Friday, November 22, 2024

Business- UNA VALIGIA PIENA DI PROGETTI

32/2012

Text: Riccardo Sepe Visconti

 

Lello Carlino, patron di Carpisa e socio Yamamay, innamorato da sempre dell’isola d’Ischia, forte di una solidissima amicizia con il sindaco Giosi Ferrandino, ha deciso di fare ingresso nella società calcistica Ischia Isolaverde, dove probabilmente assumerà il ruolo di presidente per il campionato 2011-2012 e, inoltre, insieme ad altri imprenditori napoletani, uno tra tutti l’amico Pino Celentano (colui che, negli anni ’80, strappò Maradona al Barcellona, portandolo al Napoli!), ha dato il via al progetto Green Island. Un’idea assolutamente innovativa, che potrà trasformare l’attuale stadio Mazzella in un moderno centro multifunzionale, che prevede uno spazio per congressi, sale cinematografiche, negozi e luoghi di ritrovo. Qual è il tuo legame con l’isola d’Ischia? Amo definirmi ischitano d’adozione: da 40 anni frequento l’isola, fin da ragazzo per me Ischia era sinonimo di vacanza, durante i quattro mesi estivi. Tra i miei ricordi di gioventù ci sono il Mamunia, il Castillo De Aragona – che considero uno tra i più bei locali che abbia visto nella vita, pur avendo viaggiato tantissimo, per il suo fascino particolare, la vena romantica che ha – il pane di Boccia caldo con la mortadella alle quattro del mattino, i cornetti al porto, a settembre, prima di ripartire, l’acquisto dei jeans per la scuola al Semaforo… Dammi il tuo punto di vista sull’isola di Ischia, una persona che la conosce così bene l’avrà vista trasformata in tutti questi anni… Molto trasformata: un cambiamento in negativo cominciato circa 25 anni fa, c’è troppo abusivismo, troppo traffico, non è più “l’isola verde” di un tempo. All’epoca la tua famiglia aveva negozi nella zona del mercato, a Napoli? Sì, noi nasciamo a piazza Mercato con negozi di abbigliamento. Mio padre è il secondo di nove fratelli, tutti commercianti tranne uno, avvocato. Mio zio Antonio Carlino ha avuto l’intuizione di aderire al progetto del CIS di Nola ed era nel consiglio di amministrazione storico. Tra i consiglieri di allora c’erano Gianni Punzo, che attualmente è il presidente e Gianni Nappi. Spesso, quando parlo di lungimiranza imprenditoriale, porto ad esempio proprio il CIS: negli anni ’80 era impensabile spostarsi da una sede storica per i commercianti napoletani come piazza Mercato per andare a investire a Nola, eppure chi ha ideato il CIS ha capito che c’erano le potenzialità per creare – al posto dei campi di fave – un centro commerciale che oggi è fra i primi in Europa. Per i quattro-cinque anni iniziali si è sofferto un po’; però, man mano che miglioravano i collegamenti e nascevano servizi all’interno del CIS, come banche e punti di ristorazione, tutti i commercianti hanno deciso di spostarsi: da allora piazza Mercato è sparita e il CIS ha preso il volo. Per la tua famiglia e la tua azienda è nel CIS che c’è stato il salto di qualità? Più che nel CIS, nel cambio generazionale: i fratelli di mio padre erano riuniti in un’unica società, avevamo circa sette punti vendita di abbigliamento nella zona di piazza Mercato, corso Umberto e della ferrovia, successivamente è nato un negozio di pelletteria che ancora oggi è una sede Carpisa, il negozio storico fondato da mia nonna. All’epoca della fondazione, nel dopoguerra, si chiamava “Al Vero Leone”: questo nome si deve al fatto che mia nonna aveva la bancarella a corso Umberto e non era ben vista dai commercianti del luogo, poiché faceva l’ambulante e quindi non la consideravano degna di avere la licenza. Quando la ottenne dal Principe D’Angelo, che le concesse anche il locale in fitto, disse: “Ho ruggito e ho vinto io, ce l’ho fatta!”. Ricordo questa storia volentieri per far capire la tenacia della famiglia: siamo molto determinati negli obiettivi che ci prefiggiamo. Com’è far parte di una famiglia così numerosa, con tanti fratelli, zii, cugini? La famiglia di stampo patriarcale come la nostra è servita, perché ognuno di noi ha delle caratteristiche diverse, ma nel DNA dei Carlino c’è il grande intuito commerciale. Il cambio generazionale è avvenuto con mio padre Gennaro, proprio nel negozio “Al Vero Leone”, quando si è discostato dal settore abbigliamento per trattare le borse. Intuì, però, che producendole da sé il guadagno sarebbe stato molto superiore e quindi nel ‘52, quando aveva appena 20 anni, fondò la fabbrica. La passione di mio padre per le borse l’ho ereditata io, che sono il primogenito e a 11 anni ero