Thursday, November 21, 2024

History- IL RELITTO DELLA “PROVVIDENZA”

30/2011

Text: Bruno Iacono

 

Photo: Archivio Ischiacity, Archivio Idrografico Militare “Vedi com’è bello qui? Com’è tutto tranquillo? Oggi questo è un posto dove vengono i turisti, tanti tedeschi, ma per noi vecchi, i tedeschi sono un’altra cosa…” E’ un pomeriggio d’estate del 1995, sono con mia Zia Agnese, sul belvedere dei Maronti che ha visto dalla mia adolescenza in poi tante passeggiate notturne e diurne, tra sole che picchia e un tappeto di stelle. Il vento di maestrale ci accarezza il volto e ci racconta che è buon tempo. Zia Agnese è assorta in questo panorama che ormai non la meraviglia più, conosce bene quella vista, la spiaggia, la baia, la sottile linea che lega Sant’Angelo alla madre Isola. “Questa strada non c’era, prima ai Maronti si scendeva dal “Pennino” (il pendio, la vecchia via Giorgio Corafà), e solo a piedi. Poi hanno fatto la strada e sono arrivati i turisti tedeschi, ma io i tedeschi me li ricordo dalla guerra…” I miei “Vecchi” della guerra non parlano volentieri, sono ricordi da cancellare. Eppure, questo specialissimo panorama ha acceso una lampadina nella testa di Zia Agnese: si siede sulla panchina del belvedere, sospira e non parla per qualche istante, poi comincia, come se dovesse liberarsi di quel ricordo. “Tu fai il subacqueo, ma lo sai che lì sotto c’è una nave? Una nave enorme…” Guardo le sue rughe con aria stupita, cerco di interpretare i segni del suo volto e non c’è alcuna traccia di un sorriso, di uno scherzo sfuggito alla sua serietà. “Come una nave? Di che parli?” E allora lei me ne parla, deve farlo… “Avevo 15 anni più o meno, quindi attorno al 1940. Era fine estate, ed eravamo sulla via del Pennino, io e le mie compagne, era di mattina e salivamo dalla spiaggia dove avevamo fatto un bagno, faceva caldo e la strada in salita ci sembrava lunghissima e pesante. Guardavamo verso su, verso Testaccio, tua nonna ci aspettava perché non era contenta che andassimo in giro da sole. All’improvviso sentii un boato fortissimo, non capivo da dove venisse e mi buttai a terra”. La guerra così funzionava, boato, terrore… “Mi accorsi che la mia amica davanti aveva fatto la stessa cosa, e aveva le mani sulla testa aspettando nuovi rumori assordanti, ma nulla… Lentamente e con il terrore nello stomaco alzai la testa e mi girai verso il mare. E fu allora che la vidi, era enorme, lì fuori la punta di Sant’Angelo: Il Vapore continuava a navigare, ma un’enorme colonna di fumo nero si alzava dal centro, come se fosse stata colpita al cuore… Io e le mie amiche rimanemmo immobili, paralizzate, a guardare lì, verso il mare. Non so quanto tempo restammo così, ma poi, ad un certo punto, vedemmo tante barche di pescatori partire dal porticciolo di Sant’Angelo e remare più che potevano verso il Vapore. Andavano ad aiutare quella povera gente. Ciò che non capii fu cosa fosse realmente successo, non avevamo sentito il rumore degli aerei (che conoscevamo bene), niente…. Mi sembrò che la nave continuasse a venire verso terra, ma era sempre più lenta. Io e le mie amiche ci guardammo e scappammo verso casa, avevamo paura. E’ lì sotto che sta, e da lì non si muove…” Zia Agnese aveva un ricordo netto, limpido di quelle immagini, di quel “Vapore” enorme alla deriva. Mentre ascoltavo quel racconto mi sembrò di sentire voci lontane di 55 anni che tornavano. “Dai, andiamo a casa”. Presi gentilmente Zia Agnese per un braccio e l’accompagnai nella mia auto. Era ora di