17/2007
Photo: Marco Albanelli
Text: Annamaria Rossi
Non è possibile assistere ad un concerto di Andrea Mingardi stando seduti. Ci si sta stretti, i piedi battono, le spalle si muovono, le teste si scuotono. Questo poi è stato un concerto particolarmente “infiammato”, un tributo a Ray Charles the Genius, il genio del blues e maestro di tutti. Anche di Mingardi,cresciuto vicino al Po, che non è il Mississipi ma in questo caso, poco ci manca. Reduce da Umbria Jazz, cui ha partecipato proprio per il suo ultimo CD dedicato al grande Ray per celebrare sessant’anni dall’inizio della sua carriera, Andrea torna ad Ischia dopo esserci stato da poco, premiato al Global Film Fest di luglio. Torna alla grande, con la Rossoblues Brothers Band al gran completo, capeggiata dal maestro Maurizio Tirelli che cura la direzione e gli arrangiamenti, un gruppo compatto, affiatatissimo, un’orchestra piena in tutte le sue sezioni, persino corredata da una delizia di coretto, indispensabile supporto per questo tipo di esecuzioni. Se ce ne fosse stato bisogno, con questo lavoro Andrea Mingardi conferma di essere il miglior cantante blues italiano, perché riesce ad entrare in questo genere, a viverlo con la sua voce, il suo calore, le sue malinconie, l’ottimo ritmo. Non è più solo una passione la sua, ormai è tutt’uno con la sua essenza. I risultati si sono ascoltati con il lento struggersi di “You don’t know me”, con la cadenza soul di “Let’s go get stoned”, l’ironia di “Busted”, per salire man mano verso la “Eleanor Rigby” anglosassone trasformata a suo tempo da Ray in tutt’altro. Poi molti altri brani, che so, un pazzesco “Bye bye love” ed una “Candy Man” da far impallidire e sotterrare Christina Aguilera. Per non parlare di “Mary Ann”, la cadenza, i fiati, mamma mia che bellezza! Ebbene sì, ho un debole per Mingardi, ma non solo io a quanto pare, un ragazzo seduto vicino a me ha commentato “è proprio carnale” e detto da un napoletano etero è un complimento notevole. L’arena era zeppa, molti fremevano sulle panche, il blues è una musica che arriva, a tutti. Forse perché è facile, ma chi se ne importa, almeno è musica vera, in questo caso egregiamente eseguita e cantata, molto lontana dalla notevole quantità di ciarpame che si ascolta troppo spesso, frutto di una sottocultura che impera in ogni campo. E se sono pezzi vecchi di anni non fa niente, ogni volta possono essere diversi, devono essere diversi e Mingardi è sempre stato ed oggi ancora di più è particolarmente bravo in questo,
interpreta certe cose a modo suo, senza intaccare lo spirito originario, personalizza, adatta al suo timbro, ne fa una cosa nuova. Poi, tra un’esecuzione e l’altra interviene, polemizza, invita a seguire la cadenza, ed alla fine chiama tutti sotto al palco, per parlare di eternità e ricordare, con una intensissima “Who wants to live forever”, l’amico Luciano Pavarotti che ora potrà cantarla con Freddy Mercury. In camerino, dopo, rilascia interviste senza risparmiarsi, firma autografi, il solito Mingardi di sempre. E’ stanchissimo, ma allegro e soddisfatto, la tensione sta calando. Ora si va a cena. Domani mattina si parte presto perché la sera c’è il concerto a Pavia. Nebbia, chilometri e blues, come sempre.