Interview_Riccardo Sepe Visconti
Partendo dai suoi libri, “La strada dritta” e “Il lancio perfetto”, che raccontano un’Italia che sembra irrimediabilmente perduta, Francesco Pinto, direttore del centro di produzione Rai di Napoli, ospite a Ischia al Regina Isabella, confronta il Paese di allora con quello di oggi.
Protagonista, in entrambi i suoi libri è l’Italia del dopoguerra, quando il Paese fu ricostruito da uomini che lei tratteggia come fattivi, determinati e al tempo stesso umili, per esempio gli scienziati protagonisti de “Il lancio perfetto” viaggiano solo in seconda classe per risparmiare. Questo voler dare a tutti i costi un valore etico alla lezione della storia ha ancora un suo senso, o suona solo come moralismo tipico di una certa sinistra?
Negli anni ‘50 e ‘60 si attuò una grande presa collettiva di coscienza del Paese, e nei miei libri ricostruisco alcune delle storie di quelli che hanno fatto grande l’Italia. Furono anni di cambiamenti radicali, che portarono anche degli squilibri, perché sono gli anni della speculazione edilizia, dei soldi facili, ma furono anni vivi, in cui si è sperimentato un modello di sviluppo assolutamente occidentale, che nulla aveva a che vedere né con i modelli proposti dalla chiesa cattolica né con quelli della sinistra: lanciare un satellite, costruire un’autostrada erano frutto di una mentalità che oggi si è persa, per cui si decideva che una cosa andava fatta e si agiva per realizzarla. Abbiamo perso la voglia di rimboccarsi le maniche, di immaginare quello che non c’è, dobbiamo tornare ad avere dei sogni, poi si possono raggiungere o meno, ma preferisco correre dietro ai sogni che alle pratiche burocratiche delle corporazioni.
I suoi personaggi agivano in un’Italia completamente diversa da quella attuale, in cui era consentito muoversi in un certo modo, adesso non sarebbe più possibile. E’ un modello non esportabile nella nostra epoca…
Le condizioni erano peggiori di quelle attuali, il paese era distrutto dalla guerra, era considerato di serie B a livello europeo, la Confindustria era in mano ad un gruppo di conservatori che non riusciva a guardare più in là del proprio naso (infatti erano contrari ai primi progetti di unificazione europea), la politica era addirittura più debole di adesso, fino al ’63 quando arriva il primo governo di sinistra, si susseguono governi ogni sei mesi. Allora, però, l’Italia aveva fame, ora non ha più fame.
Ci sono ancora le condizioni per continuare a mandare satelliti in orbita da parte degli italiani, come si racconta nel suo libro docufiction “Il lancio perfetto”? O per il momento è meglio essere un po’ più terrestri e pensare meno a sognare?
Gli italiani continuano a mandare satelliti, la cosa triste è che lo fanno per conto degli altri, i nostri laureati operano in tutti i gruppi di sviluppo del mondo, ma prima quando un professore indirizzava lo studente gli diceva: “vai in America a studiare e torna perché servi a questo paese”, oggi ad un bravo studente di ingegneria o medicina si consiglia di scappare dall’Italia. Questo è un paese dove purtroppo non governa neppure più la politica, governano le grandi macchine burocratiche delle corporazioni. È un paese fermo, bloccato. Sotto questo punto di vista Berlusconi ha rovinato la sinistra perché per 20 anni quest’ultima non ha fatto altro che parlare di lui e delle sue donne.
Matteo Renzi sta cambiando questo modo di far politica che ha impegnato così a lungo le energie della sinistra?
Meno male che Renzi è arrivato! Meno male che è arrivata una persona che ripete ogni giorno che bisogna lavorare sulla speranza e non sulla rabbia. Sono impregnato della cultura di sinistra, ma francamente anch’essa si è cristallizzata e non mi piace per niente. Non capisco perché devo stare nei salotti a parlare male di quello che succede senza muovere un dito. Il problema è tutto lì, nella necessità di fare innovazione e Renzi ci sta provando, anche se non so dove riuscirà ad arrivare: tuttavia, preferisco gli eretici alle liturgie, anche perché gli eretici hanno cambiato il mondo non le liturgie.
Parliamo del Sud, perché è qui che lei opera: dopo aver lavorato a RAI 3, infatti, ha deciso di tornare nella sua città, Napoli. Perché ha fatto questa scelta? E’ stata un’esigenza personale, etica. A me non piace piangersi addosso, Napoli è una città difficilissima, soprattutto faticosissima, ma ha al suo interno delle energie. Durante un’assemblea di tutte le televisioni pubbliche del mondo che si è tenuta a Napoli, è emerso che l’immagine della città a livello europeo è molto migliore di quella che abbiamo noi. Dovremmo lavorare su questa città per cambiarla certo nella sostanza, ma anche per produrre un immaginario diverso, tutte le città si reggono su un immaginario, e noi tendiamo a costruirlo negativo.
In che modo le fiction e il lavoro in generale che si fa nel centro di produzione RAI di Napoli possono essere di supporto alla rinascita della città? Gomorra è un bellissimo racconto, tutto all’interno del male, che ha una sua forza e un suo elemento tragico che andava narrato: è un pezzo della città. Negli U.S.A. hanno fatto decine di film sulla mafia, centinaia di serie sulla malavita, ma lì accanto a queste ci sono quelle sul baseball come metafora della vita americana, le serie patriottiche e altro, hanno un sistema di comunicazione ricco. Quello che noi dobbiamo fare è rendere variegato il nostro sistema: sono 15 anni che “Un Posto al Sole” racconta la città, ogni giorno, anche agli stranieri, in America ha quasi 20 milioni di spettatori, il problema, quindi, non è la fiction “Gomorra”, ma la necessità di aggiungere altre storie che raccontino la città.
Conosce bene l’isola che la ospita?
Sì, Ischia la conosco. L’Italia dovrebbe imparare molto su come si fa turismo da Ischia e da Sorrento, perché queste realtà hanno saputo conservare le loro caratteristiche locali, ma al tempo stesso si sono aperte molto presto all’Europa, Ischia in particolare attraverso il rapporto forte con il popolo tedesco.