tornare via da quel ricordo…. Il racconto di Zia Agnese mi incuriosì, sapevo con certezza che non poteva essere frutto della sua fantasia, ma mi chiedevo come mai non avessi sentito parlare di questa drammatica storia. Poi mi ricordai che, come dice spesso mio Padre, “di cose di guerra non si parla…” E’ una nuova mattina del 2002, studio con attenzione “LA” carta nautica, la mitica n° 129 dell’Ufficio Idrografico della Marina, quella “delle Isole di Ischia e Procida”. Guardo Sant’Angelo, meta di incredibili immersioni che negli anni mi hanno “forgiato” come subacqueo. E’ un posto speciale. Appoggio l’indice sulla carta, proprio sulla punta di Sant’Angelo, su quell’area della batimetrica che le antiche generazioni di pescatori locali chiamano “Il Padre”. Poi il mio dito comincia a scivolare verso “fuori”, in direzione sud, finché si ferma su uno strano simbolo, una sorta di croce uncinata stampata sulla carta. Lo conosco bene, indica la presenza di un relitto. Sposto l’indice accompagnato dal pollice verso sinistra, sulla scala al margine della carta. Mi serve per comprendere la distanza cartografica che ho tracciato, è circa un miglio marino (1860 mt circa). Un relitto… circa un miglio da punta Sant’Angelo… direzione sud. All’improvviso quel ricordo, quello stesso ricordo che 7 anni prima sul belvedere dei Maronti, vecchio di altri 55 anni, era apparso sul volto di Zia Agnese, che intanto ci aveva lasciati per una vita più serena, riappariva lì, tra il mio indice e il mio pollice, a conferma che dovevo saperne di più. Per la risposta dovevo attendere ancora, fino a quando, durante una conferenza dedicata alla sofisticata tecnica del multibeam, una sorta di sonar che consente di ricostruire il fondo marino in 3D, osservo sulla batimetrica dei 500 mt della zona di S. Angelo, una strana formazione, troppo regolare rispetto alle linee talvolta curve e comunemente irregolari che caratterizzano il fondo marino. Interrompo il geologo Giovanni De Alteriis che sta facendo la sua relazione: “E questo cos’è?”. I miei colleghi mi guardano straniti, ma non il relatore che sorride, un po’ meravigliato per il fatto che ho colto un particolare quasi insignificante nell’enormità della carta. “Già, è una cosa strana, qui lo strumento ci ha fornito una risposta anomala, ma può succedere…” Io lo guardo, sto per qualche istante in silenzio, e poi parlo: “Quello è il relitto di Zia Agnese”. Giovanni mi conferma che le mie deduzioni possono essere più che attendibili e aggiunge: “Sarebbe bello darci un’occhiata, ma siamo attorno ai 500 mt…!”. Qualunque subacqueo sa bene che tale profondità è, ad oggi, fuori da ogni possibilità di esplorazione in immersione, a meno che non si possa utilizzare un batiscafo o un R.O.V. (Remotely Operated Vehicle), una sorta di robot dotato di telecamere e filoguidato dalla superficie. Intanto, cerco più informazioni possibile su quella che potrebbe essere la nave che giace davanti al largo di S. Angelo. Da Piero Faggioli, storico navale ed esperto di ricerca sui relitti, ottengo le poche notizie che si hanno su una serie di navi affondate nel Golfo di Napoli. Questi sono i risultati: “Emma” e “Ile de Breat” colate a picco non lontano da Capri, non possono essere loro. La “Sant’Antonio” è abbastanza piccola e il punto di affondamento non corrisponde. Ma la “Provvidenza” sì, la dimensione (8459 tonnellate di stazza lorda), la data (22 settembre 1940, Zia Agnese era del ‘25 e aveva circa 15 anni all’epoca dei fatti) e soprattutto gli