19/2008
Photo: Marco Albanelli
ArtDirector: Riccardo Sepe Visconti
Text: Lucia Elena Vuoso
Models: Rosita D’Aiello
Jewellery: Gioielleria Bottiglieri
MakeUp: Nancy Tortora
Hair: Peppe Cirino
Assistant: Roberta Levato
Come hai cominciato?
Ero ad Ischia e avevo dieci anni e mezzo, facevo danza da Daniela Pugliatti e studiavo pianoforte da Teresa Coppa e mi piacevano entrambe le cose. Un giorno Teresa mi ha guardata e mi ha detto: “tu sei inquieta, ti muovi in continuazione, saresti una bravissima musicista ma ho come la sensazione che tu sia destinata alla danza, perché non chiedi un parere tecnico a qualcuno specializzato nel campo per vedere se è giusto che continui?”. Daniela quindi mi consigliò la Scala di Milano come massimo referente per avere un parere tecnico. Mia madre chiamò e le venne detto che c’erano le ammissioni al primo corso e che ero ancora in tempo per iscrivermi ma quello era l’ultimo giorno. Due giorni dopo partii con mio papà e feci la prova per vedere la postura, i legamenti e il fisico, con molte altre bimbe tutte in mutande e canottiera di fronte alla sbarra di legno. Passai questa selezione e fui ammessa alla seconda che consisteva in una visita medica approfondita per verificare che non avessi soffi al cuore o scoliosi molto gravi perché la danza a livelli alti non è indicata a chi ha questo tipo di problemi. Passata la visita medica fui presa per un mese di prova.
Eri molto piccola, non avevi paura?
Ho avuto paura di prendere l’aereo ma per il resto no: ero molto incuriosita e volevo solo vedere quello che succedeva. Avevo ed ho tuttora il difetto di essere curiosa. Ho iniziato a ballare perché mi piaceva utilizzare il mio corpo nella musica, sentire la musica attraverso il mio corpo, non so se sono una musicista mancata o una ballerina promessa. Avendo avuto un parere positivo, ho chiesto a Daniela Pugliatti di prepararmi con delle lezioni individuali per due settimane e poi, a settembre, sono ripartita per Milano. Dopo il mese di prova, di 60 bambine rimanemmo in 15 e iniziammo il corso vero e proprio. Alla Scala appendevano i risultati fuori, senza commenti e senza dirlo di persona. Io ero arrivata settima e mi misi a piangere perché volevo restare e non volevo più andare via, volevo vedere come andava a finire quest’avventura. Con mia mamma presi in affitto per tutto l’anno una stanza dalla mamma della mia maestra delle elementari. Tenevamo due/tre lezioni al giorno, educazione fisica, pilates o macchinari e danza classica, dove si ricomincia dalle basi, perché in Scala non danno per scontato che tu sappia ballare. In Scala si tengono esami bimestrali con delle pagelle e il voto più alto è buono. Distinto è stato dato in pochissimi casi: sotto questo punto di vista sono molto rigorosi e sono anche molto severi sull’educazione. In Scala fai fatica a trovare una vera amica perché durante le lezioni non si può parlare e c’è molta competizione, ma sono nati ugualmente dei forti legami.
C’è anche invidia oltre alla competizione?
Sì, molta e molto spesso. È un’invidia da club privato, che cerca l’appoggio di altri. Mi ricordo un episodio: avevo avuto una piccola parte al IV anno di corso, ero molto ingenua e ricordo di aver detto ad alta voce che ero felice. Tutto il gruppo delle mie compagne mi portò in bagno e qui mi sgridarono, dicendomi che non potevo esultare, perché le altre non avevano avuto la parte e non era bello. È stato bruttissimo perché le ho viste tutte coalizzate contro di me. Il giorno dopo hanno fatto finta di niente ma è una cosa che non dimenticherò mai. L’invidia deve essere sana e chi danza deve cercare in continuazione e mai pensare che la sua opera di costruzione della propria immagine, del proprio corpo, della propria mente, della propria persona in scena, sia finita.
