21/2008
Photo: Riccardo Sepe Visconti
Text: Emma Santo
Lei è qui ad Ischia per girare “Un’estate al mare”. Oltre ad Anna Falchi ed Ezio Greggio, quali saranno le altre coppie del film?
Lino Banfi sposato con la bellissima Victoria Silvstedt, Massimo Ceccherini e Marisa Jara, Nancy Brilli ed Enrico Brignano, Biagio Izzo e Alena Seredova. In più ci saranno Enzo Salvi e Gigi Proietti, quest’ultimo nei panni di un attore smemorato che fa fiasco a teatro e decide di darsi alle barzellette. Sono sette episodi, ogni settimana affronto un minifilm dove ognuno porta un suo tipo di comicità, si passa da quella di Ezio che è un po’ più surreale a quella di Proietti che è più teatrale.
Cosa l’ha spinta a scegliere Ischia come ‘location’ in cui ambientare uno dei suoi episodi?
Da bambino venivo proprio in questo albergo (ndr. Regina Isabella) con mio padre (ndr. il regista Steno) in virtù di un’amicizia che ci legava ad Angelo Rizzoli. Quest’ultimo attraccava il “Sereno”, la sua barca, qui davanti e c’era un bellissimo viavai di signori del grande schermo, tra cui ricordo i registi Camerini, Monicelli, Soldati. Si respirava un’aria di cinema che è rimasta scolpita nella mia testa. Così quando mio fratello (ndr. Enrico Vanzina, sceneggiatore) ed io abbiamo selezionato varie località ‘mitiche’, da proporre come scenario del nostro film, abbiamo pensato subito ad Ischia, che non avevamo mai sfruttato cinematograficamente. E devo dire che mi trovo benissimo, l’accoglienza al Regina Isabella è incredibile. Inoltre sono molto legato ai ricordi dell’Ischia che vedevo nei film. Sto leggendo un libro di Neil Simon, sceneggiatore di “Caccia alla volpe”, in cui racconta vari aneddoti, come quello di Peter Sellers che voleva a tutti i costi guidare il suo macchinone americano, nonostante le stradine isolane fossero troppo strette. Sono altrettanto affezionato ad “Appuntamento ad Ischia” realizzato da Camerini per Rizzoli ed a “Il corsaro dell’isola verde” con Burt Lancaster, girato a S. Angelo. Ischia è stata una location storica a torto trascurata dal cinema negli ultimi anni, quindi cerchiamo di restituirle valore.
Cosa ha appreso da suo padre Steno?
La capacità di non prendersi sul serio, il gusto della cultura, e soprattutto ci ha tramandato il rispetto per il pubblico, perché quando fai un film che vuole essere popolare e divertente devi metterti al servizio degli spettatori. Mi ha trasmesso, inoltre, un grande amore per la tradizione. Noi siamo rimasti gli ultimi che hanno cercato di mantenere questo legame con la ‘commedia all’italiana’ degli anni ‘50 e ‘60, che da bambini ci divertiva moltissimo. Perciò la riproponiamo con un linguaggio diverso, in versione “aggiornata”, i tempi sono cambiati ma la matrice è sempre quella.
“In una cinematografia seria come quella americana, noi Vanzina saremmo venerati come Spielberg. Qui dobbiamo vergognarci”, ha detto in un’intervista. Cosa intendeva?
Proprio di questo parlavo giorni fa con Carlo Verdone. Sono trent’anni che facciamo questo mestiere e da trent’anni lo facciamo con successo. In America chi ha successo è premiato, qui siamo giudicati con un sopracciglio alzato. Questo ci dispiace perché in realtà gli spettatori ci premiano e la critica dovrebbe comunque registrare questo consenso, cercare di capirne le ragioni, invece di darci addosso, tacciandoci di comicità ‘facile’, ‘dozzinale’. Spesso fanno degli ‘osanna’ a film che poi non hanno riscontro con il pubblico.
E se stesse lei ‘dall’altra parte’?
