Ischia, la fuga dei russi, la fine delle certezze e quella del coniglio. Ma una via di uscita c’è.
Ischia, Riva destra. Traballìo di tacchi sul basolato, teoria di ristoranti: una scritta lampeggia nella notte: “rabbit”. Sembra un telefilm americano. Rabbit però non è “Roger”, ma il suo collega ischitano: “Coniglio”. Coniglio come quello destinato da sempre a finire in un tegame con la “capa d’aglio”, la conserva di pomodoro e la “piperna”. I due roditori, da un capo all’altro dell’Oceano, sembrano uniti da un destino comune: sfuggire agli attacchi di chi vuole incastrarli, Roger da quelli del giudice Morton, Coniglio da chi lo chiama “rabbit”. Succede anche questo nell’estate ischitana, la più calda degli ultimi 150 anni. Più che per l’afa per i rapporti Confindustria e Svimez, che senza tanti giri di parole spiegano come la ripresa per il Sud si stia dileguando, come farebbe Coniglio se potesse liberarsi dal menù lampeggiante della Riva destra. Il Meridione – si legge – è destinato a recuperare i livelli di “ricchezza” del 2007 non prima del 2025. A condizione di mantenere lo stesso tasso di crescita del resto del Paese, il che se pur patriotticamente auspicabile, appare onestamente improbabile. Ma anche riuscendo nell’impresa, il risultato sarebbe a dir poco deludente, se si tiene conto che nel 2007 il Mezzogiorno (con un PIL medio pro capite inferiore del 75% a quello comunitario), era ed è ancora collocato tra le aree depresse dell’Unione europea e proprio per questo beneficiario di ingenti supporti finanziari elargiti per far risalire il PIL stesso a livello della media comunitaria. Non può essere neanche di conforto il dato – rapporto Svimez – che, a fronte degli investimenti effettuati, l’economia del Mezzogiorno dal 2001 al 2013 è cresciuta della metà rispetto alla Grecia, quella che, poche settimane fa, si è salvata per un soffio dal default.
Dopo una sconfortante serie di negatività, il rapporto Confindustria lascia trapelare, però, un dato consolante: il Turismo del Mezzogiorno – si legge – registra un incremento di 700mila presenze straniere (si tratta, in realtà, di arrivi, ma la sostanza non cambia). Buona parte di essi sono registrati in Campania, che passa dai 2.776.000 ai 2.947.000 (con un incremento del 6,10 %). “Di pari passo la spesa dei turisti stranieri e la fruizione di beni culturali, che cresce questa volta più che nel Nord Italia”. Lo stesso turismo che ha fatto da salvagente all’economia greca scongiurando per ora l’uscita del Paese dall’Unione, oltre che il default. Turismo straniero abbiamo detto. Perché l’80% delle entrate da turismo, in Grecia, sono prodotte dalla clientela straniera: quella che garantisce entrate valutarie al Paese e migliore saldo alla bilancia dei pagamenti.
Ma anche qui siamo in presenza di un dato interessante: per restare in Grecia, nel 2014 dei 19 milioni di arrivi ben 14.400.000 sono stranieri. Nel Sud d’Italia gli arrivi stranieri ammontano a circa 5.500.000. Questo significa che la Bilancia dei pagamenti greca, alla voce turismo, registra entrate di molto superiori rispetto a quella italiana. Ecco, allora, che non basta il numero ma è necessario analizzare la qualità delle presenze, perché queste possano avere effetti significativi sulla Bilancia dei Pagamenti e sull’economia dei Paesi. Perché il turismo produca sviluppo durevole, e sullo sviluppo sostenibile e durevole sono improntati i trattati europei. In particolare, il malato Mezzogiorno è ormai in terapia intensiva: non possiamo più permetterci dunque cure a pannicelli caldi (anche se pagati come farmaci salvavita). Non possiamo più permetterci di spendere allegramente senza prima chiederci: “chi, dove, come, quando e perché”. Vale a dire senza porci le domande che ci faranno i nostri figli laureati che, grazie alle politiche dissennate di cui sopra, sono oggi costretti a lavorare lontano da casa, e ad applicare le loro splendide energie e il loro “capitale umano” in luoghi diversi da quelli nei quali avrebbero il diritto di vivere. Non si tratta di scoprire la formula del secolo per sapere cosa fare, basta leggere i documenti comunitari: c’è scritto tutto. E non da adesso. Il Mezzogiorno d’Italia (e quello comunitario) ha un volano di inestimabile valore costituito dal turismo e dalle attività ad esso collegate: beni culturali, ambientali, storici, umani. Il turismo, come i pozzi di petrolio a Dallas ai tempi di J. R., è ritenuto l’unico comparto in grado di garantire la crescita strutturale, sociale ed economica dei nostri territori. Tra i beni culturali – come ribadito dall’EXPO – rientra il patrimonio enogastronomico, in quanto emblema della cultura delle popolazioni, degli usi, dei costumi, di una sorta di rispetto per la Natura, quella evocata da Papa Francesco, ripresa da Obama in questi giorni nella decisione di abbattere del 32% le emissioni in atmosfera degli Stati Uniti, citata dal ministri dei Paesi partecipanti allo stesso EXPO solo pochi giorni fa.
Anche in virtù di questi ragionamenti Coniglio deve essersela presa non poco: perché lui, con tutto il rispetto per Roger (Rabbit), pur non facendo parte dell’universo hollywoodiano, è parte integrante della migliore cultura di Ischia come le case di pietra, il castello Aragonese, la coppa di Nestore e le fucine di Aenaria.Lui non è un rabbit lui è un Coniglio. Questo però non è sufficiente a salvarlo dalla pentola.
