CHEF GIUSEPPE D’ABUNDO
Text_ Riccardo Sepe Visconti
L’Albergo Mezzatorre, nel comune di Forio, ma a pochissimi passi dalla baia di San Montano a Lacco Ameno, è situato in un posto incantevole: il panorama è fiabesco, con tramonti dolcissimi e struggenti. Ci si arriva percorrendo lo stesso viale che in passato conduceva Luchino Visconti alla sua amata dimora La Colombaia, che di fatto divide il fresco (e profumato di resine silvestri) boschetto di Zaro proprio con il Mezzatorre che gli è confinante. Nella bella e raffinata struttura sono due i ristoranti che accolgono gli ospiti, assai diversi tra loro: lo Chandelier, di assoluto charme, è arredato – lo dice il nome – con monumentali candelabri d’argento che di sera creano un’atmosfera molto chill. A ridosso, invece, della piccola baia privata alle pendici dello sperone roccioso sul quale poggia la Torre principale (che dà il nome al complesso alberghiero), si trova lo Sciué Sciué, una fresca terrazza rilassante perfetta per i pranzi estivi a bordo piscina e soprattutto per le cene romantiche. L’armoniosa gestione del settore ristorazione è frutto dell’incontro e della perfetta sintonia fra tre persone, la bella Alessandra De Lorenzo, la padrona di casa, al cui gusto molto raffinato si deve l’impostazione della filosofia del posto e soprattutto la sua morbida ed avvolgente eleganza, lo scrupoloso e assai garbato direttore Giovanni Sirabella che da molti anni dirige con premura e attenzione l’organizzazione dei reparti e del personale e lo chef Giuseppe D’Abundo che – ne parleremo tra pochissimo – ha la diretta responsabilità delle cucine di ambedue i ristoranti.
Il nostro chef è un fenomeno, la cui storia ricorda quella raccontata ne “La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore. Come Danny Boodman/T.D. Lemon Novecento, nato su una nave, ebbe modo di sviluppare il suo incredibile talento di musicista senza mai mettere piede sulla terraferma, così Giuseppe D’Abundo “nasce” professionalmente al Mezzatorre e, attraverso un coerente percorso, supera tutti gli step che separano il ruolo di commis da quello attuale di chef executive, e quindi di responsabile della ristorazione al Mezzatorre Resort & Spa. Non è semplice accontentare le esigenze di una clientela internazionale, ed è per questo che lo chef ha scelto di dare spazio nei suoi menù a piatti che guardano anche al “benessere”, oltre che al gusto. Adopera molto, quindi, i semi (finocchio, lino, papavero, girasole, ecc.) ricchi di sostanze antiossidanti, come nel cremoso di formaggio, dove li accosta alle erbette profumate, e ha sviluppato piatti vegani, per esempio il cotto e crudo di verdure, un antipasto che cambia con la stagione perché realizzato con creme colorate a base di vegetali (zucca, pomodoro) e verdure cotte come gli asparagi, scarola cotta e cruda, cetrioli, ravanelli, finocchi e completato con semi e una cialdina di riso. Sempre presente il pescato locale. Nella zuppetta di mare in 3 cotture, gli ingredienti cambiano a secondo del momento dell’anno, ci sono i pesci di scoglio, come coccio e scorfano, poi frutti di mare, gamberi, seppie che lavora con tre tecniche diverse, scottati, nell’olio a bassa temperatura (confit) e in forno. Il tutto accompagnato con una salsa realizzata con le parti del coccio. Il baccalà mantecato con salsa di acciughe e capperi fritti è costruito sul contrasto dolce e salato con un’ottima materia prima, baccalà di grandissima qualità che si manteca con burro e latte e viene servito su una salsa d’acciughe e crema di zucca, con capperi fritti e chips di ravanello. L’insalatina d’astice con emulsione al suo corallo rivisita la famosa ricetta dell’astice alla catalana. Lo serve cotto brevemente e poi insaporito nel suo brodetto, su un letto di patate, cipolline, pomodori e crostini; con la parte interna del crostaceo, il corallo, prepara una salsa che si versa davanti al cliente. Il cotto e crudo di spigola agli agrumi ischitani è uno dei piatti che lo chef D’Abundo predilige, omaggio ai tanti agrumeti che costellano gli orti isolani. La spigola viene servita sia scottata che in forma di tartare, profumata con zenzero e lime, su una riduzione di arance e miele, che bilancia l’acidità dell’agrume, e accompagnata con marmellata di mandarini, zeste candita, arance a vivo. Abbiamo però parlato di soli piatti di pesce e, per quanto sia rimasto poco spazio a disposizione, accenneremo in finale ad un primo composto di ravioli ai formaggi campani. La pasta fresca viene farcita con provolone del monaco, cacio bianco e affumicato, condita con una fresca salsa ai pomodori siciliani e di Sorrento e guarnita con pomodorini gialli confit profumati con maggiorana, timo, basilico… Bon appétit!
A ISCHIA STUDIOSI DA TUTTO IL MONDO SI SONO RIUNITI PER UN WORKSHOP INTERNAZIONALE SUL DELFINO COMUNE, ORGANIZZATO DALLA ONLUS OCEANOMARE DELPHIS CHE DA 25 ANNI STUDIA, GRAZIE AL LAVORO DI SCIENZIATI ED ESPERTI, LE POPOLAZIONI DI CETACEI CHE ABITANO IL CANYON DI CUMA, HABITAT PREZIOSO PER QUESTI SPLENDIDI MAMMIFERI.
