un’app tridimensionale, tra poco installeremo la telecamera che segue alcuni animali, il leone, per esempio: i bambini possono abbonarsi a questa applicazione per vedere da casa gli spostamenti e la sua quotidianità. Queste innovazioni tecnologiche secondo me sono fondamentali per il futuro dei nuovi zoo.

Che tipo di rapporto c’è fra lo zoo di Napoli e le istituzioni di studio e ricerca come l’Università e la stazione zoologica e acquario Anton Dohrn?

Laureandi dell’Università Federico II hanno preparato tesi in collaborazione con noi, e a breve presenteremo nostri progetti di ricerca per i quali l’Università metterà a disposizione dei tirocinanti; in questo momento per esempio il rettilario sta collaborando per cercare di far riprodurre la lucertola azzurra, che vive solo in un particolare habitat di Capri e che è in pericolo di estinzione. Devo dire che spesso la burocrazia limita e rende difficile questo tipo di attività. Fino ad ora non c’è stata nessuna collaborazione con la stazione Zoologica Dohrn, ma abbiamo in progetto di lavorare insieme sulle tartarughe marine, dato che loro monitorano da tempo le aree del litorale su cui le caretta caretta depongono le uova, e l’idea è di realizzare un percorso per la tutela dei nidi. Avevamo pensato anche di organizzare un percorso che unisca l’acquario, l’orto botanico e lo zoo, tutti luoghi vicini e caratterizzati da un patrimonio naturale che vale la pena di conoscere, creando un marchio unico e realizzando un circuito che li metta insieme. Ma, ripeto, non è facile!

Riuscite ad avere sponsor che vi sostengono?

Per il momento è tutto autofinanziato. E’ ancora prematuro cercare degli sponsor, perché il lavoro di rinnovamento non è completo e non voglio bruciarmi questa possibilità finché non siamo pronti. Abbiamo però già iniziato ad avere richieste da parte di aziende, per esempio la Coca-Cola ci ha contattato, ed abbiamo cominciato ad instaurare un rapporto con la giusta distanza. Anche perché gli sponsor hanno delle esigenze che devono però essere compatibili con quelle della struttura.

Qual è il più grande problema che ha avuto o che sta avendo da quando è iniziata la sua avventura qui?

Devo dire la verità, grandi problemi non ne abbiamo avuti, sono una persona schietta,  e abbiamo definito con chiarezza il nostro ruolo di gestori dello zoo, mentre le istituzioni che devono controllare il nostro operato vengono con tranquillità a verificare che lavoriamo secondo le regole. Il Ministero ci ha apprezzato moltissimo, perché avevano immense difficoltà a seguire la struttura e la Soprintendenza si fa vanto del nostro progetto di riqualificazione in tutta Italia…

Non pensa che nel racconto di una Napoli nuova, dal volto positivo, questa sua attività di imprenditore che decide di investire con successo in un settore che fa parte della storia recente della città quale lo zoo e che era stato del tutto abbandonato, possa farle acquisire un rilievo di tipo politico?

Quando abbiamo iniziato non ero assolutamente consapevole di questa possibile ricaduta, ma in effetti è come dice lei e me lo hanno fatto capire gli altri. E’ chiaro che un’iniziativa così vasta, che ha un notevole impatto sulla città, viene vista con grande favore da tutti i napoletani: raccogliamo consensi in modo trasversale e sui social la pagina FB dello zoo fa numeri altissimi, c’è molto interesse e questo ci lusinga. Il fatto è che tutti hanno capito che siamo concreti, lavoriamo sul serio, ripristinando una struttura che è pubblica, appartiene alla città.

A quattro anni dall’inizio di questo percorso, qual è la filosofia con la quale lo zoo si vuole proporre alla gente?

Bisogna saper suscitare emozioni e lo zoo ti regala una triplice emozione: quando sei bambino ci vai con i genitori, e resta il ricordo di quelle giornate piacevoli e divertenti; poi ci torni da genitore per accompagnare i tuoi figli, ed è bello dare loro le stesse impressioni provate da bambino; poi ci vieni da nonno… Quale luogo ti può regalare questa emozione che attraversa tre momenti della vita?! Ero convinto che sarebbe stato un luogo di successo. Mi piace vedere le mamme che entrano tenendo i bambini stretti per mano e una volta dentro li lasciano liberi di muoversi da soli, mi piace che i piccoli non vogliano più andare via quando vengono qui: è questa sensazione di tranquillità e sicurezza che voglio far arrivare alla gente.