Thursday, November 21, 2024
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L’ULTIMO – VERO – DIVO, DI QUELLI CHE MANDANO IN VISIBILIO LE FOLLE, SOPRATTUTTO FEMMINILI, MA CHE PAGA, FORSE, L’ESSERE COSI’ BELLO.

Ogni tempo crea gli idoli che si merita, e raramente sono quelli che gli somigliano. Anzi, proprio come è successo in passato, sono celebrità che sembrano fare a pugni col clima socio-culturale dominante. D’accordo, viviamo pur sempre nella civiltà dell’immagine, che non è una civiltà più sensuale o immediata, è solo più guardona, più complicata e più scema. Visto che la ricerca della bellezza interiore si è dimostrata molto pericolosa, non resta che affidarsi a quella esteriore che, in fondo, ha sempre mosso le cose e gli scenari demografici. Gabriel Garko è l’Ultimo Divo. Ideale fisico, erotico e seduttivo ma sempre nella forma più superficiale. Basta che compaia sul piccolo schermo, in fiction vecchio stile che risulterebbe arduo distinguere l’una dall’altra, e gli ascolti s’impennano ad altezze vertiginose. Ogni apparizione della sua sagoma statuaria sul fatale red carpet scatena gridolini di entusiasmo da orde di ammiratrici d’ogni età pronte a ogni azzardo acrobatico pur di scavalcare la transenna, dribblare il servizio d’ordine e toccare con mano la reliquia. Una divinità ostentatamente proletaria, dotata di erotismo banale e sospetto allo stesso tempo.
I colleghi maschi lo guardano con diffidenza. L’ex “Più Bello d’Italia” diventato il “tronista delle fiction” è colpevole di troppa autoconsapevolezza estetica per meritarsi il martirio del sacro fuoco dell’arte. Troppo legnoso, lo liquidano i critici. E anche se nelle interviste, o alle conferenze, si lancia in osservazioni ragionevoli che in bocca a un Elio Germano diventerebbero slogan per un nuovo sciopero generale, dette da lui diventano facilmente “banalità”. Eppure è uno stakanovista come pochi, raramente sparla dei colleghi, frequenta la mondaità il minimo indispensabile ed è celebre per la sua discrezione. Nemmeno sgomita per avere i ruoli che toccano, per volere divino, agli astri del firmamento più cervellotici, impegnati, rigorosi, scassacazzi e – chiaramente – più dotati di talento. Quando ha provato a infilarsi nel circuito che conta, gli è andata quasi sempre male. In “Senso 45” Tinto Brass gli ossigena i capelli e gli piazza addosso una divisa nazista; in “Callas Forever” Zeffirelli prova a farne un giovane tenore alla prese col Don Josè della “Carmen”; Ferzan Ozpetek lo chiama a far parte della sua allegra brigata ma – perfido contrappasso – lo inchioda a letto mezzo sfigurato e moribondo per Aids. Perfino il titanico Luca Ronconi lo usa come merce di scambio: «Chi viene a vedere te, si becca me, la Melato, la Lojodice e la Ranzi». Garko non demorde, torna nell’alveo tranquillo dei romanzoni televisivi dai titoli improbabili (“Il morso del serpente”, “Occhi verde veleno”, “Il sangue e la rosa”, “Caldo criminale”) per dare vita, con Manuela Arcuri, alla coppia reale dei feuilleton tv senza capo né coda che mandano in tilt l’Auditel. E infatti Sorrisi & Canzoni, il magazine più nazionalpopolare del Belpaese, lo premia a Ischia con il Telegatto “per i suoi straordinari successi televisivi”.
Sottoposto di recente a impietosi raggi X che lo volevano botulinato e gonfio peggio di una zampogna (è “solo” la tiroide, signora mia, in fondo anche i divi si ammalano!), Gabriel Garko (nome d’arte di Dario Oliviero, torinese, data di nascita avvolta nel mistero) è apparso al festival dell’estate cinematografica isolana meno disponibile e sorridente del solito. Poche foto, niente interviste, nessun bagno di folla come due anni fa. Intanto, continua a sperare di trasformare in film almeno uno dei suoi libri preferiti: “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar. Se lo chiede alle tv, di sicuro glielo fanno fare. Scommettiamo?

#gabrielgarko #global #filmemusic #ischia

Text: Gianluca Castagna | Photo: Andrea Franco Alajmo, Raffaella Barbieri, Dayana Chiocca

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