allineamenti dell’affondamento, ovvero 3,5 miglia nautiche in direzione 150° da Punta Imperatore, coincidono. Prendo la carta nautica e le squadrette da carteggio e tiro l’allineamento. E’ lei, non ho dubbi, anche se ci sono piccole variazioni tra il punto della carta nautica in cui è collocato il relitto, l’allineamento dell’affondamento e il punto dell’anomalia indicato dai geologi. Ma tutto ciò ha una risposta, come vedremo. Cerco, maggiori informazioni sulla “Provvidenza”. Com’è consueto nel mondo della navigazione, le navi hanno una vita lunga, durante la quale cambiano spesso proprietario e nome. La nostra fu costruita nel 1913 in Inghilterra: era lunga ben 143,3 metri e larga 17,7; divenne italiana nel 1932 prendendo il nome appunto di Provvidenza: la sua esistenza terminò il 22 settembre 1940 quando, in navigazione da Napoli a Cagliari, alle ore 9.40, a 3,5 miglia per 150° da Punta Imperatore fu silurata dal sommergibile inglese Truant. Affondò verso le 10,25. I 45 minuti di ‘agonia’ della nave spiegano le anomalie fra il punto in cui fu colpita, e quello in cui il suo relitto è segnalato sulla carta. L’allineamento fornito, infatti, registra il punto in cui la nave è stata silurata, non quello in cui è colata a picco. Può in 45 minuti una nave di circa 150 metri di lunghezza e in navigazione continuare a muoversi di abbrivio per circa 0,8 miglia nautiche, ovvero circa un chilometro e mezzo? Certamente sì, e 0,8 miglia nautiche sono la differenza tra il punto segnato sulla carta nautica ufficiale e il punto di siluramento. Potrebbe non corrispondere la rotta, la nave era in navigazione da Napoli a Cagliari, ma il Comandante avrebbe potuto decidere, una volta colpito, di variare la rotta puntando verso l’isola d’Ischia nel tentativo di avvicinarsi a terra il più possibile, per aumentare le possibilità di salvezza. Non si può escludere, anzi, che la Provvidenza abbia cominciato il suo affondamento ad una distanza minore dalla costa, ma una volta giunta sul fondo, le caratteristiche del fondale, che in quel punto è particolarmente ripido, avrebbero potuto favorire un ulteriore scivolamento verso il largo, cioè a sud. Non a caso, il segnale anomalo ricostruito con la tecnica del 3d risulta proprio alla base di questo declivio subacqueo molto scosceso. L’Ufficio Idrografico della Marina mi dà la conferma definitiva: il relitto fu individuato per la prima volta da una nave idrografica nel lontano 1953, ed identificato grazie alla testimonianza di gente del posto. Una calda e silenziosa mattina di fine settembre, pochi pescatori a riparare le reti e a calafatare le barche tirate a secco, contadini dediti alla vendemmia nei vigneti a ridosso della spiaggia dei Maronti e la sagoma di un grande piroscafo che attraversa la baia da levante a ponente. Viene da Napoli da dove è partito alle ore 6:30 e si dirige verso Cagliari, rotta 238°. E’ in “zavorra”, ovvero è carico di merci ed equipaggio, nessun passeggero. Si chiama “Provvidenza”. Ed è “la” nave Provvidenza e non “il“ Provvidenza, perché solo le navi militari potevano fregiarsi dell’articolo al maschile. Sono passati poco più di tre mesi dalla dichiarazione di guerra (10 giugno 1940), da quel delirante “vincere e vinceremo” che aveva convogliato l’Italia e gli italiani in una devastante avventura di distruzione, morte e povertà, come lo è ogni conflitto. L’imbarcazione attraversa la baia allontanandosi dalla costa, il fumaiolo rilascia il vapore azzurrognolo nell’aria circostante. Il “Regina