Roberto ha fatto una scelta. Valorosa. Saggia. Irrituale. Ha scelto, coraggiosamente, di essere se stesso. Ha scelto di “essere” la sua passione e al tempo stesso essere produttivo. Non è semplice, no, non lo è affatto, coniugare i desideri con le opportunità. La maggior parte di noi desidera in modo indisciplinato, totalmente scollegato dalla possibilità effettiva di dar corpo ai propri pro- getti. Questa si chiama velleità, o, forse, più semplicemente cialtroneria. Esistono, poi, persone capaci di progettare “architetture di economie realizzabili”, imprese, individuali o collettive, in grado di produrre ricchezze. Ma questa – in un territorio difficile, perversamente burocraticizza- to, oppresso da mille soprusi causati dal marciume politico e sprofondato in una fase di accele- ratissima recessione – è una dote assai rara. Richiede chiarezza d’idee (innanzitutto), disciplina, inclinazione al sacrificio, attesa, visione di sé e del futuro, senso pratico, consapevolezza (per- fetta) del sistema sociale sul quale si vuole incidere, conoscenza delle proprie forze e dei propri limiti e… naturalmente, passione! Ecco, tutto questo può trasformare un uomo come ce ne sono tanti, in un uomo che si afferma. Anche con fatica. Forse molta…
Roberto Mattera, classe 1984, è una di quelle persone che hanno deciso, appunto, di costruirsi e costruire intorno a sé, studiando per raggiungere la laurea di “zoonomo”, che lo rende esperto in “scienza e zootecnica della produzione di animali”. Un segmento della facoltà di Veterinaria che trasforma l’esperto di animali in specialista di economia legata a questo mondo, e per il quale talune bestie possono essere considerate “animali da reddito”. Naturalmente, la visione di una fattoria, attraverso le lenti della redditività, rende ogni ragionamento sul ‘modus vivendi’ del moderno fattore strettamente dipendente dalla capacità di trasformare la vita (quindi la buona crescita) del bestiame in guadagno. E a guardare al fenomeno da questo punto di vista, va giudicata una scelta intelligente, in un periodo di crisi del turismo qual è quello attuale per Ischia, che l’impresa locale inizi a variare i propri investimenti, dedicandone una quota a settori non direttamente dipendenti dal sistema della villeggiatura.
La nascita di aziende agricole, fattorie e allevamenti di bestiame, come quello che Roberto ha impiantato a Serrara Fontana, ma anche le attività dedicate alla raccolta, confezione e commer- cializzazione di alimenti di produzione rigorosamente locale che si stanno aprendo nell’isola, costituiscono la risposta vincente per garantirsi protezione sul versante “crisi del turismo”, valo- rizzando e diffondendo, al tempo stesso, tipicità agroalimentari dell’isola nel rispetto dei principi di una crescita e una lavorazione sana dei prodotti che mangeremo. E in tempi – tristissimi! – di “Terra dei fuochi”, sapere che le carni provengono da allevamenti non contaminati aggiunge ulteriore valore a ciò che ci apprestiamo a mettere in pentola. Ma, a questo punto, ci si deve chiedere se è possibile realizzare un allevamento in un’isola come Ischia. Ovviamente, come ci spiega il dottor Mario Mariani (nella foto sotto), veterinario ASL, non sono tutte “rose e fiori” poiché il lavoro dell’allevatore non è solo duro, ma è reso intrinsecamente difficile da una serie di lacci e lacciuoli di natura burocratico-legislativa: di essi il più grave è costituito dall’impossibilità (unica eccezione quella che consente agli agriturismi di macellare sul posto gli “animali di bassa corte” che allevano, cioè galline, anatre, oche, conigli) di possedere un macello proprio, per “trattare” gli animali che per peso ed età sono giudicati idonei ad essere condotti al mattatoio. Una direttiva – la CE n°853/2004, divenuta operativa dal 1°gennaio 2010 – impone, infatti, agli allevatori l’obbligatorietà di macellare gli animali esclusivamente all’interno di strutture in regola con le normative europee (in tal modo, si garantisce che, nei paesi aderenti all’Unione Euro- pea, ovunque vengano uccise e squartate le bestie, siano assicurati i medesimi criteri d’igiene e profilassi, in modo che le carni potranno, poi, essere vendute nei diversi distretti europei con l’assoluta certezza d’essere sane). A Ischia, infatti, per la conformazione stessa del suo territorio non è possibile trovare, se non a costi altissimi, siti dove poter realizzare un impianto che rispetti davvero le norme previste dalla direttiva. Una per tutte, l’isola non possiede un appezzamento facilmente raggiungibile (e che possa essere edificato o sanato sotto il profilo edilizio) che disti dalle abitazioni almeno 300 mt, come richiesto dalla legge; a ciò si aggiunge l’ulteriore difficoltà costituita dallo smaltimento dei rifiuti della macellazione, considerati “speciali” e che devono es- sere perciò eliminati attraverso specifiche procedure che comportano il trasporto in terraferma, operazione oltremodo costosa.
