33/2012
Text: Giorgio Balestmriere Photo: Archivio Balestriere e Ischiacity.
Il caso, si sa, può produrre degli eventi inattesi oppure suggestionare l’immaginario; tanto è vero che a mettermi sulle tracce di Luchino Visconti è stata la fatalità. D’altra parte, ero divenuto un fan assoluto del regista: non perdevo mai l’occasione di vedere e rivedere i suoi film. All’inizio degli anni Settanta mi capitò di sfogliare una rivista di arredamento, House & Garden, nella quale spiccava un servizio fotografico dedicato alla dimora di Luchino Visconti, La Colombaia. Sfogliando quel reportage notai una foto molto intensa che ritraeva il regista su un terrazzo della sua casa di Ischia mentre ammirava l’orizzonte, nel momento in cui il sole volge al tramonto. Inoltre, vi erano fotografati diversi splendidi angoli della villa e degli oggetti raffinati di gusto “art nouveau” – oggetti che ornavano gli ambienti di rappresentanza e la camera da letto del regista. Quelle incantevoli immagini ben presto mi avvinsero, facendomi correre ad Ischia. Infatti mi ero trasferito a Parigi nel 1967 e, sebbene avevo sentito dire che Visconti trascorreva il periodo estivo sull’isola, non sapevo che egli era divenuto proprietario della misteriosa Colombaia. Allora, un giorno d’estate del 1972, presi la decisione di varcare il grande arco merlato, posto in un romito angolo tra Lacco Ameno e Forio, che introduceva, lungo una solitaria carreggiata ombrosa, nel bosco, al termine della quale si arrivava alla Colombaia. Proseguendo in mezzo ai cespugli e agli alberi, le alte fronde dei lecci chiudevano a un certo punto la vista. Quest’ostacolo visivo e il vicino bosco rendevano il viale sempre più cupo; improvvisamente, mi resi conto di trovarmi in un posto dall’aspetto selvaggio, tenebroso e quasi ostile. Quella volta veramente potei provare il brivido della solitudine. Tuttavia, non fui avvinto da quell’attimo di smarrimento e dopo aver percorso il lungo viale ed aver superato la casa dei custodi, l’antica cappella privata e la neogotica villa Mezzatorre, giunsi alla Colombaia, allora protetta da cani molto aggressivi. Prudentemente mi spinsi fino alla recinzione, dove fui subito notato dai cani e dai guardiani – una coppia di coniugi proveniente da Modena – i quali mi chiesero di spiegare il motivo della mia presenza. Puntualizzai subito che ero rimasto affascinato dal servizio fotografico sulla villa e che desideravo visitarla; inoltre precisai che vivevo a Parigi e mi sarei trattenuto a Ischia ancora pochi giorni. Purtroppo, in quel momento, Visconti era assente e quindi i due mi suggerirono di telefonare. Lo feci l’indomani: il custode mi riferì che il “conte” aveva accettato di ricevermi. Ero talmente spinto dalla smania di conoscere il regista e di rendermi conto delle meraviglie che custodiva quella dimora che, raggiunta la mia aspirazione, fui preso dalla perplessità. Finalmente, un pomeriggio mi avviai all’incontro con Visconti. Sull’altura del promontorio di Zaro la giornata era calda e invitante. Giunto alla villa fui ricevuto dalla moglie del guardiano, che mi disse: “Il conte è sulla terrazza antistante il suo appartamento privato e l’attende, poi mio marito l’accompagnerà all’interno della villa e nel parco”. Quindi, lei mi propose di servirmi dell’ascensore oppure di salire a piedi; scelsi la seconda opzione, pensavo che qualche parola scambiata con quella donna avrebbe mitigato il mio stato d’animo. Percorremmo insieme un breve viale sinuoso, adornato di grandi vasi in cotto, che conduceva all’ingresso principale della dimora e ad alcune terrazze; lì un’eco lontana, molto lontana, restituiva il mormorio delle onde e il loro infrangersi contro gli scogli. Quelle terrazze erano ancora dorate dal sole e apparivano come avvolte da una quiete malinconica, accentuata dalle sculture di animali – cani – la cui immobilità continuò ad accrescere il mio disagio. Oltrepassato un loggiato e una piccola rampa di scale, intravidi il regista che appariva come avviluppato da un’ombra verdognola, proiettata dagli alti lecci; quel terrazzo, oltre a confortevoli poltrone, ospitava anche molte varietà di fiori che