Le dita corrono veloci e leggere picchiettando il piccolo disco di pasta, poi, con una spatola dei taglietti sulla superficie e dritta nell’olio. Da dove esce, gonfia, dorata, asciutta la pizza fritta, pronta a ricevere condimenti che sono essenza dei luoghi in cui sono stati prodotti, di persone che in essi hanno creduto ed investito, in un certo senso essenza di tante vite. Questo accade perché le mani piene di farina e impasto sono quelle di Franco Pepe. E, in realtà, il primo in assoluto ad aver creduto nella possibilità di dare corpo ad una realtà di eccellenza nel mondo della pizza non a Napoli né a Milano ma in quel di Caiazzo, paesino di 5000 abitanti nella provincia di Caserta, è stato proprio lui, Pepe. “Ho iniziato nel 2012 in un territorio che allora non mi era garantito dai media, la terra dei fuochi, hanno scritto che ero un pazzo quando mi sono rintanato nei vicoli del centro storico (Ndr. Lasciando ai fratelli la pizzeria di famiglia) con 7 ragazzi: gli ho detto non so quando posso pagarvi, se credete in me partiamo. Oggi lavoro con 42 persone e 3 sono alla Filiale presso L’Albereta Relais & Chateaux in Franciacorta. Mi piace scegliere i luoghi dove portare la mia pizza, in posti dove abbia un senso e mi piace portarla dove c’è l’alta cucina”. Ma mentre oggi tutti vanno al nord – come ha acutamente osservato il critico gastronomico Luciano Pignataro – Pepe per il suo ultimo progetto ancora in elaborazione sceglie il sud, Lavello in Basilicata, insieme allo stellato Alfonso Iaccarino: “poi la gente che mi ha conosciuto grazie a queste collaborazioni verrà da me, domenica scorsa avevamo a tavola 13 nazionalità diverse da 3 continenti. Erano lì per Pepe in grani”. La verità è che il lavoro compiuto in sette anni ha dell’incredibile: centinaia di persone ogni sera aspettano di poter entrare nel palazzetto settecentesco ristrutturato che, dalle fondamenta al tetto, è il tempio della migliore pizza al mondo, come hanno sancito critica, classifiche (per esempio la pizza Scarpetta piatto dell’anno per Identità golose 2017, la prima volta per una pizza, per il secondo anno consecutivo migliore pizzeria d’Italia per 50 Top Pizza 2019, ex aequo con I Masanielli di Francesco Martucci) e folle che raggiungono Caiazzo per vivere questa esperienza culinaria. Dietro tutto ciò c’è un signore dai modi gentili che ama sopra ogni cosa ciò che fa, e che in un settore in grande effervescenza come quello dell’arte bianca ha scelto di ritagliarsi un ruolo che è tutto suo: “Voglio essere l’evoluzione della tradizione, ma non esco mai fuori binario. L’interazione con l’alta cucina per noi pizzaioli è stata fondamentale, soprattutto sulla trasformazione e manipolazione della materia prima abbiamo appreso tanto da loro. Tuttavia, per far notare le nostre pizze non dobbiamo per forza metterci il tartufo, per poter poi dire che è gourmet – termine che non mi piace per definire ciò che faccio. Però, non posso dimenticare quando Davide Scabin, famoso stellato, assaggiò durante un evento la Margherita Sbagliata, si girò verso di me e mi disse “Ma che hai combinato???!!!”. Ecco, dietro la Sbagliata, che oggi è la pizza vessillo di Pepe in grani, c’è tutta la filosofia di questo pizzaiolo e lui la racconta così: “lavoravo già con il dop del San Marzano e con il piennolo del Vesuvio, quando mi hanno proposto il pomodoro riccio che si produce proprio nelle terre intorno a Caiazzo, grazie al recupero di semi antichi che rischiavano di perdersi definitivamente. Le analisi hanno rivelato la sua eccezionale ricchezza in polifenoli e mi sono posto il problema di far arrivare al palato delle persone il sapore e le proprietà di questo pomodoro, lo consideravo l’ingrediente principe da esaltare, come accade ogni volta che creo una nuova ricetta. Volevo pochi elementi, e ho pensato alla Margherita, mantenendo quelli tradizionali ma rivedendo il modo in cui vengono