Sunday, November 24, 2024

25/2008

Photo: Romolo Tavani
Text: Silvano Arcamone

 

Ischia Jazz decima edizione. Una gestione alquanto travagliata quest’ultima, che ha visto il festival perdere il supporto di Umbria Jazz e quindi riorganizzarsi con un’altra anima, individuata nel sassofonista napoletano Marco Zurzolo, direttore artistico del Festival. Il taglio scelto dal sassofonista napoletano è stato quello di leggere il jazz attraverso la tradizione popolare, che nel programma è stata egregiamente rappresentata da Enzo Favata, da Antonio Onorato e dalla stessa Ensamble di Marco Zurzolo. Del resto il jazz nasce come musica popolare afroamericana ed è stato musicalmente e culturalmente interessante verificare in che misura oggi musiche etniche di origine napoletana, sarda ed afroamericana potessero confrontarsi. Ischia Jazz, come negli ultimi anni, ha avuto il suo palcoscenico principale all’Arena Mirtina, mentre la coda jazz-club è stata programmata per due serate ai giardini del Cantiere Argita alla Riva Destra e per le ultime tre all’american bar Ecstasy in Piazzetta dei Pini. Un altro momento rilevante e inedito per il Festival è stato l’incontro con il sassofonista americano Archie Shepp, tenutosi all’Ecstasy alla presenza di giovani musicisti e appassionati, che hanno avuto la possibilità di colloquiare con lui e porgergli domande. Shepp ha parlato dell’importanza dello studio e della disciplina, perché la sola passione e il talento non sono sufficienti a fare di un musicista un grande musicista ed ha poi ricordato quella volta in cui si è presentato a John Coltrane, dopo un concerto in cui il sassofonista aveva suonato con Thelonius Monk al Five Spot di New York. In quell’occasione Coltrane dimostrò tutta la sua generosità rivelandogli alcuni segreti del sassofono e improvvisando musiche irripetibili per lui. Un neo di questa edizione è stato sicuramente il mancato concerto degli Incognito. Tale circostanza ha costretto ad un cambio del programma in corso e alla perdita di una serata che avrebbe dato senz’altro completezza al programma del Festival.
Tra i tanti concerti e artisti che si sono esibiti sui diversi palchi di Ischia Jazz 2008, ci piace ricordare naturalmente la serata d’esordio con Archie Shepp Quartet (vedi altro articolo in queste pagine) e lo Special Project con Zurzolo, Shepp e Don Moye (batterista degli Art Ensemble of Chicago). Marco Zurzolo fa un salto nel vuoto proponendo la propria musica insieme a questi due giganti del jazz d’avaguardia. Una scelta che misura la capacità di sentire la musica da parte di artisti che per tradizione e cultura sono tanto distanti, ma finiscono per intercettare le giuste sintonie da presentare ad un pubblico sempre più attento a tali proposte.
Interessantissimo il concerto del sassofonista sardo Enzo Favata con i Tenores De Bitti. Il progetto musicale The New Village è il connubio di culture lontane – afroamericana e sarda – che nella terra di Sardegna, negli anni ’60 e ’70, si proponevano in maniera diversa al giovane artista che allora le ha interiorizzate ed oggi, nella piena maturità artistica, le ha rielaborate arricchendo il linguaggio jazz dei colori della Sardegna, maestosamente rappresentati dai Tenores De Bitti. Enzo Favata con la sua musica non semplifica il processo di comunicazione attraverso una struttura consolidata che è tema – assoli – tema finale ma, creando delle atmosfere, a volte ipnotiche, scevre dalla ricerca di applausi, ha ottenuto una tensione che ha rapito il pubblico dell’Arena, nonostante l’impatto iniziale con sonorità certamente di non immediato ascolto.
L’Orchestra Napoletana del Jazz ha aperto con un duo piano-sax in ricordo dei dieci anni dalla scomparsa di Lucio Battisti. L’ONJ grazie alla direzione del sassofonista Mario Raja ha trovato un’identità e una guida che nelle prime esibizioni mancavano. La proposta musicale e gli arrangiamenti hanno quasi sempre convinto, anche se il patrimonio dei musicisti che compongono l’Orchestra induce a pensare che il gruppo può crescere ancora, a patto di rinunciare a limitarsi alle presenze nel circuito del Jazz della provincia di Napoli. Il concerto è stato arricchito dalla presenza di Raiz e Meg che si sono esibiti in momenti diversi con le rispettive peculiarità, attentamente esaltate dagli arrangiamenti orchestrali. Meg ci è parsa una piacevole novità, una cantautrice interessante che va senz’altro seguita per la sua originalità e per la freschezza della proposta musicale.
Il Festival ha accontentato anche chi preferisce il jazz più classico, fatto di swing, blues e shaffle con un repertorio che va da Carosone a Buscaglione passando per gli standard americani di genere. Ci ha pensato Ray Gelato e la sua orchestra con due serate all’Arena Mirtina estremamente coinvolgenti per il pubblico, che si è lasciato trasportare in un finale di balli e applausi per un’orchestra che annoverava solisti di sicura qualità.
Infine due parole sul jazz-club ‘round midnight che quest’anno ha visto importanti figure del jazz contemporaneo come Pippo Matino & Dario Deidda, Fabrizio Bosso, Francesco Nastro & Javier Girotto. In realtà il momento del club per i veri appassionati del genere è il contesto migliore per ascoltare questo tipo di musica, anche se andrebbe rotto lo schema del concerto fine a se stesso, aprendo lo spettacolo a jam session che i musicisti presenti a Ischia in quei giorni potrebbero egregiamente animare, recuperando così una prassi della musica jazz che è sempre più rara da vedere.

