EDUARDO COCCIARDO:
VIVERE DI PAROLE
Text_ Eduardo Cocciardo Photo_ Dayana Chiocca
E’ stato un anno molto importante per me. Diviso fra la preparazione di Un giorno all’improvviso – un amore contemporaneo (Ugualos Produzioni, con l’attrice napoletana Francesca Stizzo), il Laboratorio di comicità intelligente Pensacomico, ideato da Bruno Tabacchini e da me diretto al Nuovo Teatro Sancarluccio, la realizzazione dell’Orlando Furioso, con gli allievi di Recitazione della Tca (The Creative Arts Teresa Coppa) di Forio, e la promozione del mio ultimo romanzo Gli Alfabeti della Morte (Edizioni Arpeggio Libero). Comun denominatore è e sarà sempre lo stesso: la scrittura. A trecentosessanta gradi. Perché prima ancora della regia e della recitazione, è la scrittura a catturarmi davvero. Anzi, ho sempre ritenuto che l’interpretazione e la direzione di uno spettacolo (o di un film), altro non siano che proiezioni perfezionanti della pagina scritta. Non semplicemente attuazioni di ciò che per sua natura vive sul piano virtuale e simbolico, ma occasioni per spingersi verso una “nuova scrittura”, un ponte ideale fra la pagina già scritta (il passato), e le pagine da ri-scrivere (il futuro), cosicché il presente, il momento dell’essere in scena, finirà per scorrere nella memoria del pubblico come un sogno che non si è certi di aver vissuto. E questo è anche un po’ il tema di Un giorno all’improvviso – un amore contemporaneo (che ha debuttato il 19 maggio al Nuovo Teatro Sancarluccio, l’8 luglio è andato in scena sul molo borbonico a Forio, e sta per iniziare una tournée che lo porterà ad Avellino, Benevento, al Museo Archeologico di Napoli, a Roma e in Toscana), con i due ex amanti, Sara e Luca, che si ritrovano in un non-luogo ed un non-tempo (forse si stanno incontrando proprio in sogno) a discutere di una storia finita male, improvvisamente, così come all’improvviso aveva magicamente preso inizio. In un’epoca che non sembra riconoscere più dei valori accertati, ci si chiede se valga ancora la pena amare davvero, se abbia un senso crederci ancora. Due soli personaggi in scena. Un dialogo-monologo fiume. Una sorta di seduta di psicoterapia, alla ricerca di una risposta, di una verità, di un senso, di un giro di boa che ti porti realmente da qualche parte. Temi analoghi, per quanto sviluppati con uno stile e modalità espressive completamente diverse, anche nell’Orlando Furioso, col famoso conte-guerriero visto come un bambino impelagato in un dolorosissimo percorso formativo che, dagli ideali più puri, lo porta a precipitare nella realtà indistinta e cinica dell’essere uomo e attraverso il viaggio nella follia ad una nuova coscienza, potenzialmente superiore, di un essere impuro e superumano allo stesso tempo, capace adesso di vedere le follie del mondo con uno
sguardo analitico, decostruttivo e dominante. Anche il Laboratorio Pensacomico, per quanto rivolto esclusivamente alla comicità, si propone di riportare tutto al pensiero, al ritrovamento di un senso, sulla scia della grande tradizione comica napoletana e nazionale.
Il mio teatro e la mia scrittura, insomma, fortemente incentrati sul piacere della parola (codice scritto, corpo e voce allo stesso tempo) provano e proveranno a viaggiare sempre in questa direzione (sto lavorando già ad uno nuovo spettacolo che ritengo una sorta di capitolo successivo di Un giorno all’improvviso). In una società che ha fatto dell’ambiguità e della falsità le sue uniche “verità assolute” (con i social che ne sono le un po’ magnifiche e luminescenti cattedrali), provo a stringere il cerchio su ciò che l’uomo contemporaneo cerca testardamente di evitare: il dialogo, il confronto con l’altro, la ricerca di risposte, il coraggio di gettare uno sguardo all’abisso che si nasconde dietro le nostre maschere. Pirandello docet. Ma provo anche a spingermi verso un’analisi tutta contemporanea: ciò che chiamiamo progresso e tecnologia non solo ha ispessito il cuoio delle nostre maschere, ma ci sta rendendo, man mano, sempre più bestiali. Bestie però molto particolari: non completamente istintive e sincere, come animali, ma capaci di nascondere la loro bestialità sotto una coltre di filtri virtuali, palesemente utilizzati per presentare una certa immagine di sé al mondo, ed, allo stesso tempo, leggibili in profondità, dietro la maschera, dove invece si spalancano bisogni, impulsi, squilibri, istinti spesso spaventosi. Provo insomma a riportare il teatro a ciò che dovrebbe essere per sua natura: crocevia di verità e menzogne, e luogo deputato per cercare una nuova chiave di volta.