23/2008
Photo: Enzo Rando
Text: Emma Santo
E’ spettacolare il cammino per giungere al faro di punta Imperatore: bisogna prima inerpicarsi su per la collina, poi discendere lungo il costone per decine di scalini che, nella penombra della notte, sono forse anche più suggestivi e pregni della vera essenza dell’isola.
E se non c’è faro che si rispetti che non custodisca sogni, ricordi, storie di intere generazioni, il nostro non è da meno. Così Lucianna De Falco, con grande generosità di energia ed emozione, ci regala un viaggio indietro nel tempo, raccontandoci uno stralcio della vita della sua nonna paterna, “Lucì”, vedova del guardiano del faro Francesco e madre di ben sette figli. “Perché se non l’avete capito, signor ispettore – dice Lucì quando racconta del primo incontro con il futuro marito – questa è una storia d’amore”, anzi di più, questa è una storia di ‘amori’: l’amore di Lucì per il marito, l’amore di una madre per i figli, quello degli sposi per il faro, e dei figli per il padre, quello per la vita, e l’amore di Lucianna per il suo paese, per le sue radici, e per la nonna di cui ci racconta. L’amore, la luce, il fuoco che arde e fa sentire vivi e ardendo, però, la toglie pure la vita… questo il filo conduttore di tutto lo spettacolo che, già dalla prima scena, quando tra i musicisti della banda si fa strada la protagonista disorientata dal dolore, ci restituisce il sapore antico dei paesi dei primi decenni del secolo scorso. “E ora come fa con sette figli?”: Lucì continua a ripetere ossessivamente la frase che l’ha preceduta e seguita nella lunga camminata che dal paese porta al faro, quando la gente sapeva e non aveva il coraggio di dirle che il marito era morto in servizio – fulminato mentre cercava di aggiustare la lanterna. Ma i quadri successivi delineano una donna forte e coraggiosa. Con una prova di grande bravura Lucianna, attraverso monologhi che si lascia intuire siano dei dialoghi e spostandosi di volta in volta dalla finestra di una stanza a quella della stanza accanto, ricostruisce protagonisti ed eventi di una vita difficile alla quale però non ci si arrende. Ai tempi andati dei nostri nonni rimanda anche la banda che, accompagnata da flauto e fisarmonica, sottolinea i momenti salienti e i passaggi temporali del racconto. Il colore sbiadito delle vecchie cartoline è ancora più evidente nelle interviste video che, proiettate sulla facciata del faro, intervallano i monologhi dell’attrice. Ed è in queste interviste ai figli di ‘Ciccillo ‘a lanterna’ e alle persone del paese che hanno condiviso parte della vita e della morte del guardiano del faro, che lo spettacolo interseca la storia, facendosi testimonianza sociale ed antropologica, oltre che il racconto dei sentimenti che attraversarono l’anima di Lucì. E i volti proiettati, deformati dalle rotondità e dalle rientranze della parete, conferiscono un tocco pittorico al tutto, soprattutto quando, nel raccontare della guerra, l’occhio di una zia di Lucianna viene a coincidere con una finestra a semicerchio che, facendo somigliare il volto della donna ad una maschera tragica greca, sottolinea la triste intensità del ricordo.
Altri piccoli inserti audio e video accompagnano la narrazione con discrezione, lo sciabordio delle onde, il mare proiettato sulla pietra lavica di tufo verde riunificano i tre elementi dell’isola d’Ischia: l’acqua, la terra, il fuoco… i tre elementi che segnano la vita di Lucì e quella di tutti coloro che con quest’isola hanno un rapporto viscerale. E tornando al fuoco e all’amore il cerchio si chiude… “perché se non l’avete capito questa è una storia d’amore”.
Lucianna De Falco, straordinaria interprete di “Lucì”, ci porta nei luoghi più remoti della memoria del popolo di Forio, dove le ‘luci d’ombra’ ci indicano la rotta da seguire, attraverso gli echi degli sguardi che hanno vissuto la tragedia della guerra e testimoniano quanto sia infinitamente dolce la vita, nonostante tutto. Senza di loro che hanno illuminato ogni cosa, per Lucianna “sarebbe stata notte”. E lei, orgogliosa della sua gente, della sua terra, degli amici che l’hanno aiutata a materializzare questo sogno titanico, non potrebbe essere più felice dell’incredibile risultato. Ringrazia i suoi collaboratori (Roberta Lena, Enzo Ninì, Franco Robust, Salvatore Ronga, Laura Jacobbi, Maria D’Ascia, Gianluca Castagna, Leonardo Di Costanzo, solo per citarne alcuni) le persone che le hanno donato i loro ricordi, chiunque abbia creduto in Lucì. Sedute ai tavolini del bar La Lucciola , mi parla come si parla ad un’amica, con una spontaneità ed un sorriso aperto che ti fanno sentire a casa.