già in azienda a lavorare. Più che una fabbrica, eravamo un gruppo di artigiani, che facevano mestieri tipici di Napoli che ormai stanno scomparendo: abbigliamento, guanti, calzature, camiceria, confezioni per l’eleganza maschile. Molti, oggi, si sono trasferiti in Cina per un problema di costi, anche Carpisa ha dovuto farlo: date le grosse dimensioni del progetto di brand, non si poteva pensare di produrre né a Napoli, né in Italia. Realizziamo 10 milioni di pezzi e neanche tutte le fabbriche di Napoli riuscirebbero a soddisfare tale lavorazione, delocalizzando la manodopera in Cina riusciamo a tenere un ottimo rapporto qualità-prezzo. Come riuscite a produrre in Cina e a mantenere alta la qualità? Lo stile e l’idea partono sempre dall’Italia, io sono il presidente di Carpisa e anche il delegato al prodotto sia in Italia che in Cina. Abbiamo un ufficio stile, con 25 ragazzi che studiano e progettano in Italia: in tal modo, riusciamo a conciliare l’italianità del progetto con la fattibilità cinese. In Oriente abbiamo più di dieci collaboratori che eseguono controlli di qualità, inoltre i vertici dell’azienda sono sempre italiani, e questo fa sì che il nostro prodotto sia sempre all’altezza del “made in Italy”. Hai altre aziende oltre a Carlino Diffusion, specializzata in valigeria e Carpisa? Sì, un’altra, Miriade, che produce marchi di pelletteria su licenza: Rocco Barocco, altro ischitano d’adozione, Mario Valentino, nome storico di Napoli, Krizia e Lancetti. Sei tu a seguire tutto o i tuoi fratelli collaborano con te? I progetti li ho iniziati tutti io, ma ora che sono ben avviati abbiamo potuto crescere con le nuove joint venture, sia in Italia che all’estero: siamo in società con la famiglia Cimmino, Gianluigi e Luciano, fondatori di Original Marines e collaboratori di Bassetti, che hanno creato Yamamay. Abbiamo effettuato una fusione paritaria delle due aziende, dividendo le quote al 45 % per Cimmino, e 45 % per Carlino e, da quest’anno, il 10% a banca Intesa. Possiamo dare un’idea di fatturato delle vostre aziende nel complesso? Quest’anno chiuderemo con un fatturato totale di 320 milioni di euro. Quanti punti vendita avete nel mondo? 120 negozi tra Carpisa e Yamamay e 1000 franchising. Quali sono i prossimi obiettivi per le tue aziende? Stiamo lavorando molto per l’entrata in Borsa, perché a questo punto è l’obiettivo di un gruppo come il nostro, soprattutto da quando è socio Banca Intesa; ma prima di fare questo passo vorremmo fortificare un po’ di più il fatturato all’estero. Ricapitolando, l’azienda produce in Cina ma rimangono ben saldi il marchio e lo stile italiani: non c’è nessuna possibilità di tenere qui anche la produzione? Per il nostro target di mercato, purtroppo no. Quello che ci ha premiato è il prezzo accessibile che, nonostante una crisi così drammatica, ancora ci consente di mantenere le posizioni acquisite: sono 11 anni di franchising e non abbiamo mai cambiato i prezzi in vetrina, anzi abbiamo aumentato la qualità ma non i costi, e questa è una prerogativa dei nostri brand. Ci sono dei margini per far crescere il “made in Italy”? Secondo me c’è molto da fare per il “made in Italy”, tuttavia non con marchi come i nostri che sono low cost. Si deve lavorare, piuttosto, nel settore del lusso che è fortemente identificato con l’Italia e ci sono mercati in espansione pronti ad acquistare prodotti di fascia alta, come la Cina, l’India, il Brasile, l’Argentina. All’estero, quali sono i Paesi in cui vendete di più? Stiamo lavorando benissimo in Spagna con partners come El Cortes Inglès, tra i più grandi drugstore mondiali: da quest’anno abbiamo aperto dei corner nei loro punti vendita e sono partiti in maniera eccellente. Anche a Dubai e in tutta l’Arabia Saudita abbiamo trovato un partner molto forte, ci stiamo espandendo nella ex Jugoslavia e, paradossalmente, anche in Grecia. Che ruolo rivesti tu nell’azienda: chiudi i contratti o segui il prodotto? Mio fratello, che ha 15 anni meno di me, segue tutto il settore amministrativo-commerciale. Io viaggio per trovare nuove idee, infatti sono lo stilista del gruppo ed è quello che mi piace di più, amo creare borse, a prescindere dai guadagni. Come nasce una borsa? Che passaggi sono necessari per avere una nuova collezione nelle vetrine? Partiamo da quelle che sono le tendenze di moda, colori e materiali, che individuiamo con un costante lavoro di ricerca, anche nei mercatini, ovunque ci possa capitare di cogliere un’idea la portiamo a casa, qualsiasi cosa