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Photo: Oscar Pantalone
ArtDirector: Federico Simonassi
Text: Salvatore Ronga
Intervista con uno dei sacerdoti più conosciuti dell´isola, parroco della chiesa di S. Pietro, nel cuore di Ischia, e per anni professore al Liceo.
Don Agostino Jovene è stato il mio insegnante di religione al Liceo Classico: grazie a lui ho incontrato Pier Paolo Pasolini e il suo Vangelo secondo Matteo, una vera rivelazione. uno squarcio improvviso sulla realtà dei nostri tempi. Strapparci all´ipnotico e ovattato labirinto di nozioni, tra perifrastiche passive e verbi irregolari, regalarci un´ora di ascolto, di riflessione leggera e al tempo stesso profonda: questi i ricordi che condivido con studenti, più giovani di me, orfani della sua ora di lezione, da quando il nostro sacerdote ha lasciato l´insegnamento. La conversazione con lui incomincia da qui.
S.: Vi manca la scuola? Avete lasciato l´insegnamento da qualche anno.
A.: La scuola, come istituzione, non mi manca. Al liceo classico ho insegnato dal 1979 fino a tre anni fa. Per il resto, il rapporto con i ragazzi non è cambiato perché li incontro spesso. È un motivo di grande soddisfazione vedere vecchi studenti che ti vengono a cercare per discutere, per parlare di problemi di ogni genere. La mia figura a scuola non era quella del professore, ma del maestro, che dava segnali, messaggi, che era vicino ai ragazzi, soprattutto quando si accorgeva che c´erano dei grossi problemi. Se c´è qualcosa che mi pesa ancora, è la tragica morte delle due studentesse, una cosa che ha sconvolto tutti. Nessuno poteva immaginare che avrebbero compiuto quel gesto estremo. Rileggendo l´episodio, ho pensato che forse negli ultimi mesi avevamo pressato troppo queste ragazze. Resta comunque un capitolo molto brutto della mia vita a scuola, perché non sai se hai fatto tutto, o potevi fare di più.
S.: Parlando con gli studenti del Liceo, ho riscontrato un atteggiamento di profondo affetto nei vostri confronti, e di nostalgia.
A.: Gli inizi, nel 1979, sono stati per me traumatici. I ragazzi non erano neanche abituati a restare in classe per l´ora di religione. Dopo questa prima fase che definirei di combattimento, ho avuto la fortuna di conoscere ragazzi straordinari impegnati nel sociale, interessati a problemi extrascolastici e di grande curiosità intellettuale. Un´esperienza nel complesso molto bella.
S.: Negli ultimi mesi, è divampata una polemica molto accesa sull´ora di religione, nella terza pagina dei quotidiani nazionali. Si è evidenziato un forte aumento delle richieste di esonero dall´ora di religione nelle scuole superiori e, di conseguenza, si è messo sott´accusa il metodo di insegnamento così come oggi viene promosso.
A.: La differenza tra il vecchio insegnante e il nuovo è essenzialmente di natura pastorale. Il parroco è padre e ha un ruolo educativo diverso da quello del laico, che si sente soprattutto professore. L´insegnante di religione non deve essere un professore come tutti gli altri. Certo, ha l´esigenza di osservare la legge e, quindi, di adempiere a un programma, ma deve anche saper ascoltare i ragazzi, capire se il singolo studente ha un problema e ha la necessità di aprirsi. Credo che da parte della CEI sia opportuno un ripensamento in merito alla riforma. È necessario che ci sia almeno un sacerdote per ogni istituto, anche nel ruolo di coordinatore.
S.: Avete nostalgia dei colleghi? Avete occasione di incontro?
A.: Con alcuni di loro, amici carissimi, ho incontri di tavola.
S.: Nella vostra attività pastorale, divisa tra la scuola e la parrocchia, siete stato e siete costantemente a contatto con i giovani. Riguardo alla morale sessuale, non avvertite il contrasto tra ciò che viene predicato e quello che poi è il reale atteggiamento dei fedeli al riguardo?
A.: Su questo tema c´è molto fariseismo, da tutte le parti. Il discorso che faccio io è quello della scelta di vita che si intende fare, perché l´aspetto sessuale e fisico è, in definitiva, secondario. Ci sono giovani che fanno una scelta di maturazione fisica fino al matrimonio. Con questo non voglio dire che arrivano integri al matrimonio, questo non lo so. Ma c´è il tentativo di vivere il rispetto dell´altro, di costruire una vita di coppia, l´errore fa parte della nostra umanità. La cosa brutta è che il sesso viene visto come consumo, anche all´interno del rapporto di coppia. Forse si dà troppa importanza al sesso. Se ti chiedo perché ti sposi e tu mi rispondi che lo fai perché vai d´accordo col partner, le motivazioni non sono di ordine culturale o di scelta di vita. Cosa vuoi dire: stiamo bene insieme? Stiamo bene a letto? Non ci si sposa perché si sta bene con quella persona, ma perché con quella persona ci sono dei progetti di vita da realizzare. La materia sessuale è una materia morbida, sulla quale non si può essere maestri. Alla base c´è però il rispetto di se stessi e dell´altro.
