Monsignor Strofaldi, dall’Isola Verde alla Patria Celeste.
Con il Vescovo emerito Mons. Filippo Strofaldi, scompare un uomo, un sa- cerdote e un vescovo che era venuto “a vivere con noi” come disse nella sua omelia il 14 febbraio del 1998 in occasione del suo acclamato ingresso nella Diocesi di Ischia.
Era venuto per gioire con noi, soffrire con noi, esserci vicino nelle avversità, consolarci nei pericoli, testimoniare la speranza. E con noi è rimasto fino alla fine, a sottolineare un legame che non si è spezzato, un filo al contempo esile e forte, che lo ha legato per circa 15 anni all’isola. Nonostante le amarezze, le delusioni, le disubbidienze, le provoca- zioni, sopportate con pazienza, a volte con ironia, con disillusione, persino con rassegnazione, ma mai senza amarezza.
Era venuto a “vivere con noi” ma non è mai stato un “ischitano”. Veniva dalla città nel senso proprio del “contesto cittadino”. Era un uomo
solare, vivace, ma poco incline a governare. Soprattutto poco propenso ad assecondare le divisioni e le liti di un’isola di provincia. Ha amministrato un clero secolare – salvo rare eccezioni – fra i più indisciplinati delle piccole Dio- cesi del Sud Italia. Ma non ha mai usato il bacolo del comando.
Credeva ai segni. E sarà ricordato per essere stato testimone ed artefice della prima storica visita di un Vicario di Cristo nell’Isola Verde. Quel 5 Maggio 2002 che resterà impresso nella memoria di tanti ischitani, impresso senz’al- tro più dell’accorato appello del Papa ad “ascoltare, accogliere, amare”. Un appello che si è perso – forse – nell’eco flebile di una voce che non c’è più. Credeva nel legame antico e forte dell’isola natia al più bel fiore d’Ischia, e con una paziente tessitura di rapporti fecondi con l’Ordine francescano ha ottenuto il trasferimento definitivo delle spoglie mortali di San Giovangiu- seppe della Croce a Ischia tra ali di folla festante, la stessa che in diversi anni di permanenza del Santo nella Chiesa di Sant’Antonio alla Mandra, non ne ha mai varcato il portone per una preghiera al Patrono. Credeva nell’accoglienza. Si deve a lui il Centro di prima accoglienza Giovan- ni Paolo II di Forio, inaugurato nel 2007.
Pochi sanno che ha destinato a quella e ad altre strutture sull’isola lasciti personali a lui intestati secondo le sue intenzioni. È stato un uomo e un sacerdote legato all’essenziale. Modesto nella vita privata. Uno stile francescano mai dichiarato. Vissuto. Per questo più sincero.
Non era uno che dipendeva dalle opinioni altrui. Quelle volte in cui ho avuto
la possibilità di ascoltarlo in confidenza, gli piaceva ripetere “ascolto sem- pre tutti, poi alla fine faccio come dico io”. Lo diceva con ironia. Non era la riaffermazione di un potere, né tanto meno scarsa considerazione della opinione degli altri. Piuttosto un modo per dire: “Non mi farò condizionare dalle vostre divisioni, da chi vorrebbe trascinarmi in un regolamento di conti con questo o con quello. Resterò me stesso, Filippo, Vescovo per voi”. Purtroppo non è bastato ad evitargli le amarezze di una Diocesi piccola ep- pure ingovernabile, che ha grandi esempi di devozione popolare e di attac- camento sincero dei fedeli alle tradizioni, ma anche tanti segni di contrad- dizione: divisioni, invidie, sprechi, povertà, emarginazione, sfruttamento del lavoro, ipocrisie.
No. Non era mai stato un ischitano fino in fondo Padre Filippo, come – forse sbagliando per modestia – amava farsi chiamare, a sottolineare l’affetto pa- terno che lo legava alle persone anziché il senso di autorità che gli derivava dall’essere “Episcopos”.
Non era “ischitano” il suo entusiasmo verso le “cose nuove”, il guardare oltre gli squarci azzurri del Cielo per le cose in cui credeva davvero, non era “ischitano” il non schierarsi, non era “ischitano” il senso dell’attesa. L’attesa di tempi migliori, l’attesa come speranza, l’attesa del trapianto nella prima malattia, l’attesa dell’intervento, l’attesa della guarigione, e poi gli anni di una febbrile attività.
Infine l’attesa del ritorno alla casa del Padre. Come evento sereno di chi aveva scelto per motto episcopale “Confitebor tibi Domine”. “Confido e confiderò sempre in te Signore”! Allora buon viaggio, Eccellenza!
Confidiamo con Lei nell’infinita misericordia di Dio, perché sia lieve il passag- gio dall’Isola Verde alla Patria Celeste. Noi pregheremo per Lei, perché Ella è stata soprattutto un uomo buono.
text_Lello Montuori | photo_archivi Nicola Iacono e Marianna Sasso