n.08/2006
Photo: Famiglia Federico
Text: Riccardo Sepe Visconti
Ernesto Federico è stato il primo ad intuire le considerevoli potenzialità del commercio ad Ischia e ad investire sulle grandi firme del prêt-à-porter. In anni di duro lavoro ha creato un’imponente holding di famiglia che ne fa uno dei buyers più corteggiati d’Italia, amatissimo dalle maison della moda.
Cominciamo dal principio, da quando eri ragazzino…
I miei genitori erano di Capri ma mia madre è cresciuta a S. Angelo, perché lì viveva la sua famiglia. Io sono nato nel dicembre del 1937, sotto il segno del Sagittario. La mia grande passione da ragazzo era il calcio. Ho cominciato a giocare intorno ai 14 anni e a 16 sono riuscito ad entrare nella squadra della Caprese come portiere. Raggiunta la maggiore età, ho cominciato a lavorare come trasportatore, in società con la famiglia Staiano che possedeva un camion. D’estate, insieme ai miei cugini, facevo il tassista e il lavoro era così tanto che non riuscivo ad allenarmi con la squadra, anche se la domenica erano i miei stessi cugini a spronarmi perché fossi il migliore in campo.
Facendo il tassista hai conosciuto persone famose?
Ho fatto il tassista per due o tre anni d’estate ed avevo una vecchia macchina decappottabile: ho trasportato sulla mia auto Ingrid Bergmann insieme alle figlie; ricordo che Gazzoni, il proprietario della società che produceva l’Idrolitina ogni volta che tornava da ‘La canzone del mare’, prima di salire sul taxi, dopo aver percorso una bella salita, si spruzzava in gola un po’ di gazzosa per recuperare il fiato. Un’altra volta ho avuto a bordo le figlie di Farouk, mentre mio cugino portava il re in persona. All’epoca, era possibile incontrare tanti di quei personaggi che se si attraversava la piazzetta quando era affollata, chiunque ti sfiorasse era un volto noto, eppure quel luogo per noi era tabù ed usavamo spostarci per i vicoli per non dare fastidio ai VIP.
Tu all’epoca vivevi solo a Capri o facevi la spola con S. Angelo a Ischia?
Stavo solo a Capri.
E mentre lavoravi giocavi anche a calcio?
Dai 16 ai 23 anni ho giocato per la Caprese. Sentivo di essere nato per lo sport. D’inverno la squadra era al completo, ma non appena si affacciava la bella stagione si scioglieva, perché i giocatori avevano troppo lavoro, per cui i risultati raggiunti nel periodo invernale si perdevano. In seguito mi sono spostato a Ischia. Qui ho cominciato giocando nella vecchia Aenaria di Lacco Ameno.
È stato il calcio a portarti sulla nostra isola?
Sì, la mia era un’autentica passione.
Avevi già una base qui?
Sì. Mia madre nel 1957 aveva avviato un negozio di abbigliamento a S. Angelo.
Di cosa si occupava prima tua madre?
Era commerciante a Capri, ma faceva l’ambulante, perché non era riuscita a mettere su un’attività fissa.
A quel tempo eravate una famiglia povera o benestante?
Non eravamo benestanti, direi piuttosto una famiglia semplice, ma con dei solidi principi. Mio padre ha goduto della stima e dell’affetto di tutta la comunità isolana.
Qual era il mestiere di tuo padre?
Faceva il meccanico, è stato uno dei primi ad occuparsi di motori e meccanica a Capri. Mio padre sperava che diventassi impiegato per avere un posto sicuro, mia madre, invece, voleva che ci interessassimo al mondo del commercio perché riteneva che fosse più redditizio.
Dov’era il negozio di tua madre a S. Angelo?
Si trovava al centro e si chiamava già ‘La Caprese’. Era stato scelto questo nome perché Ischia si affacciava allora sulla scena nazionale ed internazionale, mentre Capri era una meta già ben conosciuta e frequentata.
Quali e come sono i tuoi primi ricordi di Ischia? Sei entrato subito nelle grazie degli Ischitani?
Sono stato sempre molto schivo. Non sono mai riuscito ad entrare nelle simpatie degli altri. Ero molto concentrato sui miei impegni.
