Interview_ Cecilia D’Ambrosio – Photo_ Riccardo Sepe Visconti
Un gastrocritico direbbe che appartiene alla nouvelle vague della pizza, perché la sua, che definisce ‘nuvola’ nei tags dei social, ha il cornicione pronunciato e l’impasto molto idratato; gli appassionati di prodotti a km 0 non potrebbero non lodare le attente selezioni di materie prime che ne farciscono le creazioni; un tifoso coglierebbe con un sorriso le coincidenze fra l’evocativo nome di battesimo e il percorso professionale da numero uno (anzi da numero 10). Ad ascoltare il racconto di Diego Vitagliano, classe 1985, ne esce un mix di comunicativa meridionale e forte pragmatismo, che i luoghi comuni attribuiscono al Nord. Ma lui i luoghi comuni li sovverte: la sua storia parte da un sonoro “Vai a lavorare se non vuoi studiare” pronunciato dal padre Giuseppe, dipendente comunale, quando aveva 16 anni, che gli ha consentito di far crescere un bel talento fra lieviti e farine, dietro il bancone di marmo di diverse pizzerie storiche della città, con tanti maestri. Grazie ai quali adesso afferma con convinzione: “Quando mi dicono che essere la prima generazione può costituire un limite, non sono d’accordo” E i riconoscimenti gli danno ragione. Con il suo primo locale, 10 Diego Vitagliano, a Pozzuoli, è stato eletto, infatti, Miglior giovane pizzaiolo campano dalla guida de La Repubblica, ha ricevuto 2 spicchi dal Gambero Rosso, è nella top 30 del Campionato della pizza 2017 di Dissapore e al 43esimo posto di 50 Top Pizza. Proprio in queste settimane, quella esperienza lascia il posto a una nuova iniziativa di cui si stanno definendo i contorni: in anteprima ci ha detto che sposterà il suo 10 (mantenendo lo stesso nome) dal lungomare di Pozzuoli a Bagnoli: seguiremo da vicino Diego che sta rapidamente diventando una tappa importante nell’ideale tour fra i nuovi – davvero bravi – pizzaioli napoletani.
Come sei arrivato dietro il bancone della pizzeria?
Non volevo andare più a scuola e a 15 anni mio padre mi ha portato da Carmnella, alla Ferrovia, mi lasciò con Salvatore e Vincenzo Esposito dicendomi “Se esci da qui, non tornare più a casa!”. E’ una pizzeria storica che lavora secondo la tradizione, all’inizio facevo le consegne a domicilio e prendevo molte mance, la sera ero anche lavapiatti. Lì ho preparato la mia prima pizza. Mi mettevo al forno saltuariamente, poi li convinsi e mi fecero provare. Andai al banco che mi arrivava quasi al collo, perché ero piccolino: ricordo che l’impasto si stendeva e si ritirava e non riuscivo a farne un disco e loro naturalmente ridevano! Salvatore Esposito mi trasferiva il mestiere solo a guardarlo; conosco il figlio Vincenzo, che adesso guida il locale, da tantissimi anni, abbiamo un rapporto fraterno e quando mi spostai come pizzaiolo Da O’ Monaco, ai Camaldoli, mi dettero un sacco di consigli.
Quando arriva la svolta?
Dopo circa tre anni da Carmnella, sono passato a Casa Infante (Ndr. Storico tarallificio, rosticceria e pasticceria a Napoli): Patrizio Infante mi ha insegnato ad essere uomo nel lavoro, ad essere professionale, lo considero uno dei più grandi imprenditori napoletani, eravamo in 100 lavoranti, i capireparto erano anziani, poi c’eravamo noi ragazzi. Patrizio Infante ha tolto tanti giovani dalla strada, e non a caso poi ha anche realizzato un progetto di collaborazione con il carcere minorile di Nisida. In seguito, ho cambiato ancora fino ad approdare da Franco, al corso Lucci, e ci fu la svolta: ho iniziato a studiare gli impasti, perché la pizzeria entrò nell’associazione Verace Pizza Napoletana e conobbi Salvatore Santucci, docente presso l’Associazione, uno dei primi che ha fatto l’alta idratazione. Poi sono passato da 18 Archi, un pizza restaurant di fronte all’anfiteatro Flavio a Pozzuoli. La presi come una scommessa, mi piaceva il posto e la libertà che mi davano di lavorare secondo le mie idee ed è stato un exploit.
Tutto questo accadeva solo due anni e mezzo fa…
Sì, avevo 30 anni. In breve la pizzeria è arrivata a un ottimo livello, si parlava di me e un giorno è entrato Tommaso Esposito (Ndr. Giornalista ed esperto di pizze che scrive per il blog del critico Luciano Pignataro). Stavo sperimentando l’impasto alle alghe con cui ho fatto la pizza Cozzabella (alghe nell’impasto, che uso anche per altre pizze con sapori di mare, e farcitura con provolone del Monaco Dop e cozze), lui lo provò e ne scrisse sul blog, da quel momento il mio nome è diventato famoso. E’ seguita l’esperienza entusiasmante del mio primo locale, 10 Diego Vitagliano sul lungomare di Pozzuoli, che ho condotto insieme ai miei soci fino agli inizi del 2018: la strada fatta insieme è stata ricca di soddisfazioni, ma adesso ci sono delle ulteriori novità, !0 si trasferisce probabilmente a Bagnoli con cambiamenti di cui saprete presto.
