17/2007
Photo: Marco Albanelli
Text: Annamaria Rossi
Fabio Morgera è uno dei nostri, il bisnonno sindaco di Forio, il nonno foriano, il padre pure. Lui è nato a Napoli ma ha trascorso l’infanzia a Ischia, e pur essendosi trasferito a Firenze a otto anni, ha continuato a frequentarci nelle vacanze estive. E continua a frequentarci quando può, perché ha con questa terra un legame viscerale, fatto di ricordi e di nodi saldi dell’anima. Da tempo Morgera vive a New York, vi è capitato per una visita e non si è staccato più, trovando in quel luogo terreno fertile per la produzione e l’evoluzione di quello che ama, il jazz. Oggi Fabio Morgera è riconosciuto come una delle migliori trombe di natali europei, e questo a livello internazionale. Tanti concerti in giro per il mondo, tante collaborazioni importanti, tanta strada fatta per imparare ed accumulare esperienza in modo da avere, da tempo ormai, uno stile personalissimo che lo contraddistingue, insieme ad una grande bravura che incanala nel giusto senso il suo talento naturale. Diverse produzioni discografiche rappresentano i suoi momenti creativi, tra le ultime “Colors”, “Red Stars” e “The Voice Within”. Assisto stupefatta alla sua serata all’Ecstasy, è molto coinvolgente e convincente, meticoloso e saggio, una fusione di tecnica e cuore, un passaggio continuo attraverso varie sfumature che conferiscono intensità ed identità al “suo” jazz. Si intravede l’anima mediterranea ogni tanto, ma resta molto “americano” nel complesso. Il nostro incontro al mattino dopo è un poco anomalo, praticamente si chiacchiera mentre lo accompagno a pranzo al Regina Isabella. Mentre io racconto le mie impressioni sul concerto della serata precedente, per farmi correggere nei miei errori di semplice ascoltatrice, mi blocca quando pronuncio la parola “rigore”, riferendomi al suo modo di condurre le esecuzioni: “Ho suonato con tre musicisti validissimi, ma ho sentito l’esigenza di tirare i fili in certi momenti. Avendo collaborato in America con grandi personaggi, ho imparato soprattutto da Butch Morris quanto sia importante mostrare la strada giusta quando necessario, per lasciare spazio a improvvisazioni e libertà di movimento quando è il momento adatto”. D’altra parte, le composizioni sono in gran parte sue, quindi solo lui ha in testa come debbano essere rese. A proposito di ciò, domando come mai, secondo lui, oggi molti jazzisti siano esecutori mentre sono rari quelli che si cimentano nella produzione di nuovi temi. Mi risponde che “proporre oggi musica propria è rischioso, per questo lo fanno in pochi. Devo dire che da tempo è tutto fermo, dal sessantotto-settanta non si sono avute grandi novità, quindi è più semplice proporre i grandi standards, ci sono strumentisti bravissimi che lo fanno ed anche il pubblico è più portato ad ascoltare gli stessi pezzi eseguiti da artisti diversi perché il confronto è più facile e rassicurante. Tutto sommato è anche abbastanza sciocco però. Il grosso rischio sta nell’avere il coraggio di portare novità. Per quanto mi riguarda ho una sorta di urgenza di comporre musica mia, poi inevitabilmente la faccio ascoltare”. E noi accettiamo di buon grado, anche perché la musica di Morgera è stimolante e vigorosa. Il breve viaggio insieme è quasi al termine, ci fermiamo un attimo per una foto ad uno scorcio dell’isola che meraviglia e commuove questo artista che, nonostante giri il mondo, trova sempre spettacolari i nostri panorami. Non credo sia solo nostalgia. A noi resta la soddisfazione di avere un conterraneo che vive da protagonista la scena newyorkese e porta dentro di sé nel mondo qualcosa di noi.