Chi è Lucì?
Lucì, intanto, è un personaggio, non direttamente mia nonna. Lei è stata lo spunto biografico per raccontare una storia che avevo necessità di raccontare e che è, al tempo stesso, la storia di altre donne, di un secolo di vita passata di cui conosciamo veramente poco, di un faro che simboleggia un abbraccio, un incontro, uno scambio. Le “luci d’ombra”, così lo definivano, sono una metafora della vita e Lucia Capuano è il particolare da cui siamo partiti per parlare un po’ a tutti.
Cosa ha significato per te interpretare questo ruolo?
Per il mestiere che faccio è stato illuminante, uno degli spettacoli più importanti che ho interpretato fino ad oggi perché sono andata a ricercarlo a casa mia, nelle mie radici, nei miei bisogni, perché avevo voglia di raccontare una storia che arrivasse alle persone in maniera semplice e diretta, passando attraverso la mia capacità interpretativa. Ho lavorato anche sul tipo di linguaggio da utilizzare, perché volevo qualcosa che fosse quanto più lontana dall’astrazione e ciò mi era possibile con un personaggio del popolo e dell’altro secolo. Volutamente non ho utilizzato il dialetto, tranne quando Lucia è aiutata dal desiderio di tutti gli abitanti e riesce a trovare il coraggio di diventare quello che neanche lei aveva immaginato, la guardiana del faro. Grazie a Ciro Castaldi, che ha tirato fuori “Tuon’ e lamp’”, ho scoperto questa sorta di nenia, perfetta per invocare la forza della terra e del mare.
Cosa ti hanno raccontato di tua nonna?
Il regalo più bello che mi hanno fatto è stato parlarne in maniera molta onesta, di lei come di mio nonno (ndr. Morto mentre cercava di riparare una lanterna guasta sul faro).
Certo, alcuni hanno scelto di dire che era ‘tutta brava gente’ e basta, ma molti sono stati meno formali. Ad esempio, c’è stato qualcuno che ha detto che mio nonno era morto per colpa sua, a causa della sua inesperienza (prima i fari si accendevano con il gas acetilene e ad un certo punto è arrivata l’elettricità). La voglia di comunicare delle persone che abbiamo intervistato non è l’esibizionismo dei ragazzi avvezzi ad Amici, ma un modo di dire “io ho vissuto e voglio che ci siano dei testimoni”. Mi piacerebbe poter fare questo lavoro in tutti i Comuni dell’isola, perché è un peccato che tali cose si perdano. Una cara amica, Franca Sacchetti del “Saturnino”, personaggio strepitoso di Forio, è morta poco dopo l’intervista e la cosa più assurda per me è stata che, nonostante la profonda tristezza per la sua scomparsa, mi sono detta “menomale che abbiamo fatto in tempo”, perché l’utilizzo di un mezzo come la telecamera, adoperata in questo modo, mi sembra sia servito alla vita, alla memoria, all’arte, alla cultura…
E tu quanto ti rivedi in Lucia Capuano?
Mi rivedono gli altri ed è il complimento più bello che abbia ricevuto. Di lei mi ricordo che era una ‘carabiniera’, la chiamavo ‘la marescialla’. Era una donna forte, con le sue debolezze, che aveva dovuto affrontare delle difficoltà come accade a tutti. Probabilmente è una storia semplice, ma in questa semplicità c’è la sua eccezionalità.
Quali sono stati gli ostacoli che hai dovuto affrontare per realizzare questo progetto?
Gli ostacoli sono stati tantissimi, ma come linea di pensiero ho deciso di non raccontarne nemmeno uno, perché sono riuscita a fare questo spettacolo dopo aver capito a chi non dovevo rivolgermi. Perciò, preferisco parlare di chi mi ha aiutato.
Chi ti ha aiutato?