Vuoi dire che ti sei rimboccato le maniche e hai pensato più al lavoro e meno alla vita sociale?
Pensavo a crescere nel lavoro e nel calcio.
Quanto tempo hai lavorato con tua madre?
Sono rimasto a Ischia fino a prima di partire per il servizio di leva. In quel periodo persi mia madre e mi ritrovai a dover scegliere tra la possibile di vivere a Capri, lavorando come trasportatore e tassista, oppure trasferirmi a Ischia e occuparmi del negozio d’estate e giocare, invece, durante l’inverno.
Cosa ti fece decidere per la nostra isola?
L’amore per il calcio e la possibilità di avere la libertà che desideravo, perché il fatto di essere il più piccolo della famiglia non mi permetteva di prendere le mie decisioni.
Cosa facesti a Ischia?
Riaprii il negozio di mia madre, in realtà si trattava di un bazar. Cercavo di comprare tutto quello che pensavo potesse essere venduto, ma la verità è che non conoscevo i segreti del commercio. Infatti, ad un certo punto mi raggiunse mia sorella, che aveva le capacità giuste per negoziare a differenza di me che provavo pudore nel rapportarmi con il cliente. Soltanto col passare del tempo ho scoperto il mio interesse per l’abbigliamento: d’inverno mi recavo a Capri per imparare a confezionare gli abiti su misura da amici. Per 4 o 5 anni ho portato avanti questo negozio che noi chiamavamo ‘La Caprese Madre’. Negli anni ’70 comprai un altro negozio nel centro di S. Angelo che si chiamò ‘La Caprese Più’ e allora già avevo grandi case di moda come Versace e Armani.
Nel 1971 conobbi un ingegnere milanese, Longari, che mi propose di andare a St. Moritz per comprarvi un negozietto in società. Riuscì a convincermi prospettandomi grossi guadagni e dicendomi che la merce poteva essere venduta ad un prezzo maggiore rispetto ad Ischia (10 volte tanto rispetto a S. Angelo). Affittammo una casa poco lontano dal centro. Avevo la cifra necessaria per acquistare il locale, mentre l’ingegnere, cui piaceva divertirsi e dissipare i propri guadagni, non possedeva niente. Mentre eravamo in trattative con le banche e con il notaio per poter ottenere un mutuo, il progetto andò in fumo. Comunque è stata un’esperienza che mi ha segnato moltissimo perché ho capito tante cose.
In che senso?
Frequentare il mio amico mi aprì la mente, mi fece uscire dal mondo limitato delle isole in cui avevo vissuto fino ad allora. Lui mi propose anche un secondo affare: voleva acquistare (in verità con i miei soldi!) pezzi di antiquariato da rivendere a caro prezzo a clienti americani non proprio esperti. Compravamo gli oggetti a Colico, al confine con la Svizzera, per poi rivenderli a Milano. Ho fatto l’antiquario per 5 mesi, da ottobre a marzo, mentre i miei negozi erano chiusi. Allora avevo 34 anni e ormai mi ero lasciato alle spalle la carriera da calciatore. Rivendevo mobili ed oggettistica d’arte dicendo che venivo da Caserta, perché se avessi detto che i pezzi provenivano da Colico, a soli 100-150 Km da Milano, gli acquirenti si sarebbero subito riversati dai nostri grossisti a comprare senza la nostra mediazione. Per un certo periodo, quindi, ho incassato molto denaro, grazie al mio amico ingegnere, e facevo attenzione per evitare che potesse sperperare tutti i nostri guadagni.
E poi cosa è successo?
Dovetti rientrare perché volevo mettere su un altro negozio a Ischia, dal momento che il progetto di St. Moritz non era andato in porto.
E i negozi andavano bene qui a Ischia?