Già, perché la caratteristica che fino a qualche tempo fa rappresentava per questo luogo un “plus” e che oggi, in tempi di globalizzazione del commercio, è divenuta un “minus”, è, appun- to, l’essere isola, lontana, e quindi “altra”, dalla terraferma: ciò rende tutto – dal turismo (dal quale la comunità ischitana quasi totalmente dipende) al commercio, dalla produzione autoc- tona, all’importazione, dai servizi fondamentali come quelli dei trasporti marittimi e terrestri, all’organizzazione delle strutture pubbliche (tribunale, scuola, ospedale) – di assai difficile ge- stione e, quindi, “non conveniente” sotto il profilo economico e “non competitivo”. Sarebbero necessarie, perciò, delle deroghe, senza le quali Ischia, ritenuta un paradiso appena 30 anni fa, rischia di essere gravata da così tanti costi e impedimenti da ritrovarsi perennemente prostrata e in condizioni di subalternità e mancanza di competitività, fino al punto di essere del tutto margi- nalizzata rispetto a qualsiasi realtà espressa dal continente: in altre parole, l’isola corre il pericolo di divenire un inferno. È questo il prezzo dell’ingresso nella UE e, più in generale, di appartenere ad una realtà nella quale i confini si superano con estrema facilità: un’opportunità che, se da un lato offre indubbi benefici, dall’altro, massificando le comunità sociali ed omogeneizzando i territori, specie i più piccoli, compromette a tal punto la loro identità da arrivare a stravolgerla, fino ad annichilirla. Il tutto è reso ancora più preoccupante, se si analizza il fenomeno all’interno di una visione di scambio d’informazioni ormai libero da limitazioni di sorta (grazie alla diffusio- ne della rete internet, dei collegamenti satellitari e dei dati telematici) che trasforma, di fatto, l’intero pianeta in un unico grande mercato virtuale, dove le “regole massificanti” impongono di acquistare e distribuire ovunque beni e servizi a prezzi sostanzialmente identici (o, se si prefe- risce, marginalmente diversi).
Questo sistema che abbiamo raccontato comporta che il nostro zoonomo Roberto Mattera, nella sua fattoria, allevi animali certificandone l’effettiva nascita e crescita sul territorio ischitano, ma poi sia obbligato (se non riesce a venderli vivi) a macellarli in terraferma e, conseguentemen- te, a venderli alle macellerie del continente. Invece, i salumifici locali, e gli stessi ristoranti, sono costretti a comprare la carne macellata nel napoletano, non potendo – per ragioni economiche – acquistare a un prezzo conveniente quella di provenienza ischitana. Insomma, due attività potenzialmente sinergiche che condividono il medesimo territorio, ma non riescono a divenire parte della stessa filiera: un assurdo di cui con il buon senso non si può che auspicarne il supe- ramento ma che, nei fatti, incontra ostacoli legislativi fortissimi. Con la sola eccezione nota a noi di Ischiacity, del ristorante “Il Comignolo” a Serrara Fontana, che ha nel suo menù carni davvero “a chilometro zero” perché il proprietario Domenico Calise gestisce in modo familiare l’intero percorso della carne. S’è attrezzato, infatti, con un proprio allevamento specializzato in cinghiali e un proprio camion per il trasporto del bestiame al macello in terraferma, provvisto di gabbia, per l’andata con gli animali vivi, e cella frigorifera per il ritorno delle mezzene (cioè le due parti in cui viene diviso il corpo del suino o bovino). Per tutto ciò che abbiamo detto è, allora, evidente che “Prodotto a Ischia”, per un salumificio, non significa “fatto con carni certificate ischitane”, bensì solamente “lavorato sull’isola” (con carni di generica provenienza UE), e niente di più. Ecco che, così, si spiega la presenza dei circa 230 allevamenti domestici isolani che, peraltro, non possono crescere più di 2 suini per volta e qualche animale da cortile. Infatti, allevando in proprio e macellando in casa per autoconsumo, non solo non si è sottoposti alle forti restrizioni della di- rettiva CE n°853/2004, ma è soprattutto certo che in tavola sarà servita carne prodotta ad Ischia. A voler tirare le somme di