Sunday, November 24, 2024

n.10/2006

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Giovanni Di Meglio

 

Vergine o puttana? Gli storici non si sono messi ancora d’accordo. Discutono da 500 anni sul termine di “favorita del re” senza trovare una risposta univoca. Il personaggio al centro delle diatribe è Lucrezia d’Alagno, signora assoluta della corte al tempo di Alfonso il Magnanimo, la vera regina di Napoli, bella e intelligente, con ogni probabilità per oltre un decennio la ispiratrice della politica aragonese nel Mediterraneo, certamente la donna più potente del regno fino alla morte del re protettore.
Tessitrice di segreti piani politici o appassionata amante di Alfonso, desiderosaprincipalmente di assecondare ogni desiderio voluttuoso più intimo dell’anziano sovrano? Pare che Lucrezia fosse l’una e l’altra; pare anzi che il secondo ruolo – di animale da letto – le servisse per attuare più facilmente il primo, mettere cioè le mani sulle decisioni politiche del regno e favorire amici e parenti: due fratelli, infatti, ricevettero il titolo di conte e incarichi importanti a corte, mentre il cugino Rinaldo Piscicelli riuscì a farsi nominare arcivescovo di Napoli, benché fosse del tutto indegno e inadatto a ricoprire quell’incarico.
Lucrezia da Torre del Greco non fu popolana di basso ceto, come una certa letteratura popolare ha voluto far passare, ma fu figlia di Cola della nobile e decaduta casata d’Alagno, già potente sotto gli angioini, destinataria dalla dinastia aragonese di frequenti incarichi minori nell’amministrazione statale.
L’incontro tra la procace fanciulla e l’attempato sovrano avvenne il 23 giugno 1448, vigilia della festa di san Giovanni; era usanza che per quella data ogni ragazza in età di marito donasse una pianticella d’orzo al proprio fidanzato in pegno d’amore. Si dice che Alfonso d’Aragona, sfilando per le vie di Torre, fosse stato omaggiato dellapianticella da Lucrezia. E fu fulmine d’amore a ciel sereno e i due “fidanzatini” vissero insieme e non si lasciarono più, nonostante una differenza di età di oltre 30 anni.
Da allora Lucrezia fu al centro di ogni attenzione, costituendo una propria corte che rivaleggiò in importanza e potenza perfino con quella della legittima moglie di Alfonso, Maria di Castiglia, e con quella della duchessa di Calabria, moglie dell’erede al trono. Nei cortei, nei tornei cavallereschi, negli spettacoli a Castel Nuovo, nelle adunanze ufficiali dei nobili e delle autorità cittadine, ella compariva accanto al re, oscurando ogni altra donna per bellezza e per capacità dialettiche. Ribaltando ogni norma di etichetta, in occasione del matrimonio di Federico III, imperatore del Sacro Romano Impero, con Eleonoradi Portogallo, nipote di re Alfonso, durante il banchetto nuziale a Napoli, Lucrezia fu fatta sedere dopo l’imperatrice e la duchessa di Calabria, ma prima della regina Maria, che masticò amaro per l’affronto subito.
Perplacare le male lingue, fu diffusa ad arte la storiella, avallata dai poeti di corte, della purezza dei costumi della favorita del re; perfino l’umanista Enea Silvio Piccolomini – il futuro papa Pio II – mostròdi prestar fede alla notizia, sostenendo in pubblico di apprezzare l’illibatezza e la castità di Lucrezia. Da parte sua, la donna – fingendo indignazione per le indiscrezioni – si vantò sempre di intrattenere con il re soltanto rapporti culturali, negando con decisione ogni relazione carnale.
Ma non tutti si bevvero la fandonia. Molti scrittori, tra cui il Pontano, misero in dubbio la castità di Lucrezia e il cronista dell’epoca Michele Riccio si disse sconvolto all’idea che il regno fosse retto da una cortigiana, sia pure di leggiadro aspetto.
Era convinzione generale che, morta la regina Maria, Lucrezia ne avrebbe preso il posto convolando a giuste nozze con Alfonso. Ma poiché la coriacea regina non si decideva a morire, Lucrezia pensò bene di presentarsi a Roma da papa Callisto III Borgia, spagnolo di Valenza e suddito per nascita di Alfonso, per chiedergli l’annullamento del matrimonio tra il proprio amatoe Maria di Castiglia, a causa della sterilità di quest’ultima. Difatti i molti figli di Alfonso, compreso il primogenito Ferrante, eranotutti nati da relazioni extraconiugali.
Callisto III accolse con molta deferenza la “favorita” del re, quasi come se fosse la vera regina di Napoli, ma circa la richiesta di annullamento del matrimonio disse che non c’era nulla da fare, perché – come fece poi sapere ai funzionari della Curia Romana – egli non aveva alcuna intenzione di finire all’inferno per le velleità politiche di una puttanella.
Persmaltire la rabbia della sconfitta, Lucrezia accentuò l’influenza sulle decisioni del re sempre più vecchio e più stanco, a tal punto che nessuno poteva ottenere grazia da lui se non attraverso la mediazione della “favorita”. Risale a questo periodo il conferimento di Alfonso alla sua amante del feudo di Ischia, già allora caposaldo strategico per la difesa del regno di Napoli. Lucrezia amministrò l’isola attraverso il cognato Giovanni La Torella (che poi l’avrebbe tradita) e utilizzò il Castello più come luogo ameno ove trascorrere ore liete con il re, che come fortezza militare. Una cedola della regia tesoreria aragonese ancora oggi ci ricorda di una sontuosa cena che il giorno 11 maggio 1456 Alfonso diede sul Castello d’Ischia in onore di Lucrezia e di altre splendide dame napoletane.
La morte di Alfonso il Magnanimo, prima che si potesse coronare ilsogno di matrimonio dei due colombi, comportò il lento ed inesorabile declino della bella Lucrezia. Allontanata dalla corte dal nuovo re Ferrante il Vecchio, abbandonata dai cortigiani invidiosi del suo passato potere, dimenticata dagli amici che non potevano ormai ottenere da lei alcun favore, tradita dal cognato governatore di Ischia,che l’aveva coperta di infamia pur di non restituire il possesso del feudo alla legittima castellana, Lucrezia si ritrovò all’improvvisa sola e impaurita.
Accusata da Ferrante di essersi alleata segretamente coi francesi,disprezzata dai francesi per i passati legami con il re Alfonso, considerata una pedina impazzita dello scacchiere politico dai baroni del regno, giudicata figura ingombrante dai parenti e dagli amici, Lucrezia fu costretta a fuggire dal regno e a ricorrere all’aiuto di un capitano di ventura, con il quale – come scrissero i maligni dell’epoca – divise il letto e qualcos’altro. Morì dimenticata da tutti, dopo essersi rifugiata in Dalmazia e successivamente a Ravenna.
Di lei rimane la statua inserita nel complesso marmoreo dell’arco di trionfo all’ingresso del Maschio Angioino, capolavoro della scultura rinascimentale napoletana. Ben poco per un personaggio che esercitò il potere reale per oltre un decennio e che determinò la politica espansionistica degli aragonesi nel Mediterraneo.