Oggi l’arte del pizzaiolo si è evoluta in diverse scuole di pensiero, miscele di farine, lieviti, maturazione dell’impasto sono oggetto di accese discussioni. La pizza di Diego Vitagliano vienie spesso accostata a quella detta a “canotto”. Tu sei d’accordo?
La mia pizza non è una “canotto”, la “canotto” nel piatto è piccola, mentre nella mia il disco lo occupa tutto, ha il cornicione pronunciato ma ben alveolato, la definirei “una verace rivisitata”, è più idratata ma rimane una verace, mi arrabbio quando mi dicono che non è così solo perché non la stendo con lo schiaffo! Ho fatto questa scelta perché così non distruggo l’alveolatura che si è creata nell’impasto. E’ una pizza ad alta digeribilità, piena di aria, molto idratata, perché più acqua si dà all’impasto più si accelerano i cicli enzimatici, i più importanti sono proteasi e amilasi, che hanno la funzione di spezzare il glutine, in modo che il prodotto finale non ti provoca necessità di bere troppo, cosa comune con la pizza di vecchia impostazione.
Che lievito adoperi? Parliamo del ruolo di questo elemento nella preparazione di una buona pizza.
Uso lievito di birra compresso, in pratica quello che si adopera anche a casa. Sono del parere che bisogna saper usare il lievito, non è vero che se ne deve mettere poco, il lievito ha la funzione di scomporre tutto quello che c’è nell’impasto, carboidrati sotto forma di amido e proteine cioè il glutine, se ne metti poco in percentuale rispetto alla farina, non riesce a compiere per bene il suo lavoro. E la pizza risulterà ricca di zuccheri non scomposti, di carboidrati, di proteine, sembra gomma quando si mangia e resta sullo stomaco.
Come scegli la farina?
Uso farine tipo 0 con germe di grano di forze diverse e una farina tipo 1 (Ndr. Che contiene un certo quantitativo di crusca e di germe di grano). Ho un blend proveniente dal medesimo mulino perché sono contrario a miscelare farine da mulini diversi, è un problema di granulometria, non tutti usano gli stessi grani e se li mischi il risultato non è buono. Quindi sempre lo stesso mulino ma con forze diverse che variano in base alla temperatura esterna: nei periodi freddi scelgo il tipo 1 con le fibre; in estate elimino le fibre e lavoro solo con farina tipo 0 con germe di grano. Attualmente mi servo dal molino Gatti, che ci dà la sua farina in esclusiva in Campania come pizzeria 10. Sono farine di alta qualità, prodotte da un piccolo mulino, e ciò mi consente di avere un rapporto diretto con il mugnaio Marco Gatti, che è bravissimo, e posso far personalizzare il prodotto.
Come hai costruito la carta delle pizze?
Dentro ogni pizza c’era un pezzo di Campi Flegrei o di Campania. E’ la scelta che ho fatto dal primo giorno di 10, perché Pozzuoli ha contribuito moltissimo al mio successo, sono molto legato a questo territorio che è ancora poco valorizzato. Ho stretto legami con i piccoli produttori, la macelleria Fratelli De Gennaro a Bacoli per i salumi, i vini di Cantina Iovino e di Salvatore Martusciello, i fratelli Colandrea per l’orto. Mi ha aiutato Giuseppe Gargiulo, il food hunter che collabora con me nella ricerca dei prodotti. All’inizio loro stessi erano scettici, quando ai De Gennaro chiesi un cotto arrosto non volevano darmelo, domandai la loro fiducia, per avere l’esclusiva sul lungomare e gli dissi “il prodotto esploderà”. Oggi fatturiamo quasi 60mila euro all’anno con la loro macelleria! Lo stesso con Sciardac (Ndr. cui è dedicato un articolo in questo numero), la bellissima salumeria di Bacoli, anche lì quando mi sono presentato dicendo “ho un progetto sul lungomare di Pozzuoli e voglio l’esclusiva sui vostri prodotti” non erano convinti, pensavano che avrei fallito, perché l’80% dei napoletani che apre a Pozzuoli, chiude. Invece, dopo 8 mesi ho iniziato a vedere un flusso di puteolani e flegrei venire da me.
Cosa c’è nel tuo futuro prossimo?
Nel 2018 ho in programma di aprire nuove pizzerie fuori dalla regione, ma l’Area Flegrea è per me un punto di riferimento, e perciò il mio prossimo locale sarà comunque in questa zona. Fuori voglio portare un altro format, dedicato alla pizza napoletana contemporanea, quindi non tradizionale, con impasto ad alta idratazione e farine differenti.