quanto convenga allevare industrialmente del bestiame ad Ischia, possiamo, in via preliminare, stabilire un primo, ineludibile, principio: certamente nella “filiera di produzione, macellazione e vendita” chi guadagna di più (con pochi rischi d’impresa) è il rivenditore finale. Appare chiaro, perciò, che, essendo i costi della macellazione molto elevati (pratiche sanitarie e burocratiche, trasporto in terraferma, certezza di trovare macellerie alle quali rivendere il prodotto), per avere, in una piccola isola come questa, un buon margine di profitto, le possibilità sono solo due: o si devono rivendere gli animali vivi (in tal caso, infatti, oltre alle spese per la gestione della fattoria, il solo parametro da tenere sotto controllo è il cosiddetto “indice di conversione”, vale a dire il rapporto tra la quantità – e quindi il ricavo alla vendita – di carne prodotta per ciascun capo di bestiame, e la quantità di cibo – cioè il costo sostenuto per ali- mentarlo fino a che non sia pronto ad essere trasformato in carne); oppure bisogna operare una scelta come quella di Domenico Calise, che ha dovuto investire in un camion adatto al trasporto sia degli animali che delle mezzene e che, in tal modo, compensa i costi altissimi della trasferta necessaria alla macellazione vendendo le carni nel proprio ristorante, e chiudendo così la filiera. Ovviamente, gli imprenditori che operano nel settore agroalimentare sanno bene che Ischia è una terra dove la sua stessa natura – nel senso di conformazione del territorio – rende più com-plesso e costoso coltivare ed allevare. Ma è pur vero che è proprio per quest’aspetto che taluni prodotti isolani assumono un valore di assoluta specificità che li rende ricercati. Si spiega così la passione di diversi vignaiuoli, che li ha spinti, negli anni, a selezionare ottimi uvaggi e produrre vini squisiti come accade per le eccellenti cantine D’Ambra (che quest’anno ha ricevuto dalla Guida del Gambero Rosso il massimo riconoscimento dei “tre bicchieri” per il cru Frassitelli), Pietratorcia, Muratori, Aniello Mazzella, Cenatiempo, Tommasone, e delle cantine di Crateca, che rappresentano uno dei fiori all’occhiello della moderna imprenditoria agricola co- niugata all’arte di ospitare in cantina, tra i profumi della tradizione. Ma si sono posti nella me- desima prospettiva anche altre realtà che, sia pure a differenti livelli, hanno puntato sulla terra: da aziende come Ischia Sapori dei fratelli Savastano, che dal padre Bruno hanno ereditato il “genio” della produzione di un validissimo limoncello e di un particolare – e unico! – rucolino, fatti con materie prime isolane; all’amore per la coltivazione dei campi di coloni quali Giuseppe e Carmelina Coppa a Forio, per non parlare dell’orto biologico di Ettore Guarracino a Ischia, del miele di Raffaello Buono a Barano, o delle imperdibili confetture di frutta preparate con cura certosina dai coniugi Brandi presso la tenuta di Pian de’ Cedri, sempre a Forio, o, ancora, le saporitissime “torte stile Nonna Papera” sfornate a Sant’Angelo dalla signora Lucia Iacono del ristorante Il Pescatore. Queste persone hanno voluto distinguere dal trend turistico la propria attività d’impresa, e tale scelta, per quanto spesso assai sacrificata, appare rassicurante in tempi difficili, in cui l’isola sta perdendo un po’ alla volta la propria posizione di leadership nel settore del turismo. Su tutto ciò, ancora una volta, prevale un solo ragionamento possibile: lavorare impegnandosi nella difesa del territorio, della propria specificità e puntare allo sviluppo di un autentico circuito di qualità DOC, sia esso nell’allevamento del bestiame proprio come ha fatto Roberto Mattera, nella coltivazione dei vigneti, nell’ospitalità dei viaggiatori o nell’erogazione di servizi. In tempi di recessione, più che la svendita di tutto a qualsiasi costo, ci salva la promozione dei nostri presidi d’eccellenza e la valorizzazione dei nostri prodotti identitari.
text_Riccardo Sepe Visconti photo_Ciro Di Raffaele, Simona Pavini, Luca Fiorentino, Tom Fiorentino, Dayana Chiocca, Archivio Ischiacity