S.: Voi siete responsabile di una delle parrocchie più prestigiose della nostra diocesi. La figura del parroco è centrale nella nostra comunità. Siete a contatto con i problemi della gente. Ho seguito spesso i vostri interventi e l´analisi della nostra realtà economica e sociale fatta in più di un´occasione mi ha colpito profondamente per la chiarezza e la precisione.
A.: Nella nostra parrocchia abbiamo la sede diocesana del banco alimentare, attraverso la fraternità di Comunione e Liberazione. In base ai dati che possediamo e che consideriamo parziali, per il fatto che non tutte le parrocchie si sono iscritte, seguiamo mediamente duecentocinquanta famiglie al mese per un numero complessivo di circa settecentocinquanta persone, tenendo conto però che gli extracomunitari, in linea di principio, non sono conteggiati. Da diversi anni, si è aperta una grossa forbice nel nostro tessuto sociale: c´è la povertà estrema che maggiormente seguiamo, poi c´è la povertà dignitosa di tante famiglie che arrivano con difficoltà alla fine del mese, infine c´è un piccolo gruppo di famiglie che vivono nell´agiatezza, una ricchezza spesso esagerata.. Questa potrebbe sembrare un´analisi semplicistica, ma non lo è perché, per quel che riguarda noi parroci, si è costantemente a contatto con situazioni di estremo disagio.
S.: Negli anni, nell´ambito dell´attività pastorale, immagino che abbiate potuto seguire da una posizione privilegiata il mutamento dei costumi.
A.: Da ormai ben sedici anni sono parroco in questa chiesa (ndr: S. Maria delle Grazie o S. Pietro, nel centro di Ischia). Il cambiamento, per quanto riguarda la mia visione della realtà, c´è. Riscontro una maggiore partecipazione da parte dei laici, un più forte senso di responsabilità. Faccio un esempio: abbiamo come regola lo svolgimento annuale di attività missionarie, progetti che realizzano dai quindicimila ai ventimila euro; ebbene, anche quando ci siamo trovati in difficoltà amministrative legate a lavori manutentivi intrapresi, la comunità ha sempre deciso di dare priorità alle attività missionarie. Questo comportamento denota una certa maturità.
S.: Riguardo ad altre tematiche, alla morte per esempio, ho l´impressione che non solo tra gli adolescenti, dove in realtà la sua ombra è presente più che mai, ma anche tra gli adulti, ci sia oggi una rimozione. Abbiamo forse perso la capacità di elaborare il lutto? Mi riferisco anche all´abbandono dell´abito nero, un´usanza per certi versi non priva di ipocrisia, ma che forse aiutava anche a convivere con l´idea della morte.
A.: È così. Si è rimosso il lutto, come vestito da indossare per un certo periodo. Io dico che si è rimossa anche la morte. Oggi difficilmente ci pensiamo. Ci sono traumi in alcune persone che vivono il dolore nell´intimo di se stessi. Sono drammi che assumono proporzioni esasperate. Si è intimizzata la morte e, così facendo, la si è estremizzata. Una cosa è la famiglia che vive il lutto, anche formalmente, un´altra cosa è vivere il lutto da soli. Per l´incapacità di condividere il dolore, si arriva anche alla disperazione, ci si chiude in se stessi.
S.: Una piccola curiosità di natura teologica, restando in tema. Che fine ha fatto il purgatorio? Non se ne parla più. Il limbo anche…
A.: La forma del limbo è dogmaticamente superata, un pensiero medievale e chiudiamo così. Semmai si sono estremizzate le due posizioni del paradiso e dell´inferno. Si sta cercando di recuperare l´aspetto misericordioso di Dio. Se si sperimenta che Dio è misericordioso, allora si recupera anche l´idea di purgatorio. Se parliamo invece di un Dio solo punitivo e minaccioso, ci portiamo su posizioni estreme. Per quel che mi riguarda, io insisto sulla misericordia. Che senso ha dire al fedele che va all´inferno se si comporta in un certo modo? Non c´è minaccia, perché c´è la libertà, la libertà di amare.
S.: E riguardo ai miracoli? L´attenzione esasperata dei media intorno ai miracoli non vi infastidisce? Non c´è contraddizione tra il Vangelo che affida la salvezza alla Parola e questa sempre presente attesa del miracolo? Non vivete come una sconfitta il bisogno del miracolo da parte dei fedeli?
A.: Mentre parlavi, pensavo a un passo del Vangelo dove si legge che quando Gesù si accorge che la gente lo segue per i miracoli, si allontana e va a pregare. Fa parte della natura umana chiedere il miracolo, ossia una meraviglia che Dio opera. La Chiesa ha però un compito di magistero e non può ingannare. Da qui la sua estrema prudenza in materia. Gesù d´altra parte dice che non ci sarà dato alcun miracolo, se non nel suo segno. Quindi se il miracolo c´è, serve ad approvare la fede, se non c´è, non cambia nulla. Il miracolo, secondo la Bibbia, è l´uomo che vive seguendo Dio. Ma l´uomo, che vive seguendo Dio, non chiede il miracolo, perché si sente parte del progetto di Dio.
