Thursday, November 21, 2024

23/2008

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Silvia Buchner

 

Truman Capote ci arrivò di notte, attraversando minuscoli paesini illuminati solo dalla luna (quando c’era), a bordo di un carretto. Era il 1950 e anche lo scrittore che ritrasse dall’interno l’high society americana con stile limpidissimo e intelligenza graffiante, nel suo viaggiare scelse di fermarsi nell’isola d’Ischia, di soggiornare a Forio. Vi giunse portato dal passaparola, com’è stato per molti altri artisti – della penna come lui, ma anche musicisti e pittori soprattutto – che avevano sentito raccontare di questo luogo del Sud, immerso nel sole e in una natura nella sostanza incontaminata, e dove aveva preso corpo un’atmosfera speciale. Solo due anni prima vi era sbarcato Wistan H. Auden, inglese, uno dei più grandi poeti del ‘900, che a Forio soggiornò per lunghi periodi, fino al 1957. E se si sono incontrati, è sicuramente accaduto ai tavolini del bar Internazionale, in piazza Pontone; lì Capote conobbe anche l’anima del bar, Maria Senese. Tratteggiando il suo, insieme ai ritratti della gente di Forio che conobbe durante i quattro mesi passati qui, scrive che “è una tracagnotta dalla faccia da zingara, indolente e scettica per natura”. Anzi, scorrendo le venti pagine dedicate a quel soggiorno e pubblicate in un libro dal titolo “Colore locale” sembra che le persone assai più dei paesaggi lo colpirono. Per definire Maria sono state usate tante parole, è stata descritta nell’aspetto, che sicuramente era particolare, con i capelli tagliati corti in un’epoca in cui le donne come lei portavano lunghe chiome raccolte nella tipica crocchia, e nella personalità. Innanzitutto da chi l’ha conosciuta da vicino, ha frequentato il suo locale: Elsa Morante e Auden le dedicarono una poesia, e poi c’è chi è venuto dopo e quell’epoca, quell’atmosfera speciale e, a quanto pare, irripetibile, ha cercato di capirla, di spiegarla. Perché tanti artisti scelsero proprio Forio, arrivando e partendo e tornando ancora, uno dopo l’altro? Attratti da cosa, e perché a un certo punto non vennero più? Cosa mancò o cambiò? A non molti mesi di distanza l’uno dall’altro il giornalista napoletano Nino Masiello e Massimo Ielasi, dentista con la passione per l’arte tutta e uno speciale amore per i pittori ischitani (sia artisticamente parlando che anche di nascita), hanno pubblicato due libri che, da angolature e con stili molto differenti, intendono far luce su quei circa sessant’anni che sono ormai parte della Storia più recente dell’isola d’Ischia.
Con “Un irresistibile soffio di luce” (Imagaenaria edizioni 2008) Ielasi vuole raccontare il fenomeno che dalla fine dell’800 spinse numerosi artisti, in particolare di lingua tedesca ma non solo, in verità per ragioni diverse, a scegliere Ischia per trascorrervi periodi più o meno lunghi che talora furono anni della loro vita. Vi giunsero quando ancora si navigava solo a vela, è il caso di Arnold Boeklin, autore del celebre quadro L’isola dei morti per il quale sicuramente trovò ispirazione nel castello Aragonese; vi cercarono riparo a partire dagli anni ‘30, fuggendo dalla feroce intolleranza verso la loro arte, considerata dal regime nazista degenerata, e verso gli ebrei, così fu per Rudolph Levy, Hans Purrmann, Emil Nolde, Werner Gilles e lo stesso Eduard Bargheer. Con il dopoguerra l’attrazione esercitata da Ischia e da Forio in particolare raggiunse il suo apice. Masiello, con “Bar Maria” (Massa editore 2007) si concentra sulla vicenda di Maria Senese, appunto, che un’artista certamente non era, e meno che mai un’intellettuale. Eppure chiunque voglia comprendere le ragioni per cui fra gli anni ‘40 e ‘60 Forio calamitò talenti e intellettuali da tutto il mondo da lei non può prescindere. Sembra proprio, infatti, che questa donna, nata nel 1898, decima figlia di un piccolo corriere (ma dei fratelli che la precedettero sopravvissero solo in quattro), fosse uno degli elementi indispensabili alla riuscita di quella formula irripetibile. “Gli altri due” – sottolinea Ielasi – “furono Auden e il pittore tedesco Eduard Bargheer, figure molto differenti, schivo l’uno, aperto e molto integrato nel