Se fossi un critico sarei propenso anch’io a premiare chi tenta nuove strade, ma cercherei anche di capire le ragioni del successo, e visto che il nostro è un Paese di ‘premiatori’ e ‘premiati’, penso che la commedia dovrebbe avere maggiori riconoscimenti.
Quanto è difficile far ridere?
Lo è molto, perché dietro al raggiungimento della comicità e della risata c’è un lavoro incredibile, non facile e devi avere anche degli interpreti adatti. È difficile fare una commedia senza attori comici. E l’attore comico che entra in una struttura dove trova delle situazioni comiche ci sguazza, perché può arricchire con il proprio modo di fare umorismo il materiale esistente. Quindi è molto importante la scelta dell’attore, così come scrivere per un interprete del quale già conosci le caratteristiche. Noi abbiamo lavorato quasi sempre con gli stessi, molti di loro ‘ce li siamo cresciuti’.
Quale l’attore comico per eccellenza?
E’ una bella lotta tra Totò e Sordi…
E tra quelli di oggi?
A parte quelli che lavorano con me, tutti molto simpatici, ho un grande amore per Diego Abatantuono e Christian De Sica, che oltre ad essere due cari amici sono due comici di gran carattere.
Come mai De Sica (dopo la ‘separazione’ da Massimo Boldi) non è rimasto con lei?
Per una questione di contratti, perché lui era legato molto ad Aurelio De Laurentiis. Alla fine siamo tutti amici…
E come mai l’inventore del “cine – panettone” ha detto “basta” ai film di Natale?
Perché si finiva per realizzare sempre lo stesso prodotto. In questi ultimi sette, otto anni abbiamo voluto fare tante altre cose che ci hanno comunque gratificato, abbiamo ripreso dei generi, abbiamo rifatto “Febbre da cavallo – La mandrakata”, “Il ritorno del Monnezza” con Claudio Amendola, “2061 – Un anno eccezionale”, lavorato a pellicole come “Il pranzo della domenica” premiato dai critici, diretto per la televisione “Un ciclone in famiglia”. Siamo riusciti a differenziarci ed è importante per chi lavora alla creazione dei film, che poi è la parte più divertente.
Crede che la televisione lavori e ‘faccia lavorare’ più del cinema?
Ormai si confonde un po’ con il cinema. Adesso in tv c’è la voglia di vedere la commedia e si riprende un po’ la tradizione che c’era nella vecchia televisione italiana. Ma secondo me se fai l’uno o l’altra è più o meno la stessa cosa. È anche vero che il film di Natale è un film per un pubblico più ‘paratelevisivo’ perché è il pubblico che magari va nelle sale solo quella volta durante l’anno. Mentre chi va sempre al cinema ha probabilmente un palato più fine e cerca qualcosa di diverso. Il cinema ha la magia del grande schermo, della condivisione dello spettacolo ‘tutti insieme’, nonostante la televisione sia l’amico di casa. Tu entri e senza nemmeno pensarci l’accendi.
Cosa fa di un film un ‘record d’incassi’?
Molto è dato dalla grancassa pubblicitaria, e poi un buon trailer, l’affetto per un interprete… Sono tanti i fattori, non c’è un assioma per trasformarlo in un successo.
Quando lavora ad un film con suo fratello Enrico, come in questo caso, chi partorisce l’idea?
Il film lo partoriamo insieme, non riusciamo più a ricordare chi ha detto ‘facciamo questo, facciamo quest’altro’, e non è una battuta, è proprio così. Siamo molto in sintonia perché abbiamo lo stesso modo di vedere le cose, cerchiamo sempre di fare dei film per il pubblico, di trovare la combinazione giusta per raccontare qualcosa di divertente.
Cosa va a vedere Carlo Vanzina al cinema?
Tutto, dal ‘pop corn movie’ con le mie figlie, a storie più ‘difficili’. Il problema è che la stagione cinematografica vera è compresa tra ottobre e la fine di marzo, così per forza di cose c’è una valanga di film. Calcolando che quelli che non vanno bene li ‘smontano’ subito dalle sale, dovresti vederne uno e mezzo al giorno e ovviamente non sempre ci riesci. Ecco perché il mio film uscirà a giugno.