che stimoli la creatività – abiti, un fiore, una pianta – la fotografiamo, creiamo i prototipi e poi mettiamo insieme la collezione Carpisa. Veniamo a Ischia. Sei presidente onorario della squadra di calcio Ischia Isolaverde e stai varando Green Island, una società che vuole acquistare circa la metà delle azioni della squadra. Contemporaneamente, pensate di rinnovare lo stadio Mazzella, rendendolo fruibile per 10mila spettatori e dotandolo di un centro commerciale. La notizia di questo progetto ha generato polemiche fra i commercianti ischitani che non l’hanno recepita con entusiasmo… Al momento, è stato presentato un progetto che riguarda gli interventi sulle aree dello stadio dedicate alle attività sportive; la parte commerciale, invece, è ancora da definire insieme con politici ed imprenditori isolani. Voglio chiarire che non è mia intenzione venire a colonizzare Ischia, non sono venuto a fare business ma in primo luogo sport. In un’isola così in crisi se ci fosse un imprenditore capace di investire su Ischia, io non vedrei assolutamente la cosa in maniera negativa. Vorrei far nascere un centro commerciale, ma molti hanno dei dubbi che possa funzionare. Secondo me, invece, potrebbe lavorare bene: come ho detto vengo a Ischia da sempre e non ho visto nessun cambiamento epocale, che abbia dato una svolta e certamente non penso di poterla dare io con la creazione del centro, ma credo che potrebbe essere positivo se cominciassimo a realizzare delle attività ricreative – destinate anche agli ischitani – per esempio una multisala, che manca, una piscina degna di questo nome, una polisportiva, una pista di pattinaggio o qualsiasi cosa ci venga in mente, per far sì che Ischia aumenti e migliori la sua offerta nel settore dello svago per i residenti e i turisti. Secondo Lello Carlino, Ischia è un’isola in cui si può credere? Di novità ad Ischia non ne vedo da parecchio, quindi anche un supermercato degno di questo nome è ben accetto. E’ normale che i centri commerciali, quelli puri, creino un po’ di scompensi nelle piccole cittadine, ma a lungo andare funzionano e si vede anche quanto lavoro danno: qui potremmo creare circa 1500 posti, tra commercianti e varie attività, sarebbe davvero una grande occasione per l’isola. Ormai il turismo a Ischia si è molto legato al format del low-cost, che viene visto come l’unico modo per vendere le migliaia di stanze d’albergo realizzate negli anni: in considerazione di questa realtà, le nuove attività che si aprono devono necessariamente essere molto commerciali o c’è spazio anche per quelle più esclusive, per il lusso? Oggi, lo sai, il mondo è spaccato in due, ricchi e poveri: il settore che sente meno la crisi è quello del lusso e chi la subisce di più è la classe media, sono in grave difficoltà il piccolo negoziante, il bancario, l’impiegato dipendente, lo statale e tutti quanti un tempo avevano uno stipendio degno, mentre ora soffrono. Fare lusso ad Ischia è una delle mie priorità, ma per portare di nuovo il turismo con maggiori capacità di spesa che veniva una volta, bisogna dare qualcosa in cambio. Non dico che si assolva a questa esigenza con un centro commerciale, ma sicuramente “ristrutturare” commercialmente una strada come via Roma, facendo crescere la qualità dei negozi presenti, sarebbe importante. Molti russi che vengono in vacanza qui prendono l’aliscafo per fare shopping a Capri ed è un’assurdità visto che Capri è un isolotto rispetto ad Ischia, ma è vero che qui attualmente si offre davvero poco a turisti che hanno un grandissimo potenziale di spesa. Potresti essere tu la persona che inverte l’attuale tendenza al low-cost del commercio a Ischia? Te la sentiresti di assumerti questa responsabilità? Da soli non si fa nulla. Io ho lanciato un’idea che deve essere condivisa: è partita da me e da tutti gli amici della Green Island, che sono entusiasti del progetto, però se non incontriamo la complicità del popolo ischitano non possiamo andare avanti. La persona che mi ha dato coraggio è stato il sindaco Giosi Ferrandino: con lui ho visto Casamicciola cambiare in meglio ed ora anche Ischia sta cambiando. Veniamo, finalmente, al calcio: chi te l’ha fatto fare di entrare in un mondo così complesso? Me lo dicono anche i miei amici e la mia famiglia! Sono molto vicino ai fratelli Ferrara, Ciro e Vincenzo, loro mi hanno presentato Nicola Crisano (Ndr. Attuale direttore generale della squadra Ischia Isolaverde) e, tramite lui, ho conosciuto il sindaco Giosi Ferrandino e l’Ischia