paese l’altro. C’è un acquerello di Bargheer molto bello, che possiede la mia famiglia, e che illustra efficacemente tutto questo. Chester Callman (ndr. compagno di Auden) abbraccia Maria mentre Auden è seduto sul fondo e, in un altro angolo, c’è Bargheer stesso”. “Con il sole che ti scalda e la tenda di bambù di Maria che tintinna alla brezza, non c’è posto più gradevole di questo”, scrive ancora Capote, mostrandoci un locale alla maniera dei paesi. All’interno, però, era diventato un prolungamento degli atelier dei suoi ospiti: Bargheer tappezzò il soffitto con pagine di riviste italiane e straniere che la gente lasciava lì. Il visitatore che entrando avesse alzato lo sguardo si sarebbe divertito a quel caleidoscopico puzzle, testimonianza del passaggio di grandi personaggi, mentre le pareti erano coperte di quadri e ritratti di Maria donati dai suoi amici.
Intorno ai tavolini del bar Internazionale si alternarono decine di personalità dell’arte e della cultura (perché prima o poi tutti passavano da lì), che si influenzarono e interagirono, spesso positivamente, talora in maniera conflittuale, anche con la gente del posto, spargendo i semi della loro conoscenza e della loro arte, del loro essere ‘forestieri’, come si dice in dialetto, italiani o stranieri ma sempre ‘gente di fuori’ e quindi portatori di una cultura diversa, nuova che irrompeva nella vita quasi immobile dell’isola. E, infatti, in quegli anni parallelamente emersero alcuni dei più notevoli artisti locali della seconda metà del ‘900, da Gino Coppa a Mariolino Capuano a Michele Petroni conosciuto con il soprannome di ‘Peperone’ e in quegli stessi anni Vito Mattera aprì sempre a Forio la prima vera libreria dell’isola. Cosa questa che ai nostri giorni potrebbe sembrare poca cosa, ma per l’epoca era un segnale di cambiamento davvero notevole.
Una caratteristica del cenacolo culturale sorto attorno al bar Internazionale fu che molti dei frequentatori, Auden e Bargheer in testa (e lo stesso Capote), non facessero mistero delle loro preferenze omosessuali. Molti altri non condividevano questa inclinazione e ritrovavano nel gruppo, quale unico e riconosciuto comune denominatore, l’interesse per l’arte e la cultura. Tuttavia, se è vero che l’arte è tale (o non lo è) a prescindere dal sesso di chi la fa, tuttavia sarebbe ipocrita e dissimulante tacere che una forte componente omosessuale caratterizzò l’appartenenza al gruppo del bar di Maria. Aggiungiamo solo che, soprattutto nell’immediato dopoguerra, potersi ritrovare in un posto incantato qual era Forio, senza venir giudicati, o magari anche allontanati, per le proprie preferenze sessuali diverse da quelle della maggioranza della gente, può aver sicuramente costituito un’attrattiva ulteriore.
Ma cosa trovarono a Forio? Ielasi ritiene che la risposta migliore l’abbia data il pittore Lorenzo Cremonini, che ha messo appositamente per lui su carta ricordi ed impressioni. Egli vi giunse nel 1951 avendo come punto di riferimento il pittore americano Carlyle Brown. “Maria mi accolse a braccia aperte, quasi volesse adottarmi (…). Così in pochi giorni diventai amico di Brown appunto e di sua moglie Margery, di Enrico d’Assia, di Auden, di Werner Henze (ndr. musicista e compositore), di Bargheer, di Aldo Pagliacci ed altri. Forse solo l’anno successivo conobbi Henry Cartier Bresson, Herbert List, Cecil Beaton, Pavel Tchelicheff (…)”. Illuminante la sua considerazione successiva: “Tutto era una vera simbiosi, in uno spazio sociale che resisteva senza saperlo all’imminente modernità seriale del turismo. (…) Ma vorrei ancora ricordare quanto fosse calorosa, amichevole e priva di concorrenza la nostra solidarietà che, senza dirlo, viveva di un amore comune per Forio, un amore per le sue case, per la sua gente generosa e priva di pregiudizi, per le sue spiagge vuote. Le lotte col sociale le vivevamo altrove, ognuno nella sua metropoli. Così Forio era la libertà, il desiderio, l’amicizia, la festa”. Agli artisti menzionati da Cremonini bisogna aggiungere la poetessa Ingeborg Bachmann, amica di Henze, i pittori Lélo Fiaux, Sebastian Matta, fra i più importanti esponenti del surrealismo come anche Leonor Fini. E sono solo alcuni nomi.