ISCHIA: ADDIO AGLI STRANIERI?
Comunque nel pieno della stagione sono stati resi noti i dati del primo semestre 2015, quelli che vanno da gennaio a giugno dell’anno in corso e che, salvo eventi eccezionali, rappresentano un indicatore su quello che è avvenuto, su quello che avverrà nel secondo semestre e su cosa fare per correggere il tiro. Nei primi sei mesi del 2015 rispetto al 2014, Ischia perde l’1,5 % delle presenze turistiche. Bene per gli italiani (più 2.2 %), male, anzi malissimo per gli stranieri dove la perdita rispetto all’anno precedente è di circa il 10% (meno 36.355 pernottamenti, quasi tutti ascrivibili a tedeschi 7.572 e russi 28.096 che in termini percentuali perdono rispettivamente –3.77 % e –47.28 %).
Con un milione e cinquecentomila presenze, diluite, tra l’altro, in bassa stagione, il turismo di lingua tedesca ha caratterizzato la domanda ischitana per mezzo secolo. Centrato sul termalismo, la domanda è andata in crisi quando la Germania si è trovata a dover sostenere i costi della riunificazione. L’arretratezza tecnologica della parte comunista, l’urgenza di intervenire con costose modifiche strutturali, hanno reso impossibile finanziare le cure fino ad allora praticate dai cittadini tedeschi in Italia. Quindi, la moneta unica che ha depotenziato il vantaggio del cambio del Marco in Lira, infine la crisi del 2007 che non ha risparmiato neanche la Germania. Oggi le presenze di lingua tedesca ad Ischia si attestano sulle 400.000 unità. I
russi compaiono, invece, all’orizzonte nel 2005: circa 28.000 presenze salutate a salve di cannone da un’isola in crisi di abbandono tedesco; cresciute impetuosamente fino alle 190.000
del 2013. Si era in fiduciosa attesa del sorpasso sulla Germania, ma la crisi ucraina, le sanzioni internazionali, il crollo del rublo, il calo del prezzo del petrolio, hanno trucidato il segmento in tenera età: meno 47% nella prima metà del 2015. Prospettive per il ritorno ai trend del 2013 in forte ribasso.
Lo stato dell’arte è, dunque, che Ischia perde turisti stranieri con la prospettiva di attestarsi, con il mercato straniero al 25% del totale. Questo purtroppo in controtendenza con i nostri diretti concorrenti: Capri che guadagna il 6.55% delle presenze e il comprensorio Sorrento – S.Agnello il 5,20%.
Questo anche a dispetto dell’incremento di traffico internazionale all’aeroporto di Capodichino, all’alta velocità che collega Roma a Napoli in un’ora e 10 minuti e alla linea della metropolitana che collega la stazione ferroviaria con piazza Municipio, consentendo l’arrivo ad Ischia in modo più veloce e decoroso di quanto accadesse solo poco tempo fa.
Ma allora perché Ischia non affascina più gli stranieri? Qual è l’immagine di Ischia all’estero (al netto d’inquinamento, problemi ambientali e fatti di cronaca)? A giudicare dalle fiere internazionali, il principale canale di comunicazione della nostra offerta, nulla è cambiato: tra cene, serate di gala e scarsa determinazione nel cercare di capire in quale direzione stia andando la domanda e più in generale – perché il turismo è un prodotto della società – il mondo che ci circonda, la liturgia si ripete nella spensierata convinzione che la “provvidenza” (sotto forma di Primavera araba, Ebola, influenza aviaria, Isis) continuerà a soccorrerci nei momenti di bisogno. E se la buona notizia è che la Borsa Internazionale del Turismo di Milano non coincide con il calendario del Festival di San Remo e quindi ci viene risparmiato il coro degli assessori al turismo come nelle passate edizioni, la situazione rimane delicata.
TORNIAMO ALLA RIVA DESTRA.
Il coniglio continua ad essere il piatto di punta dell’offerta gastronomica dell’isola. Come tale lo si è offerto nel secolo scorso ai tedeschi (che avendo perso la guerra si guardavano bene dal protestare). Pensando di fare cosa gradita, lo si continua ad offrire alle nuove generazioni nonostante nel frattempo lo stesso sia stato decretato “animale di affezione” e che figuri al terzo posto tra gli animali da compagnia dopo cane e gatto in Germania, in Italia e in buona parte dell’Europa. Eppure, gli addetti della nostra offerta d’inverno andavano a lavorare in Germania e sposavano donne tedesche che hanno contribuito a migliorare il contesto culturale e sociale della nostra isola. Questo non è bastato. Non è bastato a illuminare sul fatto che i tempi sono cambiati, che la Natura si torna a scrivere come facevano i greci (di Aristotele, più che di Tzipras) e come fa ora il Papa: con la N maiuscola, che è stato messo su EXPO per ragionare insieme su come trovare cibo in un pianeta troppo piccolo per contenere tutti noi con il nostro antiquato modello alimentare (e qui Coniglio approverebbe), ma rispettoso dell’ambiente. Tanto più se l’ambiente rappresenta, come nel caso nostro, il solo petrolio a disposizione.
Ma se tutto è inutile, se proprio un innocente deve finire in pentola, almeno gli siano riservati gli onori delle armi. Sulla sua lapide vi sia scritto: “Coniglio”. Al massimo: “ Pasquale”, “Gennaro”, “Mario” ma non “ rabbit”. E che la stessa lapide non lampeggi come il night dove canta Jessica Rabbit, moglie di Roger.
text_Mario Rispoli