Gli alberghi di sant’Angelo, che pur avendo solo dieci camere me ne hanno data una per la mia troupe, gli alberghi di Forio, il Fornaretto che ci ha sfamati sul faro, la signora Lucia Behringer dei Poseidon, la signora Brancaccio, ‘Sisina’ Morgera del bar “ La Lucciola ” che la tipografia ha fatto saltare dai ringraziamenti… Le donne ‘illuminate’ mi hanno aiutato moltissimo, anche solo come sostegno morale. Poi, il Comune di Forio, Michele Calise, Vito Iacono, uno dei primi a credere in questa follia, l’idraulico ‘Maradona’ che ci ha portato finalmente il W.C., dopo tre mesi che abbiamo dovuto arrangiarci senza…. La Protezione Civile e la Croce Rossa , che mi hanno commosso, perché lo spettacolo a Punta Imperatore è riuscito solo per merito loro… Il modo in cui tutti mi hanno offerto il loro aiuto è stato importantissimo, la grazia con cui l’hanno fatto.
Parliamo invece dei protagonisti della videoinstallazione nei palazzi storici di Forio.
Sono direttamente legati alla storia di mia nonna, quasi tutti figli suoi, ad eccezione di due mie zie che sono a Londra e non sono riuscita ad intervistare. E poi, conoscenti, gente del paese, guardiani ed ex guardiani del faro ed il grande Ammiraglio Grillo che è venuto apposta da Roma, perché lavorava al faro a quei tempi: con lui, ad indicarmi la rotta, Domenico Iacono che in soli tre giorni mi ha fatto arrivare allo Stato Maggiore della Marina Militare.
Cos’era il faro per Lucia e cos’è il faro per Lucianna?
Il faro per Lucia era casa, lavoro, possibilità di andare avanti. Il faro per Lucianna è un’altra cosa. Nella mia famiglia si è cresciuti con la paura dell’elettricità perché mio nonno è morto fulminato, perciò mi sono chiesta perché desiderassi con tutta me stessa di fare questo spettacolo proprio sul faro ed ho capito che lì il cerchio si sarebbe chiuso. Vent’anni fa ho subito un trapianto di cornea e mentre da una parte la luce mi ha tolto una persona cara, dall’altra mi è stata donata, ecco perché il cerchio si chiude. Mi sono sentita in dovere di raccontare questa storia perché per me è una specie di ringraziamento alla vita.
Perché credi che tua nonna, nonostante il faro le abbia portato via suo marito, abbia voluto a tutti i costi diventarne la guardiana?
Da noi, quando tu vuoi conservare la memoria di una persona cara, si usa accendere una fiammella e la sua era il faro. Credo che avesse preso questa decisione perché, alla fine, era l’unica cosa che sapeva fare, ed in questo le somiglio. In più credo che ci fosse, alla base, anche la volontà di trasformare le cose, di guardare tutti i lati del diamante, non uno soltanto, una caratteristica che appartiene anche a me. Tuttavia, non so se avrei fatto la stessa scelta.
Da molti anni gli spettatori ti identificano con il personaggio di Dolly Salvetti di “Un posto al sole”. Questa per te è stata una sfida completamente diversa…
Per me è stata una scommessa, la gente che mi dice che si è commossa ed emozionata ancora mi sorprende: sentivo le lacrime delle persone e da un punto di vista narcisistico è una cosa meravigliosa. Non che la risata non sia emozionante ma, avendo sperimentato soprattutto lo spettacolo comico, per me questo è un regalo grandissimo. Finora mi hanno sempre chiamata ad interpretare personaggi sopra le righe, Dolly mi ha dato tantissima notorietà ed in Italia tutti ti identificano con ciò che hanno visto più di te, ma nel frattempo vengo dal teatro di ricerca, il mio percorso personale è un altro.
Si mormora che a settembre “Lucì” vorrebbe tornare…
Se mi aiutano sì. Abbiamo i permessi per rappresentarlo anche in altri fari d’Italia, ma visto che è nato qui, mi piacerebbe che vi restasse per un po’. La mia idea era che tutta l’isola diventasse una grande galleria d’arte, dove fossero esposte le memorie di questa terra e che Lucì fosse il filo rosso che le tenesse unite. Un investimento artistico sulla vita delle persone. In parte abbiamo dato una piccola ‘pennellata’ e mi auguro che ‘la storia della guardiana del faro’ divenga un classico, una piccola storia che chi è curioso va a cercare.