elaborati: sul disco di pasta va solo la mozzarella, invece del pomodoro e dell’olio come accade in una normale Margherita; entra in forno e solo quando esce si aggiunge una riduzione di passata di pomodoro riccio e un pesto di olio caiazzano e basilico. Grazie all’alternarsi di caldo e freddo e al posizionamento sfalsato degli ingredienti, il palato legge in modo distinto tutti i sapori”. Un’alchimia perfetta, fra la creatività e la profonda competenza di Pepe e un territorio con il quale ha stretto un sodalizio fortissimo, è il segreto del successo di questa come di tante sue creazioni: oggi ci sono aziende agricole che lavorano per lui, che a sua volta, portando in giro per il mondo con le sue pizze le eccellenze agroalimentari di molte piccole (e grandi, per esempio Pepe collabora con il consorzio del Grana Padano dop) realtà italiane consente loro di essere conosciute, in un meccanismo virtuoso che non può non essere un modello. E dietro ogni nuova preparazione c’è una storia, una ragione, una sinergia, per cui il successo di uno diventa successo di tanti. Come nel caso della pizza fritta Crisommola (nella guida delle pizzerie del Gambero Rosso 2018 migliore pizza d’Italia): “Questa albicocca (crisommola in dialetto) prodotta nella zona vesuviana è squisita ma non riesce ad arrivare ai mercati, non si vende come meriterebbe. Quando me ne hanno parlato ho assaggiato e ho deciso di lavorarci. Gli ho detto fatene marmellata e nel mio laboratorio è stata concepita la pizza fritta dolce con ricotta, confettura di crisommola del Vesuvio, polvere di olive caiazzane, nocciole tostate e menta” appena nata è già un classico e il comune di Somma Vesuviana ha dato a Pepe la cittadinanza onoraria: lui lo racconta con il sorriso di chi è soddisfatto per aver aggiunto un altro tassello al mosaico della qualità nella sua regione. E anche il titolo appena ricevuto di Cavaliere al merito della Repubblica Franco Pepe non lo considera un riconoscimento che va al prodotto pizza, ma al riscatto del territorio che si è innescato grazie a Pepe in grani: “siamo uno strumento, in ogni pizza ci sono tanti produttori, tante persone giovani che hanno scelto di restare qui perché sono riuscite a trovare lavoro”.
Intanto, lui è concentrato sulla sua ultima missione: mandare in soffitta l’idea che la pizza sia uno sgarro rispetto a un’alimentazione sana e lo ha fatto insieme a un team che comprende una nutrizionista e agronomi, che ha lavorato per equilibrare carboidrati, proteine e lipidi, riducendo le dimensioni del disco di pasta, combinando le farciture anche in rapporto alle loro qualità nutraceutiche e, infine, aggiungendo i vegetali. “Mi hanno nominato ambasciatore della dieta mediterranea e voglio dare corpo a questo titolo. Oggi ho un menù di 10-12 pizze di grande interesse anche dal puntoz di vista nutrizionale, come la Bufala profumata. Metto la pizza nel forno con olio agliato, quando mancano 20 secondi appoggio le fette di mozzarella perché voglio che si scaldi ma conservi la sua consistenza. Quando esce definitivamente dal forno si aggiunge succo di lime, bresaola di bufalo, che ha grandi proprietà nutritive, 3 tipi di pepe, zeste di lime e semi di sesamo tostati. Accompagna sempre queste pizze un extrapiatto di verdure spontanee per bilanciare l’apporto di fibre”. Ma non è finita qui, Pepe ha anche ideato un dressing con valori nutrizionali di qualità dati da oli, aceti, semi, dal gusto fresco e saporito, in cui intingere il cornicione che costituisce una buona percentuale di carboidrati assoluti e spesso viene lasciato. “Insomma, spostiamo l’asticella dal buono al sano”: conclude Franco Pepe; noi aggiungiamo che oltre che per una pizza buona e sana il pizzaiolo di Caiazzo lavora per un’idea di pizza giusta, e questo ci piace davvero molto.
Text_ Silvia Buchner Photo_ Archivio Pepe in Grani & ICity
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