Thursday, November 21, 2024

28/2010

Photo: Archivio D´Ambra
Text: Silvia Buchner

 

“Siamo contenti di salutarti ischitano e lo facciamo inviandoti 25 bottiglie di Biancolella, escludendo i più simbolici pane e fichi secchi”. Queste parole le scrisse Mario D’Ambra, uno dei tre figli maschi di don Ciccio D’Ambra, i quali, negli anni ’50, furono gli artefici del grande successo del vino prodotto dall’azienda fondata dal loro padre, e in particolare del vitigno ischitano più famoso il Biancolella. Il dono era per un consumatore d’eccezione, Luchino Visconti, in occasione dell’inaugurazione della sua amata casa ischitana immersa nel silenzioso bosco di Zaro, la Colombaia. Il famoso regista aveva una predilezione per il Biancolella (tanto che alcune foto di scena scattate sul set lo ritraggono con la bottiglia coperta da un bicchiere capovolto), e al suo intervento si deve l’etichetta definitiva con la quale questo vino è entrato nella storia dell’enologia ischitana e italiana. La valorizzazione e la fama del Biancolella sono legate profondamente alla storia imprenditoriale della casa vinicola D’Ambra. Fino al 1955, era un’azienda che esportava vino sfuso come tante altre a Ischia, anche se un’intuizione felice del capostipite don Ciccio gli aveva consentito di affermarsi come il più importante commerciante vinicolo dell’isola. Agli inizi del ‘900, infatti, quando i vigneti in Italia settentrionale e Francia furono distrutti da un insetto, la fillossera, egli capì che era conveniente spostare la vendita del vino ischitano su quei mercati rimasti sguarniti, e naturalmente gli affari prosperarono. Ma si trattava pur sempre di vino sfuso, anonimo. Nel 1955, invece, arriva la prima fondamentale svolta, che vede protagonisti i D’Ambra della seconda generazione, Michele (che si dedicava all’acquisto prima del vino e poi delle uve), Mario (che curava il settore commerciale) e Salvatore (tecnico ed enologo). E fu proprio Salvatore – il padre di Andrea, anch’egli enologo e attuale proprietario della D’Ambra Vini – a decidere che era arrivato il momento di dare un’identità ben definita al vino che già da qualche tempo veniva anche prodotto all’interno dello storico edificio sul porto di Ischia. Nacque allora il biancolella D’Ambra in bottiglia. La scelta di un’etichetta che rispecchiasse lo spirito dell’azienda che quel vino produceva costituiva una tappa essenziale e i D’Ambra ne affidarono l’ideazione ad uno dei più suggestivi e interessanti artisti ischitani, il pittore Aniellantonio Mascolo (e l’originale, un’incisione realizzata nell’ardesia, è conservato nel museo Contadino che si può visitare a Panza, dove attualmente la D’Ambra Vini ha la sua sede) e, non contenti, chiesero appunto a Luchino Visconti il suo parere. Egli suggerì di eliminare una serie di decorazioni che considerava ridondanti e vide la luce un’etichetta che in pochi centimetri racconta un mondo. All’interno del caratteristico scudo è riprodotto il palazzo D’Ambra con i suoi archi e terrazzi, una delle palme che ancora adesso sono lì (anche se purtroppo in parte attaccate dal punteruolo rosso) e tutti gli elementi essenziali collegati all’universo del vino ischitano: il sole, il torchio da cui fuoriesce il succo dell’uva, il mare con i velieri che lo facevano viaggiare, il carro con le botti, uomini e donne al lavoro. Grazie a Visconti ed a una pierre ante litteram Jolanda D’Ambra – sorella di Mario, Michele e Salvatore, che era la persona di fiducia di Visconti a Ischia, e che insieme a lui frequentava il mondo del cinema – il Biancolella viene conosciuto nel jet set italiano e internazionale: “Tutti i personaggi famosi che venivano a Ischia passavano da casa nostra, era un salotto, Richard Burton e Liz Taylor andavano a bere un bicchiere di vino da mia madre mentre giravano “Cleopatra”, allora io ero piccolino”, ricorda Andrea D’Ambra. Ma il ruolo di casa D’Ambra nel costruire il ‘mito’ del biancolella ha anche un volto molto più tecnico e di grande interesse. Fu proprio l’enologo Salvatore D’Ambra, infatti, a concepire e redigere il disciplinare di produzione per ottenere la denominazione di origine controllata per i vini ischitani, fra cui naturalmente il biancolella, che il Ministero recepì senza fare alcuna modifica. Era il 1966 e nasceva la prima DOC della Campania e la seconda nazionale: Ischia Bianco, Ischia Bianco Superiore, Ischia Rosso, Biancolella, Forastera e Per ‘e Palummo erano le denominazioni riconosciute, basate sui tre principali vitigni ischitani, in associazione ad altri raccomandati e/o autorizzati nell’ambito della provincia, in percentuali stabilite rigorosamente dalla legge. Biancolella, come Forastera, è un vitigno autoctono: è coltivato, cioè, esclusivamente a Ischia (se si esclude una piccola percentuale in costiera Sorrentina) perché si adatta con difficoltà ad ambienti pedoclimatici differenti da quello isolano. Proprio l’esclusività del vitigno, inscindibilmente legato a questo territorio, lo rende molto interessante: il vino, infatti, viene sempre più spesso scelto in base alla sua storia, alla storia del territorio che lo produce, all’affidabilità delle aziende, requisiti che l’isola con la sua storia enologica possiede tutti. Tanto più che incontra decisamente i gusti della gente che, stanca di bere vini troppo profumati e dal gusto pieno come pinot e chardonnay, va alla ricerca di sapori più morbidi e la delicatezza e la gradazione alcolica non troppo elevata del biancolella rispondono a questi requisiti.