S.: Anche nel mondo dell´editoria, come in quello televisivo, si è risvegliato un diffuso interesse per le materie religiose. Penso ai vangeli apocrifi, tornati in auge dopo il successo del “Codice da Vinci” di Dan Brown.
A.: In relazione ai libri che si stanno pubblicando sull´argomento, c´è da dire che la Chiesa ha sempre saputo e ha chiarito che, per alcuni di questi testi, i vangeli definiti apocrifi, il contenuto non è storico. Forse oggi abbiamo perso anche il senso della storia, siamo ormai abituati all´inciucio. Così si pubblicano libri che contengono anche verità, sulle quali la Chiesa non ha taciuto, ma in una veste “pruriginosà´, per attirare l´attenzione del pubblico. Mi trovo spesso a incontrare persone che confondono il genere romanzesco con il genere storico. Su questo la Chiesa dovrebbe lavorare di più.
S.: Ci sono lettori del “Codice da Vinci” che hanno avvertito la necessità di chiedere chiarimenti in merito alle tesi propugnate da Brown nel suo romanzo?
A.: Sì, ci sono. In linea generale, che la gente legga è un bene. Punto. Se poi non c´è il criterio interpretativo, dipende, nel nostro caso, dalla Chiesa che non lo dà un criterio. La proposta che ci viene dai media, non selettivi e schierati, è preconfezionata e non ci rende liberi. La civiltà occidentale non vive la libertà, ma la schiavitù dei poteri dominanti.
S.: Parlando di civiltà occidentale, è inevitabile il richiamo al rapporto con l´Islam. Noto, soprattutto tra i giovani, due atteggiamenti: da una parte, la curiosità nei confronti del mondo arabo, l´interesse per la loro lingua e la loro religione, confermato anche dal proliferare di corsi di studi orientali nei nostri atenei; dall´altra un crescente bisogno di indagare sulla nostra identità, anche religiosa. I due percorsi sono, a vostro parere, paralleli oppure un punto d´incontro c´è?
A.: Dipende dal percorso personale. Se ho una conoscenza già approfondita della mia fede, vado anche ad approfondire il confronto. L´ecumenismo è una visione di fede che dovremmo sempre tener presente. Gesù invita all´incontro, rispettando però l´unico compito che ha il cristiano, ossia l´annuncio della fede. Poi la risposta è libera, perché il Signore ci ha dato la libertà. Entrambi i percorsi a cui accennavi sono belli e importanti, perché la cultura non fa male a nessuno. La ricerca della verità è arricchimento. Anche attraverso l´Islam si arriva alla fede perché, in comune a tutte le grandi religioni monoteistiche e storiche, c´è il richiamo a migliorarsi nella natura e nel cammino dello spirito. Il problema è semmai, nelle religioni moderne, che predicano il consumo e un miglioramento solo estetico, privo di contenuto.
S.: Una delle critiche più ricorrenti che vi vengono mosse da parte degli esponenti delle numerose giovani chiese, presenti anche sull´isola, come la chiesa evangelica o i Testimoni di Geova, riguarda il rapporto diretto del fedele col libro sacro. I cattolici sono accusati di non leggere la Bibbia e di aver bisogno della mediazione del clero per accedere alla verità rivelata.
A.: Nella Chiesa cattolica occorre questa mediazione. Per leggere il testo sacro è necessario conoscere le categorie e i generi letterari. Non si può trasferire meccanicamente quello che dice l´Antico Testamento nella vita di tutti i giorni. Ci vuole un´esperienza di fede, ma per un cammino più approfondito c´è la figura del padre spirituale con cui confrontarsi. Anche io, sacerdote, ho la necessità di ascoltare chi è più bravo di me e può darmi delle indicazioni. Altrimenti c´è il rischio di correre invano, come dice San Paolo..
S.: È interessante il richiamo che fate ai generi letterari …
A.: Sugli studi biblici, in realtà, siamo in ritardo. L´enciclica di Pio XII invitava a leggere la Bibbia e, in particolare, i primi undici capitoli della Genesi, applicando criteri letterari, ma gli studi biblici sono relativamente recenti. Anche se, in definitiva, devo chiedere al libro sacro il messaggio di Dio. Dove non capisco, mi faccio aiutare.
S.: Ritornando alla vostra attività pastorale nell´ambito della parrocchia, la vita dei fedeli vi scorre davanti agli occhi. Le generazioni si susseguono, tra battesimi e matrimoni. Ci sono momenti di solitudine?
A.: La solitudine è parte della vita. Nei primi anni del sacerdozio la solitudine era dura: tornavi a casa, la sera, ed eri solo. Oggi parlerei di solitudine ricercata. Per me è necessario andare in un posto, da solo, e rigenerare le energie. In definitiva, se la vita, da prete, la concepisci come donazione e servizio, la solitudine non c´è. Se la umanizzi troppo, invece, si fa sentire.