diffondevano intense esalazioni. Visconti era sdraiato accanto ad un rigoglioso cespuglio di gelsomini, collocato in un grande vaso. Egli si alzò e mi venne incontro dicendomi “Bienvenue cher jeune homme”; a quel punto lo ringraziai e mi scusai per l’intromissione. Il regista mi fece accomodare e mi offerse da bere, chiedendomi da quanto tempo vivevo a Parigi e per quale motivo mi trovavo in quella città; aggiunse che anche per lui, negli anni della sua giovinezza, era stato fondamentale viverci. Incuriosito dalla mia risposta: “Soprattutto per vivere, conoscere il mondo e per sottrarmi al servizio militare”, il regista mi chiese se tali aspettative fossero state appagate; gli risposi che se fossi rimasto a Ischia, probabilmente, non mi sarei sentito realizzato e non avrei provato una così grande disperazione – il dolore che avvertii quando appresi che Pierre, il ragazzo con il quale dividevo la casa a Parigi e che era nato il mio stesso giorno, mese ed anno, si era suicidato a 22 anni perché sopraffatto dal “mal de vivre”. Gli accennai pure dei disagi che avevo provato nei primi anni trascorsi in quella città, dovendo frequentare l’università e guadagnare il denaro per vivere. Questo breve racconto non lasciò indifferente Visconti. Allora fui colpito dal suo volto che improvvisamente divenne triste: il viso solcato di rughe, il profilo scavato, il mento rilevato, le labbra sottili e i capelli radi intensificavano il suo umbratile aspetto. Mentre osservava i lineamenti del mio volto, mi disse che gli avevo dato prova di una forza interiore non comune e che mi avrebbe rivisto molto volentieri – a Ischia come a Roma. Poi, accennando un flebile sorriso, egli chiamò il guardiano per farmi accompagnare all’interno della villa e nel parco. Infine, lo salutai, dicendogli “Merci Maître, a bientôt” – purtroppo poco tempo dopo Visconti ebbe seri problemi di salute. L’atmosfera della Colombaia, contrariamente alle immagini apparse su quella rivista, era piuttosto malinconica e “fané”: dalle volte delle scale, e in alcuni ambienti, pendevano lampade dalle forme bizzarre; nella sua camera da letto c’era un tavolo ricoperto da un vasto tappeto scuro, che formava un drappeggio sontuoso e sinistro, ed un paravento in tessere di vetri colorati, di un gusto liberty piuttosto demodè. Anche le lunette che sovrastavano le porte erano di vetri colorati, il loro riverbero infondeva all’interno della casa una strana luce rossastra. Come il dedalo dei passaggi di un castello medioevale, all’interno della dimora le scale succedevano ad altre scale che immettevano in saloni silenziosi, rischiarati da numerose finestre; colorati tendaggi leggeri, impalpabili come un vaporoso velo di nebbia, attenuavano l’indiscreta luminosità dei raggi solari. Le sale erano arredate con oggetti di epoche diverse: camini antichi, poltrone e divani Napoleone III, grandi consolles di gusto Impero – gelidamente decorate da sfingi dorate – su cui erano sistemate collezioni di argenti, bronzetti e ricercati vetri liberty francesi; mentre le pareti erano piene di quadri, parecchi dei quali raffiguravano vedute e scene di genere dell’Ottocento, e stampe antiche dai colori scuri. Tuttavia, la ricchezza degli apparati decorativi era fornita dai pavimenti impreziositi da riquadri di formelle in maiolica, ispirate a scene del mondo antico, a soggetti mitologici, a figure antropomorfe. In quegli ambienti regnava il silenzio poiché i soffitti a volta, di gusto neogotico, attutivano anche i rumori dei nostri passi. Uscii da quell’atmosfera ricercata e decadente per incamminarmi nel parco che si distendeva fino al mare; mi soffermai davanti ad un’ara, su cui era collocata una figura femminile dormiente, allegoria dell’implacabile dea dell’aldilà, immersa nel silenzio. Quel lussureggiante giardino sembrava come scolpito dalla pietra e racchiudeva un ricco patrimonio botanico: mimose, clematis, gelsomini, bouganvillee e cespugli di ortensie, di rose, ciuffi di gerani e di iris offrivano vistose fioriture. Prima di allontanarmi, rivolsi lo sguardo verso l’orizzonte: il sole era al tramonto e diffondeva sul mare scintillante la sua scia infiammata.