Cos’hai fatto dopo il diploma?
Mi sono diplomata nel 2002 con un voto di 26/30 e chi si diploma con questo voto entra di diritto nel corpo di ballo della Scala. Ma volevo mettere a frutto fuori tutto quello che avevo imparato. E non mi sono pentita, anzi oggi mi sento più forte e più preparata per affrontare un provino per La Scala. Ho lavorato per un anno con una compagnia teatrale di Genova, cimentandomi anche nella recitazione, nello spettacolo “Le crociate viste con gli occhi degli Arabi” sotto la regia di Consuelo Balilari, seguita da coreografi provenienti da Francia, Spagna e Turchia. Poi ho lavorato un anno, girando l’Italia e l’Europa con Ariella Viokac, che mixa danza contemporanea e uso del computer. In quell’occasione sono stata notata da Lucia Nicolussi Perego e ho iniziato a lavorare con lei, mettendo in scena lo spettacolo “Canto di un amore in opera” coi ragazzi disabili.
Quest’estate sono stata ad un corso di formazione a Vienna e, notata dagli organizzatori del festival della danza, ho presentato un progetto. Ho sviluppato il tema della ‘malombra’ ischitana, eseguendo un ballo con cinque fioretti, tra cui ballare in sole due direzioni o bendata. Ho vinto la borsa di studio per un mese di corso e a luglio partirò per Vienna. Sono entrata anche in un corso di formazione della Comunità Europea che prevede 20 danzatori professionisti e la costruzione di una compagnia, il corso di terrà a Catania ma non ho paura di spostarmi ancora.
Cos’è per te la danza?
È qualcosa di indispensabile, è qualcosa di cui non posso fare a meno anche se non ho un grosso rendiconto economico. Quando ballo la danza si mescola benissimo con i miei sensi, tutti, con la passione, con l’annusare, col sentire, col tatto, con la vista, con l’essere in scena e sentirmi estremamente brava e bella. È muoversi all’interno di uno spazio e creare dei disegni attraverso il proprio corpo.
A cosa pensi quando balli?
Se sono molto concentrata penso a quello che succede nel momento in cui succede, conto solo se sono in un pezzo di gruppo, altrimenti sento la musica, ho un buon orecchio. È come se mi elevassi ad un’altra dimensione dove io posso fare una magia: posso farti vedere non quello che so fare, ma quello che sento e lo posso raccontare. È una comunicazione col pubblico e non mi estraneo mai al punto di non vederlo. Subito dopo aver danzato aspetto l’applauso, e poi penso ai passi che ho fatto, e se ho dimenticato qualcosa. A volte mi capita di pensare questa mi è venuta veramente bene e poi sono felice di riscontrare questa mia sensazione nel pubblico.
Per danzare hai bisogno necessariamente di un pubblico?
Da sola danzo per ricerca, ma ho bisogno necessariamente di qualcuno per mostrarlo. Mi fa piacere quando mi dicono ti ho vista in scena ballare o ti ho notata tra tante. Quello è uno dei complimenti più belli che mi possano fare, oppure quando mi chiedono spiegazioni su qualche passo. Non mi piace quando qualcuno mi dice brava solo perché è il momento di dirlo. Ho bisogno di percepire da chi mi ha visto se è stato veramente incuriosito. Ricerco la perfezione tecnica e la bravura ma voglio trasmettere sensazioni uniche anche con qualcosa di semplice.
Insegni danza?
