Friday, November 22, 2024

n.10/2006

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Riccardo Sepe Visconti

 

Ci avviciniamo ai 50 anni di carriera… 48 anni dal primo disco, dal primo tocco di pianoforte, una vita… Preferisco misurare la carriera dal momento in cui ho ufficializzato il nome, ma già nel 1956 avevo fatto “Primo applauso” e usavo il nome Peppino Bebé, Da Capri e Capri Boys, mentre con il primo disco è nato Peppino di Capri. Ischiacity ha pubblicato una sua foto con il gruppo “I Rockers” che si esibiva al “Rangio Fellone”, storico locale ischitano e qualcuno rivendica a Ischia i suoi primi passi nello spettacolo.

R: A cosa si deve la scelta di chiamarsi Peppino di Capri?
P: Quello che ricorda è vero, ma io sono caprese e a Capri ho sempre vissuto, la mia famiglia è caprese e quindi sentivo che questa era la scelta naturale da fare.

R: Com’era Ischia al tempo de “I Rockers”?
P: È quella che porto nel cuore, come, del resto, la Capri che amo di più è quella degli anni ’50, già nei ’60 le cose stavano cambiando. Allora era tutto più vero, spontaneo, non costruito a tavolino. Lo stesso modo di fare vacanze era diverso, più libero, improvvisato, c’erano meno formalità, anche nei rapporti con le persone, non c’era timore per la sicurezza. Pure i locali e il modo di fare e vivere la musica è completamente cambiato, con queste discoteche in cui il singolo è spersonalizzato, fa parte della massa che balla pezzi che durano mezz’ora, fatti di suoni assordanti.

R: Cos’è per lei Ischia oggi?
P: Un posto ancora bellissimo, soprattutto visto da mare. E poi Ischia per me sono gli amici che ti accolgono nelle loro belle case, come Gaetano Altieri… La mia Capri è piccola e quindi la folla è sempre in agguato, se si desidera riposarsi bisogna venire qui e non a Capri. Il problema della mia isola è che non regge più il turismo pendolare. Quest’estate è nata una polemica, in cui sono stato coinvolto: quando si è proposta una tassa sulle persone più abbienti, io ho detto che la metterei piuttosto sul turismo pendolare che ‘usa’ molto il luogo in cui va ma con un ritorno economico a mio parere meno interessante di quello costituito dal turismo dei ricchi che prendono i taxi, spendono in night e ristoranti, fanno acquisti…

R: Com’è Peppino di Capri sul piano professionale?
P: Sono un rompiscatole, amo la perfezione, anche il rapportarsi al pubblico durante gli spettacoli deve essere equilibrato.

R: Durante il suo concerto al Negombo non c’era nessun ammiccamento, sul suo palco non c’erano belle ragazze a sgambettare…
P: Infatti, non è nel mio stile, come non amo usare fumi e altri ‘effetti speciali’. Questi escamotage servono a chi non riesce a colpire con le sole doti artistiche.

R: A proposito di night, pensa che esistano ancora?
P: No, è un tipo di intrattenimento che è finito perché è cambiata la mentalità, nel senso che oggi il pubblico che va nei locali vuole farsi notare, essere lui il protagonista dello show, anzi in questo meccanismo alla fine ci sono entrati anche i veri VIP e la gente di spettacolo che sa che così finisce sulle copertine dei giornali.

R: Forse anche gli artisti sono cambiati…?
P: Sicuramente il nostro è un settore da tempo in crisi, con l’avvento delle discoteche molti gruppi si sono sciolti; credo che oggi non avvenga più, come è stato ancora per la nostra generazione, che ci si innamori con il sottofondo di una canzone che ti ricorderai anche dopo 20 anni, per esempio certi pezzi di Gino Paoli…

R: È carino che lei faccia il nome di Paoli, quando sicuramente è stato responsabile in prima persona di episodi del genere…
P: In effetti le coppie mi fermano per strada dicendomi “E’ colpa sua…!”

R: Qual è allora il suo pezzo che ha colpito di più al cuore?
P: Dal 1975, quando è uscito direi “Champagne” ma anche “Roberta” naturalmente, canzoni molto amate all’estero.

R: I suoi prossimi progetti professionali.
P: In novembre sarò in Brasile e prima, dal 6 ottobre, farò uno spettacolo di 14 concerti al teatro “Diana”, si chiama “Divieto di svolta”; inoltre ho appena finito la colonna sonora di “Capri” una fiction in 12 puntate per la RAI. I tempi di lavoro sono stati serratissimi, ma sono molto soddisfatto: il regista era stupito che avessi composto 30 pezzi diversi, in questi casi, infatti, di solito si preparano solo due o tre brani che poi si suonano in tonalità diverse e velocità diverse.

