Esplora, inventa, crea piatti audaci ed equilibrati al tempo stesso questo chef che è saldamente collocato nell’Olimpo della ristorazione. Ad appena 33 anni, ed essendo riuscito a portare con il suo ristorante Taverna Estia le stelle Michelin nell’hinterland di Napoli, dove sembra che nemmeno l’erba cresca.
“Ischia è perfetta per la mia pausa di riflessione”. Esordisce così Francesco Sposito, a Lacco Ameno per essere uno dei protagonisti della serata di gala dell’Ischia Safari. Abbiamo di fronte uno dei più talentuosi chef italiani che, in verità, da quando – a diciotto anni – ha capito che il suo destino era la cucina pause non se n’è concesse. “A 16 andavo a scuola e nel pomeriggio lavoravo in cucina con mio padre”: Taverna Estia a Brusciano, che oggi è uno dei punti di riferimento della migliore cucina italiana (e non solo), infatti, nasce come trattoria tradizionale. “Quando mi sono reso conto che era un mondo che volevo esplorare, sono andato fuori, in diversi ristoranti importanti con una puntata in Francia, nel tre stelle Arpege di Alain Passard dove mi sono trovato catapultato in una realtà totalmente diversa. Lì ho compreso che c’era ancora tanto da fare in Italia a confronto con il mondo francese”. Ma il suo maestro è stato soprattutto Igles Corelli, pietra miliare della cucina creativa nel nostro Paese, e poi il giovane Fabio Barbaglini, “fra i 50 chef più importanti al mondo”. “Mi sono reso conto che era il momento di portare l’interesse per l’enogastronomia al Sud. Nel 2005 sono tornato ed è iniziato il cambiamento”: insieme alla famiglia, tutta coinvolta, in primo luogo il fratello Mario sommelier e alla guida della sala, converte la trattoria da 500 coperti a settimana in ristorante gourmet da 30 coperti. “Una bella battuta d’arresto in termini economici! Sono stati anni impegnativi, in cui tutti abbiamo lavorato a testa bassa per raggiungere l’obiettivo”. Che in verità arriva prestissimo, nel 2006 riceve la stella Michelin: a 25 anni è il più giovane stellato d’Europa, poi il più giovane JRE (Jeune Restaurateurs d’Europe) e miglior ristoratore emergente per il Gambero Rosso nel 2010. Uomo dei record insomma, Sposito, grazie a creazioni definite in perfetta sintonia con i criteri indicati di recente da Sergio Lovrinovich, curatore della guida Michelin: “Freschezza della materia prima, tecnica dello chef, personalità, corretto rapporto qualità/prezzo, regolarità e costanza della cucina”. E nel 2015 la seconda stella colloca Sposito nell’Olimpo dei 39 bistellati italiani. Ma uno degli aspetti più interessanti della storia di successo di Taverna Estia è costituito dalla scelta di rimanere a Brusciano, paese dell’hinterland partenopeo, a 15 minuti da Napoli, è vero, ma sicuramente in quell’area difficile che di solito è conosciuta solo attraverso le notizie della cronaca più negativa. “Il territorio ci poneva – e ci pone ancora – difficoltà enormi” ammette senza remore, ma è determinato a restarci: “Chi vuole conoscere la cucina della famiglia Sposito verrà lì, è il nostro quartier generale. Napoli è vicinissima, abbiamo una clientela anche internazionale che ci raggiunge facilmente dalla città, e abbiamo pensato ad agevolazioni logistiche come le navette”.
Tre i concetti chiave attraverso cui lo chef si è raccontato: ve li proponiamo.
Tecniche. “Sono fondamentali, è obbligatorio aggiornarsi, ci dà linfa ogni giorno e accade anche che piatti che realizzo da tempo con nuove tecniche possano ancora migliorare”.
Tradizione. “Ha una funzione culturale per le generazioni, l’ha avuta per la mia come per quelle precedenti e spero che continui così. Io, più che ai cibi della tradizione sono legato ai giorni in cui ci si riuniva in famiglia, amo lo stare insieme per mangiare determinati piatti”.
Follia. “E’ l’ingrediente più importante in questo lavoro, nel pensare di replicare un piatto che fa parte del tuo vissuto, in forme e consistenze diverse da quelle che la tradizione ha adoperato fino a quel momento, andando però a intercettare quei sapori. Parto sempre da una grande materia prima che devo avere la libertà di elaborare nella maniera più folle possibile, appunto, seppure rimanendo con i piedi per terra. Interpreto la tradizione campana e nazionale girando come una ruota panoramica, e ci sono momenti in cui mi sento ispirato dalla fantasia e altri in cui ho bisogno di essere più tradizionalista”.