Elena”, motonave pilota requisita per esigenze militari, la precede occupandosi della sua sicurezza. Per questo monta un “pezzo da 76/40”. Il mare è calmo, la mattina limpida e l’aria frizzantina di settembre rende tranquilla la navigazione, ma a bordo c’è tensione, siamo in guerra. Il Comandante Salvatore Cacace di Gaeta ha deciso di navigare sotto costa fin quando ha potuto, probabilmente per evitare i pattugliatori inglesi, anche se consapevole che un piroscafo di quelle dimensioni non può passare inosservato. Ma ormai è venuto il momento di variare di poco la rotta, puntando verso sud-ovest e allontanandosi dalla costa sud dell’Isola. Sono le ore 9:40. Stesso istante, poco a largo di punta Imperatore, non più di 3 o 4 miglia marine verso nord-ovest, un sommergibile inglese Truant classe HMS è appostato in attesa delle sue prede. Periscopio su. Nave con vessilli diversi dai propri. E’ nemica. Siluro nel tubo di lancio. Fuoco. Un fragore assordante lacera la pace della baia, una profonda ferita al cuore attraverso la murata destra, la Provvidenza comincia a sbandare e si “apprua”, mentre gli uomini dell’equipaggio muovono le scialuppe in mare. Alcuni di loro terrorizzati si lanciano fuoribordo, sperando in un futuro migliore di quello ormai inevitabile della loro nave. Il Regina Elena, la nave pilota, appena avvertito lo scoppio vira di bordo di 360° portandosi il più possibile in prossimità della Provvidenza, accosta e comincia a recuperare uomini dalle scialuppe e dall’acqua. A supportare il recupero arrivano veloci le barche dei pescatori sant’angiolesi, la regola del mare lo stabilisce. Il Comandante è l’ultimo a mettere piede sulle scialuppe. Si gira attorno, è in piedi, guarda immobile la sua nave ferita. Sono le ore 10:20, si odono due forti boati, le caldaie esplodono squarciando lo scafo che in pochi istanti si inabissa, e torna il silenzio… Il Primo Ufficiale, Raimondo Maglione di Torre del Greco distoglie lo sguardo del Comandante: un’occhiata rapida, è ora di “contarsi”: 32 su 33 rispondono all’appello dei diretti superiori. 12 uomini sono feriti, per fortuna tutte lesioni di piccola entità. Ma uno manca all’appello. Manca un cameriere di 39 anni, ancora troppo pochi per morire. Si chiama Umberto Paganelli, è nato a Pistoia ma è andato a vivere con la famiglia a Genova, è da lì che si parte per lavorare in mare, ma l’ultimo sole che ha visto è quello sopra la torre di Sant’Angelo… Per questo tentativo di ricostruzione del naufragio della Provvidenza, devo ringraziare Giovanni De Alteriis, Stefano Ruia, Piero Faggioli, l’amico carissimo Com.te Menna, i Capitani di Fregata Lusiani e Ferrero dell’Ufficio Idrografico della Marina di Genova. Tutti mi hanno fornito importanti informazioni e le immagini. Il mio ricordo affettuoso va soprattutto a Zia Agnese e alla sua Storia di Mare. Bruno Iacono, Diving Officer presso il Gruppo di Ricerca di Ischia del Laboratorio di Ecologia Funzionale ed Evolutiva della Stazione Zoologica A. Dohrn, è fondatore e presidente dell’Associazione Nemo che lavora nell’isola d’Ischia per diffondere la cultura del mare. In particolare, Nemo organizza corsi di biologia marina e corsi e escursioni di snorkeling e immersione subacquea con ARA (bombole), con rilascio di brevetti internazionali di tutti i livelli, compreso quello di Istruttore. La sede estiva è a Sant’Angelo d’Ischia, presso la “Nuova Associazione Amici di Sant’Angelo”. Cell: 366.1270197 – email: info@nemoischia.it – website: www.nemoischia.it