Sì, per quattro anni ho insegnato, ma quest’ultimo anno ho sospeso, solo una sospensione e non un’interruzione, per riprendere a pensare come danzatrice e non come insegnante, e per prendermi del tempo per ballare. Ho insegnato danzoterapia nella scuola di Lucia Nicolussi Perego a Parma. A persone di tutte le età: a bimbi dai 3 ai 5 anni dell’asilo, ho insegnato come si gattona, come si rotola, come si cammina partendo dall’istinto. Raccontavo delle fiabe e poi loro dovevano esprimersi con il corpo. Ho tenuto due progetti sulla corporeità coi ragazzi del liceo classico e scientifico seguita da una psicologa e da un’attrice. Ho insegnato ai ragazzi disabili, autistici e con sindrome di Down. Cercavo di instaurare un dialogo, nella maggior parte dei casi prima col corpo e poi con le parole. C’era un bimbo autistico che muoveva sempre le braccia e per farlo smettere ho fatto muovere le braccia ai bimbi di tutto il gruppo, e ha capito che esistevano anche altri movimenti. È stato un percorso bellissimo. Quest’anno ho deciso di lavorare con Giacomo Sacenti a Bologna, un coreografo che ha studiato in Germania e in Italia ha creato l’Associazione Culturale Compagnia Punto Zero. Mi piace molto la sua ricerca, non copia niente. Io sono diplomata in danza classico-contemporanea: la danza contemporanea è fatta soprattutto di figure nuove, la danza classica ha passi che si evolvono ma sono molto schematici.
Cosa c’è di diverso tra le due discipline?
La danza contemporanea è stata creata da Isadora Dunkan per ritornare alle origini, perché vedeva la danza classica troppo artificiosa, è un corpo nello spazio, invece la contemporanea è rappresentazione di figure, di sensazioni, si sente la musica non la si esegue. Per questo si balla a piedi nudi.
Ti senti più danzatrice classica o contemporanea?
Mi sento più contemporanea, anche se al corso di perfezionamento di Giacomo Sacenti insegno danza classica a ragazze della mia età. Grazie alla contemporanea vivo meglio la classica, so quando prendere un respiro, so dove far cadere il peso del corpo. La danza classica si vede molto eterea e leggera, ma è impossibile essere leggeri se non si ha coscienza del proprio corpo e questa coscienza io l’ho acquisita con la contemporanea.
Come risponde il fisico ai continui sforzi e allenamenti ai quali ti sottoponi?
C’è una sorta di usura del corpo, ci sono dei punti fragilissimi come le ginocchia perché si consumano le cartilagini. A me non è successo nessun incidente grave, tranne una distorsione della caviglia che mi è stata fasciata male, per cui ora ho un piccolo scompenso al piede sinistro. La danza logora il fisico, senza dubbio, però può essere molto d’aiuto per recuperare: una ballerina che si fa male ha molte più possibilità di recuperare di una persona normale.
Aspiri al successo? Parteciperesti ad Amici?
Non ho mai pensato di fare Amici (con grande rammarico delle mie zie) perché sono molto riservata, ma anche perché quello è uno show e non si balla realmente. Desidero essere conosciuta perché sono brava e non perché ammicco alla telecamera. Non ho mai pensato alla Tv come mezzo per farmi conoscere: essendo cresciuta in teatro, per me è quella la massima espressione di arte. Ricordo il primo anno di corso alla Scala, sentivo cantare quando andavo a mensa e pensavo fosse il cuoco che aveva un voce bellissima. Un giorno chiesi ad una signora chi era che cantava e lei mi fece vedere che la finestra della cucina affacciava sul ballatoio della sala prove di canto (la Scala ha una stagione lirica molto importante) e che si potevano ascoltare frammenti di opere fantastici. Un’altra cosa della Scala che ho sempre amato è che ci sono tante scale e tanti corridoi che portano tutti allo stesso posto e che non serve molto materiale scenico per creare dei personaggi: hai la piuma in testa e sei un indiano, hai le ali e sei un angelo, conti solo tu e la tua bravura nell’interpretare. Il canto e la danza sono arti povere, poiché serve solo il proprio corpo per eseguirle, ma sono le più espressive in assoluto e cerco in tutti i modi di far sì che quest’arte povera continui a rendermi ricca l’anima.
Torneresti a vivere ad Ischia?