R: Quali sono gli ingredienti irrinunciabili della musica di Peppino di Capri?
P: È una bella domanda. Davanti ai miei strumenti sono sempre tentato a fare cose più in linea con i tempi. Poi però mi chiedo cosa direbbe il pubblico che mi segue da sempre. Non avendo più di tanto l’opportunità di far capire scelte stilistiche nuove, cerco sì di adeguarmi alle novità ma sto attento a non tradire la personalità sia vocale che di stile che mi appartengono. Tuttavia dentro di me vive un’anima rockettara non indifferente e a volte vorrei osare… sono pezzi che compongo per me ma non pubblico.

R: Ha una percezione precisa del tempo che passa o si sente un eterno ragazzo?
P: Purtroppo dentro mi sento ragazzino e invece vorrei essere più tosto, più aggressivo, ma prevale lo spirito giovanile, in questo aiuta la musica che dà stimoli, è creativa, come anche la concorrenza agguerrita del mio ambiente. Anzi mi sento più a mio agio tra i ragazzi che con persone più posate, magari intellettuali che preferisco stare ad ascoltare, anche per imparare. Se c’è una cosa di cui mi sono pentito è di non aver concluso gli studi di pianoforte classico dopo essermi dato alla musica leggera, infatti le impostazioni di polso, di tocco tra i due generi sono notevolmente diverse e poi con la musica leggera si compone molto di più a orecchio. Io poi ho una buona tradizione musicale in famiglia, mio padre e mio nonno suonavano e anche uno dei miei figli, che però ha anche studiato musica negli Stati Uniti.

R: Ci sono giovani emergenti che le piacciono?
P: I giovani musicisti di valore ci sono, anzi oggi è molto più difficile emergere, sono in tanti, mentre ai miei tempi eravamo pochi. Trovo che le ragazze tendono di più a imitare, le artiste americane o, fra le italiane, Giorgia. Oggi, in genere, si punta o sul pezzo, a prescindere dal cantante, oppure sulla personalità dell’interprete anche se l’interpretazione è debole: è chiaro che chi unisce le due cose ha possibilità di riuscire. Ricordo che quando sentii per la prima volta Eros Ramazzotti a “Sanremo Giovani”, con quella voce nasale, un po’ Celentano e Peppino di Capri prima maniera, con molta grinta, in un’intervista dissi che lo ritenevo l’unico che col tempo avrebbe avuto un vero successo, e in effetti così è stato.

R: Cosa pensa del Festival di Sanremo?
P: Dipende, è un’arma a doppio taglio. Gli emergenti ne beneficiano sicuramente e partecipare con un buon brano può dare l’occasione della carriera ma se si è costretti ad esempio dal produttore è meglio non farlo perché nel caso si fallisce la gente poi non lo dimentica.

R: In Italia oggi chi decide le sorti della musica?
P: Sono persone che stanno dietro una scrivania e credo di musica non capiscano un gran ché ma sono ingegneri del marketing: io non mi ci metto perché mi autoproduco e sono solo distribuito da terzi. Alla fine degli anni ’60 ho avuto un forte calo della carriera durato 4 anni: quando ho ricominciato ho fatto scelte autonome che il pubblico ha apprezzato e sono tornato nel cono di luce.
A un artista può succedere che dopo un lancio con brani molto validi artisticamente, abbia firmato un contratto che lo obblighi a produrre un disco ogni anno e mezzo. In principio magari ha ancora dei pezzi validi, frutto dell’ispirazione, poi deve riprendere a produrre. A quel punto c’è una bella differenza a farlo con lo spirito libero o costretto dalla necessità di dover sfornare comunque qualcosa per obblighi contrattuali. E il pubblico coglie se una canzone è vera o un po’ forzata. Accade anche che le case discografiche acquistino i passaggi per le canzoni nelle radio: così si spiega perché pezzi terribili si sentono spessissimo. Io sono poco presente in radio perché non mi piace pagare e sono convinto che le radio, che vivono di musica, dovrebbero essere libere, mantenendosi con la pubblicità e avendo la possibilità di stabilire di non mandare un brano perché è brutto. La prassi attuale è una deviazione del corso naturale della musica che deve essere fatta di selezione, per cui vanno avanti solo le cose migliori.