Quando tornai dalla Svizzera seppi che si era liberato a S. Angelo un locale ampio, che poi ho utilizzato per realizzare appunto ‘La Caprese Più’. Grazie all’aiuto del dott. Santi, medico e dirigente delle Terme di Rizzoli, rilevai il negozio con mio cugino Ernesto del ristorante ‘Il Pescatore’ e Ferdinando Calise. Lì sorse la nuova boutique. Un gioielliere milanese, Coreani, mi diede i consigli giusti nello scegliere le case di abbigliamento da inserire nel negozio, mi suggerì di andare a Milano a comprare i marchi Codice e Callaghan, allora disegnati da Versace e così feci. Quando tornai a Ischia mi resi conto che si vendeva benissimo e tutti compravano perché i capi erano molto belli. Recuperai abbondantemente i 50 milioni che avevo investito. In seguito feci rimettere a posto il negozio dall’architetto Longo. Fui anche molto criticato perché mi dicevano che S. Angelo non aveva bisogno di un negozio che sembrava più adeguato alle grandi città. La vetrina era molto ampia, circa 2 metri e mezzo, alcuni articoli erano sistemati a terra e le pareti erano rivestite di tessuto. Ricordo che soprattutto il sabato e la domenica arrivavano nei negozi fiumi di gente da terra e da mare. Questo, mi procurava una soddisfazione oltre che economica anche morale e costituiva un trampolino di lancio per poter intraprendere altre iniziative. Il prét-a-porter qui a Ischia fino a quel momento era sconosciuto.
Quindi quali erano i punti vendita ‘La Caprese’?
Nel 1982 aprii un negozietto dove si trova l’albergo Giusto, poco oltre piazzetta S. Girolamo, che a me, in realtà, serviva come finestra della ‘Caprese’ a Ischia, anche per evitare che qualcun altro facesse negozi simili ai miei. All’epoca c’erano due locali in vendita: uno era ‘La Fiorentina’, che trattava borse ed accessori (dove adesso si trova ‘Liu Jo’), e poi c’era, il negozietto di Giusto. Per non avere dissapori con Luciano Marino, decisi di acquistare il locale più piccolo. In seguito, nell’83-’84, comprai il negozio grande poco prima della piazzetta. Era importante riuscire a lavorare anche nei mesi invernali, con gli ischitani, invece che limitarsi alla sola stagione turistica.
Quanto è stata importante tua moglie in quest’avventura?
Molto, mi è sempre stata vicina. Ha una volontà di ferro, è stata una mamma esemplare. Anche mia moglie si occupava della sartoria e confezionava gli abiti per i tedeschi che venivano in vacanza qui. Siamo stati sempre uniti nello scegliere gli acquisti da fare, nel decidere i campionari. La nostra vita è stata come un grande mosaico, dove aggiungendo tassello dopo tassello siamo cresciuti sempre più.
Adesso quanti punti vendita hai?
Ne ho sette.
Pensi di ingrandirti ancora?
Ci sono delle zone in cui non sono presente. I sindaci, a Lacco, a Forio, mi incoraggiano ad aprire perché sanno che se c’è un negozio di alto livello, poi se ne aggiungono altri.
Tu hai la grande fortuna di avere la famiglia unita: i tuoi figli sono presenti nell’azienda e non ci sono stati disaccordi in seno al nucleo familiare….
Devo dire che ognuno ha le proprie idee ed i giovani vogliono che i loro progetti siano portati avanti. Lascio loro una certa libertà, ma cerco di porre un freno quando necessario: siamo un’azienda e non un negozietto, fatturiamo come un albergo.
Non pensi che al giorno d’oggi un solo negozio non ce la può più fare e quindi per poter andare avanti bisogna necessariamente ingrandirsi sempre più?
Penso che ‘La Caprese’ abbia fatto scuola in Campania: prima non si comprava in provincia perché era più conveniente spostarsi e spendere a Napoli. A Ischia ho portato i grandi nomi ma ho presentato anche articoli accessibili a chi ha minore disponibilità economica, un’iniziativa che mi ha aiutato nei momenti di stasi del commercio.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai ancora qualche sogno nel cassetto?
La famiglia è grande e non ci vogliamo limitare a vendere abbigliamento, vogliamo diversificare gli interessi, anche perché la fatica e le preoccupazioni sono tante: si spende molto per comprare la merce e i frutti si raccolgono alla fine dell’anno, nel frattempo bisogna sperare che le vendite vadano sempre bene.
Ci sono altri settori in cui ti piacerebbe investire?
Vorrei realizzare un albergo d’élite, una piccola bomboniera dove accogliere solo un certo tipo di persone. In un certo senso trasferire lo stile de ‘La Caprese’ anche nel settore alberghiero mi darebbe molta soddisfazione.