Friday, November 22, 2024

I 900 FUOCHI CHE ALIMENTANO L’ECONOMIA

Anticamente, per censire la popolazione residente in un luogo si contavano i fuochi, termine con cui si indicava il numero di “nuclei di convergenza” intorno ai quali (per ovvi motivi) si ritrovava una famiglia o un piccolo insieme di persone. Assegnando un valore medio al numero di individui intorno a ciascun fuoco, e calcolando poi la quantità assoluta dei fuochi si determinava – con verosimile precisione – la quota di residenti. Ebbene, se contiamo quanti – circa 400 – fra alberghi, pensioni e bed & breakfast dell’isola d’Ischia possiedono una cucina, quindi un fuoco, aperta al pubblico e a questi aggiungiamo i circa 500 fra ristoranti, bar, pasticcerie, stabilimenti balneari (con punto di ristoro), pub, cantine, chioschi etc, otteniamo la cifra complessiva di circa 900 fuochi, o cucine, che riuniscono quotidianamente un notevole numero di persone (approssimativamente, non è inferiore alle 100 unità al giorno nel periodo in cui tali fuochi sono in funzione, quindi per circa 7 mesi all’anno) e tutto ciò mi porta a concludere che nei 7 mesi di attività turistica i “fuochi” preparano – tra colazioni, pranzi, cene, spuntini, aperitivi, snacks, etc – circa 19 milioni di portate servite al pubblico. Va, infine, considerato che questi “fuochi pubblici” sono concentrati in un piccolo territorio qual è l’isola, appunto: il che la rende, al seguito di Venezia e di Rimini, una delle stazioni a più alta densità di fuochi per chilometro quadrato. Come dire, l’Eldorado della ristorazione! Questa constatazione apre lo spunto per ulteriori riflessioni in tema di ristorazione e di immagine da programmare per l’affermazione internazionale del brand Ischia.

Per anni (sicuramente non sbagliando) Ischia si è impegnata nella rappresentazione di sé promuovendo solo il tema del benessere. Si è pensato (non sbagliando): “Ischia rappresenta un unicum in fatto di termalismo e risorse naturali benefiche e, come tale, va venduta e rilanciata in Italia e (soprattutto) nel mondo”. In realtà, un’errata rappresentazione di questa nostra caratteristica per molto tempo ci ha confinato nel (non utile) ambito “dell’isola-sanatorio”: un luogo dove più che ricercare il benessere s’è ricercata la salute. Ma per una serie di circostanze, che brevemente elencherò, in tempi recenti qui (e non solo qui) qualcosa è cambiato, ed oggi essa si presenta agli occhi dei tanti visitatori come un luogo nel quale vale decisamente la pena di dar sfogo alle più ampie fantasie intorno al gusto e al mangiar bene. Vediamo perché. La strada è stata certamente spianata dalla scarsa inventiva degli autori televisivi che (per fortuna nostra!) per riempire a basso costo ore ed ore di palinsesti si sono concentrati massicciamente sui format enogastronomici. Le trasmissioni sviluppate intorno a questo tema sono tantissime e, da un lato, hanno dato vita ad un “genere culturale”, dall’altro hanno spinto verso la ribalta la figura professionale di un soggetto – lo chef – fino a pochi anni prima assolutamente sconosciuto, non solo al grande pubblico dei telespettatori ma perfino alla clientela stessa dei ristoranti (che non si sognavano minimamente – durante il pasto – di voler conoscere chi avesse cucinato le pietanze). Al merito delle trasmissioni televisive va aggiunto il sostanziale rientro della grande crisi economica partita nel 2008 e perdurata almeno fino al 2013. A questo si aggiunge un aspetto politico di non secondaria importanza: ovvero che il ministro per i Beni e le Attività Culturali ed il Turismo Dario Franceschini ha dedicato una notevole quantità delle risorse di bilancio dello Stato al tentativo di rilanciare l’economia e lo ha fatto rafforzando (anche molto) il segmento del turismo. Ciò ha comportato una maggior presenza di stranieri (fortissimamente attratti a scegliere una vacanza nel nostro Paese anche dall’idea di mangiare cibo italiano) ed una ritrovata effervescenza degli spostamenti interni, con gli italiani stessi che, spostandosi da regione a regione, scelgono di vivere rinnovate esperienze di gusto. L’area napoletana, ed in particolare Ischia, poi, come sostiene il critico enogastronomico Luciano Pignataro nell’intervista che pubblichiamo in questo numero speciale di Ischiacity, fa la parte del leone poiché “se non esistesse la cucina napoletana, quella più in generale italiana sarebbe poca cosa. Alcune delle più celebri pietanze legate all’identità del gusto italiano, infatti, sono di origine partenopea: la pizza innanzitutto, ma anche la mozzarella, gli spaghetti al pomodoro, ai frutti di mare, e via dicendo”.

A margine di queste riflessioni occorre non sottacere un aspetto dolorosissimo e purtuttavia da non trascurare quando si valuta la situazione dell’economia isolana: nel 2016 si sono registrate indubbie performance di presenze al rialzo, di certo connesse a situazioni contingenti come il disastroso assetto della sicurezza internazionale, pregiudicata dal terrorismo e, in tempi più recenti, per quel che riguarda l’Italia, ha avuto un suo peso anche la ricerca di mete di vacanza alternative a quelle ritenute pericolose a causa dei terremoti. Insomma, per quanto appaia cinico affermarlo, Ischia, in aggiunta ai suoi tradizionali ospiti, raccoglie tutta quella massa di visitatori che – sentendosi insicuri altrove e non volendo rinunciare a giornate di serenità – la scelgono considerandola esente da questo tipo di problemi.

Si compone, così, un mosaico di elementi che indica con chiarezza la direzione in cui l’isola deve andare: è necessario che Ischia patrimonializzi questo momento positivo, e per riuscirci deve orientare – compatta – la comunicazione (nazionale ed internazionale) in modo da presentarsi in primo luogo attraverso tutto quanto è legato alle numerose realtà enogastronomiche che il suo territorio esprime. E ciò per il semplice fatto che in tal modo riusciremo a “venderci” meglio e di più, rafforzando il settore della nostra attività turistica che allo stato attuale ci rende maggiormente attrattivi. Su 100 visitatori solo una quota minoritaria ci sceglie per le terme, pochissimi per la cultura e l’arte, e meno di quel che si pensa per il mare, ma tutti – davvero tutti – s’indirizzano ad Ischia per il buon cibo! Questa è la valutazione di principio che dovrebbe orientare tutti i nostri ragionamenti su come modulare l’offerta turistica.