°ARCHIE SHEPP

Chi ci è rimasto? Questa è la domanda ricorrente tra gli appassionati di jazz. Un interrogativo che sa di nostalgia per un mondo fatto di artisti e storie che hanno raccontato una parte importante del ‘900. Storie che affondano le loro radici nella tratta degli schiavi fino al tormentato cammino verso l’integrazione passando attraverso il razzismo, che negli anni ’60 ha provocato la ribellione dei neri d’America ad un sistema che li isolava ingiustamente. Alla domanda iniziale possiamo rispondere che tra i grandi della storia del jazz c’è rimasto senz’altro Archie Shepp. Lui si è imposto sulla scena proprio negli anni ’60, con un messaggio dirompente di contestazione contro quel sistema che emarginava i ‘fratelli neri’ e che trovava in Malcolm X, e nelle sue battaglie, un grande leader politico, non a caso presto ucciso da chi vigilava sulla conservazione dello status quo. Il suo messaggio di contestazione prendeva spunti da un linguaggio musicale contemporaneo, sviluppato già qualche anno prima da Ornette Coleman: il free jazz – termine da lui stesso non amato – si esprimeva attraverso un impatto musicale assoluto, al di là di schemi armonici, ritmici e melodici, spesso basato su accordi modali con la settima diminuita. Come nella pittura Kandinsky abbandonò il figurativismo per comunicare emozioni pure, così nel jazz Coleman scardinò le strutture musicali convenzionali della musica afroamericana per approdare ad una forma espressiva che non risultava, e non risulta, di facile comprensione, ma che rispondeva appieno al senso di ribellione che in quegli anni si faceva avanti con prepotenza in più settori della vita moderna. Il messaggio musicale del free jazz fu seguito da molti musicisti americani e non solo. Tra i tanti si ricordano Archie Shepp, appunto, Albert Ayler, Cecil Taylor, Eric Dolphy e in parte anche John Coltrane che raggiunse le stesse espressioni linguistiche anche se da un percorso musicale diverso. Un percorso che veniva dal misticismo religioso e non dalla contestazione politica che ha animato Shepp. Da allora cosa è successo? Alcuni hanno continuato la loro ricerca musicale e ripropongono una musica che trae origine in maniera diretta dal free jazz, altri come Archie Shepp hanno superato l’arrabbiatura d’un tempo ed oggi suonano una musica che non risente più dell’aspetto ideologico ma comunica in altri modi lo stesso messaggio.
Il concerto di apertura di Ischia Jazz 2008 tenuto dal quartetto di Archie Shepp in Pineta, presso l’Arena Mirtina, ha visto lo storico sassofonista accompagnarsi con il leggendario contrabbassista Wayne Dockery, già partner di John Coltrane e Stan Getz, con il pianista Tom Mc Clung ed il batterista Steve McCraven. Durante il concerto, in cui quasi tutti i brani eseguiti erano pezzi originali composti dallo stesso Shepp, il musicista ha dimostrato di aver raggiunto una dimensione creativa libera da ogni convenzione linguistica e di poter così proporre la musica afroamericana in tutte le sue sfaccettature e in ogni forma espressiva, dal blues all’hard bop, dallo swing più puro al R&B. L’affiatamento del quartetto è unico, del resto è un gruppo che lo stesso sassofonista definisce come una famiglia, anche in considerazione del fatto che il batterista è stato suo allievo nel Massachusetts, il pianista era amico di scuola di suo figlio e il contrabbassista lo conosce ormai da circa quarant’anni. Particolarmente toccante è stato quando hanno eseguito “Revolution (Mama Rose)”, introdotto dallo stesso Shepp che ha ricordato i racconti di schiavitù di sua nonna che gli narrava che allora, essendo privi di strumenti, i neri d’America suonavano con qualsiasi oggetto ed anche semplicemente con il solo corpo, testimonianza che è stata resa dal vivo dal batterista Steve McCraven che si è esibito in un solo ritmico facendo uso semplicemente del suo corpo e del suo abbigliamento. Momento indimenticabile che ha introdotto a “Revolution”, brano suonato col sax soprano che raggiunge la sua tensione massima con accenti coltreniani, che creano appunto la giusta tensione in un pezzo che denuncia le ingiustizie subite dai negri. L’artista del Massachusetts dimostra che ogni forma di convezione linguistica se in un primo momento può essere utile a calamitare su di sé l’attenzione, nel tempo si può rivelare un limite per l’artista stesso, mentre il messaggio politico, sociale e culturale che si intende trasmettere può arrivare comunque, anche senza proporsi con esplicite forme di contestazione. Tra i brani suonati durante il concerto spicca “Burning Bright” del pianista Tom Mc Clung, un pezzo hard bop composto su una struttura armonica AABBA, il cui tema viene esposto per le prime sedici battute con il basso in due, per le seconde sedici battute in quattro per poi ritornare in due sulle ultime otto battute. Naturalmente i soli sono accompagnati con la ritmica che suona in quattro, consentendo ai solisti di esibirsi in maniera libera e mostrare le loro notevoli capacità d’improvvisazione. Il concerto si è chiuso con un blues che non ha appagato il pubblico: a suon di applausi è stato richiesto il bis al quartetto, che ha regalato un momento di intensa magia proponendo un “Round Midnight” di Thelonius Monk, autore molto caro ad Archie Shepp.