Mi manca molto Ischia, il mare, gli spazi aperti, la visione da piccola isola verso il mare, mi mancano i miei, mi manca mio fratello e il non avere una famiglia. Mi piacerebbe fare delle cose ad Ischia, però l’isola non offre molto e io sono ormai una cittadina, dovrei cambiare mentalità.
Hai hobby, passioni, amori oltre la danza?
La danza mi occupa tutto il tempo che ho, e voglio che mi occupi anche tutte le forze. Mi sono iscritta all’università e sono laureata in Lingue e Culture straniere e sono iscritta al secondo anno di specialistica. Mi piace cucinare per gli amici, e leggo libri dai quali sono state tratte opere che poi metto in scena, amo anche romanzi contemporanei. Ultimamente mi sono appassionata ad un’autrice francese che leggo in lingua originale. Spesso nuoto quando sono nervosa e mi sono avvicinata allo yoga e alle arti marziali. Faccio molte cose perché sono incostante e ho bisogno di poco tempo per organizzarmi; se ne ho molto, comunque mi riduco alla fine per fare le cose, per cui preferisco avere tutto il tempo a mia disposizione occupato.
Una ballerina può permettersi di avere figli?
Ora non mi sentirei proprio di averne perché non mi sento ancora arrivata con la danza, ma mi piacerebbe una famiglia numerosa. Come fisico diventare mamma non comporta molti problemi, anzi fortifica. Ma l’avere un bambino comporta necessariamente una pausa e il doversi fermare da qualche parte.
Trovi il tempo per avere un ragazzo?
Sì, anche perché molte volte l’amore si combina col lavoro: il mio ex era un danzatore. Il mondo dello spettacolo è pieno di innamoramenti perché ti vedono danzare o tu vedi qualcuno e ti sembra un dio e dici devo per forza conoscerlo. Spesso è difficile essere fidanzati con qualcuno che non è dell’ambiente e fargli capire che quando sei in scena non ami veramente il tuo partner artistico ma stai solo interpretando un ruolo.
Sai dire basta?
Sono una stakanovista, ma alle spalle ho avuto sempre maestri che mi frenavano, mi dicevano ora fermati e cerca di assimilare quello che hai fatto oggi e domani ricominciamo da qui. Grazie a loro, piano piano, sto imparando a dire basta.
Dai le tue definizioni di passione, sofferenza, sacrificio, ambizione, invidia.
Passione: non ha prezzo, né limiti, né confini, né di sonno né di tempo né di spazio e per me passione uguale danza. Se mi dovessero dire c’è questa opportunità ma devi partire tra cinque minuti, io lo farei, oppure rasati a capelli a zero, lo farei. La passione è un qualcosa che ti nutre, è un insieme di tante piccole cose che ti danno piacere come ascoltare il ritornello di una canzone che ti piace, mangiare l’ultimo pezzo di torta, soprattutto danzare e percepire quel momento come unico.
Sofferenza: è un passaggio obbligato, è come una grotta con un lago dentro. E’ fredda, è buia, è umida ma sai che devi attraversarla per arrivare dall’altra parte. E spero che per me sia sempre un passaggio, un livello del percorso per raggiungere qualcosa, per elevarmi.
Sacrificio: Io faccio un sacrificio tutte le volte che lascio l’isola e la mia famiglia. Per me non è stato mai un sacrificio viaggiare o dover lavorare duro, ma mi mancano tantissimo gli affetti e il calore dei miei genitori, il non avere visto crescere il mio fratellino di 12 anni. Ho fatto molti sacrifici ma ho avuto la giusta ricompensa.
Ambizione: è necessaria soprattutto quella personale. Io ne ho molta: voglio diventare brava e voglio riuscire a fare tutto quello che riguarda la danza.
Invidia: personalmente non soffro di invidia ma capita delle volte di vedere qualcuna più brava di me e di sentirmi piccola, ma non sto lì a mangiarmi le mani o a cercare d ostacolarla, cerco di raggiungere il suo livello impegnandomi sempre di più.