Friday, November 22, 2024

Food- CONIGLIO ALL’ISCHITANA

34/2012

Photo: Romolo Tavani
Text: Lucia Elena Vuoso

 

Principe della tavola ischitana, servito durante i pranzi domenicali praticamente in tutte le famiglie isolane: è il coniglio, domestico roditore protagonista inconsapevole della storia e della tipicità del luogo. Fino a poche decine di anni fa era usanza comune che ogni nucleo familiare avesse un piccolo allevamento di conigli – di solito un maschio fecondatore e tre femmine – in gabbia o nelle fosse, buche nel terreno profonde circa due metri, con piccole tane scavate lungo la circonferenza, dove i piccoli animali avevano ampio spazio per muoversi. Le gabbie, invece, erano profonde circa un metro e sull’apertura abbastanza larga, recavano una rete; di solito venivano costruite in cemento e ce n’era una per ogni coniglio. Quando la femmina era in calore si metteva insieme col maschio, fino a quando quest’ultimo non l’aveva fecondata; da quel momento la coniglia veniva spostata in una gabbia molto più grande, “ ‘u casiell” nella quale si adagiava “ ‘a chienc”, una grossa lastra rettangolare di cemento e brecciolino, dietro la quale l’animale preparava il nido con l’erba secca, partoriva e allevava i coniglietti. E c’era anche chi, in mancanza di terreno dove allevarlo, lo teneva in casa, in uno spazio chiuso da un pezzo di ferro battuto ricurvo, sotto il focolare. Alcune persone, prima di ucciderli, compivano anche dei piccoli rituali: “Zio Giorgio – racconta Angela Vuoso di Testaccio – faceva tutto da solo. Legava il coniglio in verticale, per le zampe posteriori e per le orecchie, affilava bene il coltello e poi un attimo prima di sferzare il colpo mortale alla gola dell’animale, baciava la lama e diceva ‘Cento di te!’ ”. In passato, del coniglio non si buttava niente: il sangue si lasciava rapprendere una notte e poi si friggeva; l’intestino, invece, si puliva benissimo, tagliandolo a metà e facendolo bollire nell’aceto e poi si avvolgeva attorno ad un mazzettino di odori – prezzemolo e basilico – e si friggeva. Con i reni, la ‘curatella’ (la cotenna), ed altri pezzi con poca carne si preparava un delizioso brodo di coniglio, destinato, però solo ai malati. Il grazioso roditore era entrato così tanto nelle vite degli ischitani che spesso diventava protagonista di filastrocche educative per imparare a fare i conti: nonna Lucia diceva sempre “Tridic cuniglj, vintisei palluzzell”, cioè “tredici conigli hanno ventisei reni”, in modo da memorizzare facilmente il doppio di tredici. Ma qual è la ricetta tipica del coniglio all’ischitana? Noi abbiamo scelto quella del ristorante Giardino Mediterraneo, nella tenuta coltivata a vigneto, gestita dalla famiglia Iacono, dell’azienda vinicola Pietratorcia. In via Nuova dei Conti, affacciata sul Castello e sul golfo di Napoli, è una delle cantine più antiche di Ischia: lassù si sente il profumo della tradizione. Il coniglio all’ischitana Ingredienti per quattro persone: Un coniglio da fossa da circa 1 kg, 1 lt di vino biancolella; 500 gr di pomodorini del piennulo; 1 testa d’aglio; olio d’oliva; timo q.b.; maggiorana q.b.; 1 mazzetto di basilico fresco. 1) Tagliare il coniglio in otto pezzi (due a testa). 2) Adagiarlo in un tegame antiaderente (ideale sarebbe la pentola di terracotta), in abbondante olio d’oliva caldo. Cuocere a fuoco vivo per circa 20 minuti, fino a quando perde tutti i liquidi (per questo motivo fare molta attenzione agli schizzi) ed assume un bel colorito bronzeo. La fase della rosolatura è la più importante: il segreto per la riuscita di un ottimo coniglio all’ischitana sta proprio nel cucinare i pezzi di carne in modo che risultino asciutti e croccanti. Solo dopo che il coniglio è rosolato si aggiungono l’aglio in camicia pestato, il timo e la maggiorana. 3) Quando l’aglio è dorato si aggiunge il vino. Sempre a fuoco alto attendere che sfumi tutto, girando spesso i pezzi di carne. 4) Aggiungere i pomodorini tagliati a metà e il basilico, salare e lasciare addensare l’intingolo per circa un’ora, cuocendo a fuoco medio.

« 1 di 11 »