Calcio. Ecco, tutto è nato dall’amicizia col Sindaco e dalla sua passione per il calcio in cui mi ha coinvolto. Mi sono appassionato subito alla squadra, fin dalle prime trasferte; mi è piaciuta anche l’opportunità di “fare calcio pulito”, cosa che non sempre è facile in Campania, dove gli imprenditori non si legano volentieri a questo sport. Qui, invece, per quanto la tifoseria sia abbastanza calda, ho visto poca violenza, che è la cosa di questo sport che mi ha sempre spaventato (proprio per evitarla, finora mi sono interessato solo al calcio femminile). Adesso, il mio primo obiettivo è completare questa gestione, c’è un residuo da saldare e va fatto in pari quota con l’attuale compagine societaria per pareggiare il bilancio, in modo che Green Island possa entrare in una realtà con i conti in ordine. C’è questa volontà da parte degli attuali soci dell’Ischia Isolaverde? L’unica volontà che ho visto fino ad ora è quella del sindaco Ferrandino, la mia garanzia è sempre e solo lui purtroppo, e il progetto va avanti se c’è lui. La squadra del futuro: mi spieghi l’anno prossimo cosa succederà? Devo parlare con gli attuali soci dell’Ischia Calcio, per capire se vogliono cederci le proprie quote: spiegherò le mie idee, se verrò accettato entrerò con tutto il gruppo, la società Green Island appunto, acquisendo una quota e mantenendo l’attuale dirigenza. Avevi posto come condizione che la quota di Green Island fosse del 51%, altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla. Sei ancora di questa opinione? A dir la verità il 51% era la quota minima che mi voleva dare il sindaco Ferrandino. Per me più siamo e meglio è, si potrebbe anche creare una società con circa 60 persone, che versano una quota di partecipazione: nessuno farebbe grossi investimenti, ma una scelta del genere non credo ci porti lontano. Io preferirei guardare a un modello come quello del Chievo: una società solida con degli imprenditori che hanno le basi economiche giuste perché la squadra cresca. Il progetto sportivo può dare anche visibilità all’isola: se l’Ischia Calcio accede a categorie superiori, come la C1, si può avere anche un ritorno turistico forte, perché giocando in tutti i campi d’Italia, di noi parlerebbero i giornali a tiratura nazionale e sarebbe una pubblicità indiretta da cui il turismo potrebbe trarre beneficio. Non ti pare che l’attenzione intorno alla squadra sia aumentata? So che le presenze allo stadio sono triplicate. Uno dei motivi per i quali mi sono appassionato da subito all’Ischia – e l’ho sempre detto – è la tifoseria che ti sa esaltare, trasmettere emozioni: vedere lo stadio pieno per un presidente, un dirigente o uno sponsor è il più bel motivo per dire: “vado avanti”. Il giorno in cui farò parte anche io della dirigenza e verrò criticato, sarò sempre a disposizione del Sindaco e degli ischitani per ogni chiarimento, proprio perché non voglio fare il padrone. Il campionato 2011-2012 quanto è costato? 860 mila euro: chi gestiva ha sforato il budget di 150mila euro, che abbiamo coperto noi. Quindi, se questo progetto andrà avanti, si fonderà su due pilastri, la politica rappresentata dal Sindaco e l’impresa rappresentata da te. L’impresa non è rappresentata solo da me perché io faccio parte di un gruppo, tutti amici miei, che senza lasciarselo ripetere due volte hanno firmato quanto serviva per la società, fidandosi di quello che proponevo, e questa è una della grandi soddisfazioni della mia vita. Quanti mal di pancia procura gestire una squadra di calcio? Abbastanza, se guardo a quest’anno – nonostante lo abbia vissuto da spettatore – dovrei fuggire da Ischia. Ad un certo punto, ho creduto che potessimo vincere il campionato, ma comunque arrivare al terzo posto e fare i play off, al primo anno di sponsorizzazione Carpisa-Yamamay, per me è un risultato prodigioso. C’è un po’ di rammarico poiché abbiamo perso in malo modo per qualche errore di troppo, ma forse mi è servito per capire come impostare non solo la società, ma anche la squadra tutta per l’anno prossimo, nel caso in cui dovessi entrare a far parte della dirigenza. Quanto credi a questo progetto? Quando faccio una cosa sono caparbio, infatti il mio marchio è la tartaruga: un animale saggio, che medita, in Cina è venerato come portafortuna, ha la corazza dura, guarda lontano, e poi è umile. Quello che premia l’uomo nella vita è l’essere umili, tenendo sempre a mente da dove si è partiti e non dove si è arrivati.

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