Dalla parte dei delfini. Patrimonio del mare che bagna l’isola d’Ischia, del Tirreno, del Mediterraneo tutto. Ma vanno tutelati, salvaguardati e protetti. E per farlo, si sono riuniti a Ischia – nell’Albergo della Regina Isabella – studiosi ed esperti di cetacei da tutto il mondo. Chiamati a raccolta, nell’ambito del primo Workshop Internazionale sul delfino comune, da Oceanomare Delphis, l’organizzazione no profit per lo studio e la tutela dei cetacei nel Mediterraneo che a Ischia ha da 25 anni la sua base operativa. E che anche quest’anno, da maggio a ottobre, studierà e monitorerà i cetacei che popolano il Golfo di Napoli e il cosiddetto canyon di Cuma, la profonda valle sottomarina compresa tra Ischia e Ventotene, parte dell’Area Marina Protetta “Regno di Nettuno”, dove stenelle, tursiopi, capodogli e balenottere comuni sembrano aver trovato l’habitat ideale per nutrirsi e riprodursi. Un piccolo paradiso dei cetacei, solcato dal veliero d’epoca della onlus, il Jean Gab: dotato di particolari idrofoni in grado di geolocalizzare i mammiferi marini, è una sorta di laboratorio a cielo aperto. A bordo, con il team guidato dal comandante Angelo Miragliuolo, corsisti che arrivano a Ischia da tutto il mondo per osservare i delfini.
Dal 13 al 15 aprile durante l’incontro ischitano referenti da quattordici paesi (Gran Bretagna, Francia, Libia, Slovenia, Svizzera, Grecia, Italia, Israele, Malta, Emirati Arabi, Spagna, Algeria, Tunisia ed Egitto) hanno valutato lo status della popolazione mediterranea del delfino comune, delineando le minacce a cui è sottoposta e definendo le azioni di conservazione, sempre più irrinunciabili, della specie. Una sorta di stati generali, organizzati da Oceanomare in collaborazione con Bicref (Malta) e Oceancare (Svizzera): il quadro emerso dalla condivisione di dati e informazioni provenienti dalle singole realtà non è particolarmente incoraggiante. Nel dettaglio, a Ischia ha trovato piena conferma il trend in declino di presenza e abbondanza della specie che era già stato evidenziato nel 2003 dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Vale a dire: in tredici anni si è fatto troppo poco, nel Mediterraneo, per proteggere il delfino comune. Di qui l’esigenza di redigere un nuovo piano di conservazione condiviso tra le parti, che proprio a Lacco Ameno si sono impegnate ufficialmente a promuovere raccomandazioni e strategie con i rispettivi governi di appartenenza.
Centrale e nevralgico il ruolo dell’isola, non casualmente scelta come sede del workshop: qui i delfini comuni, specie particolarmente minacciata, ci sono (benché non li si avvisti dal 2013), qui Oceanomare Delphis opera con passione e competenza. Servirà tuttavia l’impegno di Governo e Guardia costiera perché le principali minacce a cui è sottoposto il delfino comune si ridimensionino. «In particolare – ha sottolineato il presidente della onlus, Daniela Silvia Pace – bisogna fare i conti con il sovrasfruttamento delle risorse ittiche e le interazioni con la pesca, sempre più invasiva, e con fenomeni globali come il cambiamento climatico in atto». Una serie di studi specifici mostrerà come e perché il delfino comune risenta dell’inquinamento (in particolare di microplastiche), mentre nel corso del workshop (i cui risultati saranno editi nella rivista scientifica “Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems”), si è anche sottolineato che in alcune aree sono stati osservati comportamenti relativamente nuovi, compresa l’ibridazione del delfino comune con altre specie di cetacei: non un buon segno, secondo gli studiosi. «Ad ogni modo – ha sottolineato la Pace – su un totale di oltre 5000 delfini osservati, 293 animali diversi sono stati fotoidentificati nelle zone monitorate dai ricercatori italiani in un periodo di oltre 10 anni, con alcuni individui che sono in grado di compiere lunghi spostamenti di centinaia di chilometri, per esempio, gruppi di femmine con piccoli sono stati costantemente osservati solo nelle acque di Ischia e in Sicilia». All’evidente diminuzione degli avvistamenti ischitani del delfino comune, fanno tuttavia da contraltare i risultati positivi – in termini di avvistamenti – di altre specie, a cominciare dai capodogli. Nel 2015 a bordo del Jean Gab, le 86 uscite in mare (per un totale di 4044 chilometri e 662 ore di attività di ricerca e monitoraggio) hanno fruttato un totale di sessanta incontri. Un inno alla biodiversità da proteggere, in attesa che si riveda il delfino comune.
La centralità dell’isola d’Ischia nella tutela dei cetacei, è stata pure l’occasione per ribadire la necessità che l’Area Marina Protetta riprenda finalmente a funzionare, come auspicato dallo stesso Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto. E’ recentissima la nomina del nuovo Direttore del Regno di Nettuno, Antonino Miccio, che è responsabile anche dell’AMP di Punta Campanella, mentre appare sempre più inderogabile l’esigenza di una protezione efficace degli ecosistemi marini e di una comunicazione efficiente verso l’esterno. Peraltro, «i flussi turistici – hanno aggiunto per l’Azienda di Cura e Soggiorno di Ischia e Procida, che ha patrocinato l’evento, il commissario Domenico Barra e l’ingegnere Mario Rispoli – vanno in modo sempre più marcato verso una direzione di ecosostenibilità e attenzione all’ambiente» e «del resto, la presenza dei cetacei e, in generale, la biodiversità del nostro mare sono valori aggiunti importantissimi per il turismo», ha sottolineato Giancarlo Carriero, proprietario dell’Albergo della Regina Isabella che sostiene da sempre l’attività di Oceanomare Delphis.
Text_ Pasquale Raicaldo
Photo_ Archivio Oceanomare Delphis