Friday, November 22, 2024

n.12/2007

Photo: Marco Albanelli
Text: Annamaria Rossi

 

Gabriella Pession e Sergio Assisi sono in vacanza relax-termale al “Regina Isabella” , reduci dalla fiction “Capri”, uno dei grandi successi di questa stagione televisiva, che ha portato ad entrambi enorme popolarità e, nonostante siano quasi in incognito, accettano volentieri l’incontro con i nostri lettori. Prima arriva lei: maglioncino e pantaloni, capelli da cure termali, sembrerebbe ad un primo sguardo una semplice ragazza di ventisei anni in vacanza in una pensioncina. Ma basta un’occhiata poco poco più attenta e ci si accorge che è bellissima e decisamente a suo agio nell’ambiente raffinato che ci circonda : lineamenti delicati e senza difetti, incarnato diafano al punto giusto ed esente da imperfezioni, occhi di un particolarissimo e luminoso color nocciola chiaro. Quando inizia a parlare, in maniera schietta e spontanea, comunicativa al massimo, mi siedo volentieri con lei in un salotto tutto bianco e conchiglie stampate. Naturalmente il discorso cade sulla televisione mentre ci raggiunge lui, uno dei nuovi beniamini delle ragazze, anch’egli in jeans e maglione, barba incolta e capelli lunghi. In questo momento ha l’aspetto di un trentenne alternativo-no global in versione bella copia, occhi chiari molto intensi, bello e dannato, maledettamente espressivo, con le stesse caratteristiche comunicative della partner ed un’apparentemente consumata disinvoltura. Pensavo che mi sarei trovate di fronte due persone ‘con la puzza sotto il naso’ invece è esattamente il contrario. A questi presupposti, devo fare un’aggiunta: sono insieme a due, sia pur giovani, attori che prima di essere protagonisti in “Capri”, hanno lavorato in teatro e nel cinema con registi come Lina Wertmuller, Pieraccioni, Robert Young, Claudio Bonivento, Luciano Odorisio, accanto ad attori di grande bravura, quindi dall’esperienza comunque vasta e diversificata nei generi. Ritorniamo per un momento a “Capri”. Racconta Gabriella: “è stato faticoso, la fiction in generale lo è. Si girano innumerevoli ciak in una giornata, dalla scena in cui hai diciott’anni fino a quella in cui ne hai trenta e due figli. Devi saperti immedesimare ogni volta nel carattere e nelle varie fasi del personaggio con la giusta carica emotiva e, la sera, si è stanchissimi. Io in particolare non amo vivere su un’isola, mi sento chiusa in gabbia”. Interviene Sergio: “Capri è una continua vetrina, anche nel poco tempo libero non si è tranquilli, e a questo si aggiunge che la fiction è stata anche parecchio improntata sulla pubblicità dei luoghi in cui si svolge. Poi, se per caso è una giornata felice e devi interpretare la parte drammatica del personaggio, o viceversa ‘ti girano’ per qualsiasi ragione e devi per lavoro essere allegrissimo, la sera arrivi distrutto. Ci vuole esperienza e soprattutto la capacità di rimettersi in gioco continuamente”. Riprende Gabriella “nel cinema il problema esiste ma siccome i ritmi sono più lenti c’è più possibilità di riprendersi tra una e l’altra scena. D’altra parte essere scelti per una fiction significa, se si è fortunati come lo siamo stati noi, raggiungere una popolarità che nessun altro strumento ti può dare. Questi programmi, essendo storie semplici e di sentimenti immediati, sono molto vicine alla gente, ciascuno ci si può identificare, ecco il motivo di tanto successo presso un certo pubblico, me ne accorgo quando mi riconoscono per strada e mi accarezzano il viso perché mi vogliono bene attraverso il mio personaggio”. Quindi la popolarità ottenuta può servire ad ottenere, chiedo io, qualche cosa in più ed esattamente cosa? La risposta è condivisa da entrambi: “il teatro è la massima aspirazione, se non ti conoscono non ti viene a vedere nessuno. Ci piacerebbe interpretare un bel testo, non noioso, impegnato ma divertente. Poter scegliere di fare ciò che si desidera è splendido”.
Intanto Sergio Assisi di teatro ne ha già molto alle spalle, incominciando dall’Accademia del Bellini di Napoli diretta da Tato Russo, che gli ha consentito di interpretare nel tempo i ruoli più lontani tra loro, dalla commedia di Scarpetta alla tragedia greca, passando da Molière a Shakespeare per arrivare al teatro contemporaneo. Poi il cinema con la Wertmuller e tutto il resto, quindici anni intensi di esperienze, di difficoltà, di attese, di momenti esaltanti alternati a periodi decisamente neri: il lavoro dell’attore è fatto così. “Se si è abbastanza caparbi da riuscire a tener duro, le soddisfazioni prima o poi arrivano” mi dice. Chiedo quanto sia importante essere belli, nel loro mestiere e nella vita in generale. Sergio afferma che forse dovrei cambiarmi gli occhiali prima di riferirmi a lui come tale: è modesto o forse solo poco obiettivo? Mi risponde più concretamente Gabriella: “conta, conta, nel nostro lavoro e anche nella vita. Ma non conta niente se alla bellezza non viene aggiunta una notevole capacità di comunicare. Sapersi esprimere al meglio, bucare lo schermo, arrivare alla gente, fin dentro, questo è quello che conta di più. Ed è più facile se si riesce a rimanere se stessi. Mi viene in mente Giancarlo Giannini, con cui ho lavorato, che pur essendo un grandissimo attore è rimasto nella vita un simpatico ragazzino con cui scherzare e da cui apprendere molto”. Aggiunge Sergio: “è vero, io conosco attori bravissimi, ma poco comunicativi, altri non eccelsi che però sanno entrare in contatto con il pubblico attraverso i personaggi, per il loro particolare modo di interpretarli. E’ una dote naturale che non tutti possiedono ed è difficile, anche se non impossibile, da imparare”. Un attore deve avere modelli di riferimento, chiedo, e se non è indispensabile averne, c’è comunque qualcuno da emulare? Pare di no, o almeno non proprio. I nostri due eroi vorrebbero essere loro stessi, non hanno un modello ideale di attore e Gabriella aggiunge che “anche un bel testo aiuta, di fronte ai copioni di certi film ci si spiega la ragione del loro ingresso tra i miti del cinema. Si diventa personaggi indimenticabili quando un bravo attore interpreta con sensibilità una parte carismatica”. Da come parla si intuisce che lei non dispera, e la vedo abbastanza caparbia da saperci arrivare prima o poi, con la ‘tostaggine’ delle sue origini valdostane unita alla sua infanzia americana. Anzi, dirò che vedo bene entrambi, magari insieme come già spesso è capitato, diretti da un grande per una storia grande che tocchi i cuori di tutti.