Thursday, November 21, 2024

Text_ Silvia Buchner

Fu una nave inglese, proprietà del duca di Sutherland, suo grande amico e ammiratore, a condurre Garibaldi a Ischia; dalla marina di Casamicciola salì poi a dorso di un mulo (probabilmente la strada, che altro non era che un passaggio scavato nelle pareti della collina dall’acqua, non consentiva l’uso di carrozze) fino a piazza Bagni, ‘seduta’ sulla celebre fonte del Gurgitello, le cui acque avrebbero dovuto curargli la ferita che lo faceva soffrire ormai da circa due anni.

Accadde così che esattamente per un mese, fra il 19 giugno e il 19 luglio 1864, Casamicciola Terme fu il centro del neonato Regno d’Italia, e ad essa guardò con grande interesse anche l’Europa, stando almeno alle tante corrispondenze giornalistiche dall’isola apparse in quei giorni sulle testate straniere, inglesi in particolare. Una simile affermazione potrà apparire espressione di un campanilismo fuori luogo. Ma la ‘vacanza’ di Giuseppe Garibaldi finì per proiettare sul proscenio della cronaca nazionale Casamicciola e, con essa, l’isola d’Ischia: infatti, seguire le tracce del soggiorno del Generale nella cittadina termale, consente di calarsi in una fase delicata e fondamentale della storia del nostro Paese che – se pure aveva raggiunto la sua unità – non annoverava ancora fra i suoi territori Roma e il Veneto. Tornando all’eroe del Risorgimento, fu per una di quelle alchimie della politica che i comuni mortali faticano a capire – che Garibaldi, rischiando la vita, rimediò una brutta ferita al malleolo della gamba destra per le fucilate non dei borbonici, dei papalini o dell’esercito austriaco, ma dei bersaglieri che rappresentavano il regio Stato italiano! A mandarglieli contro, sull’Aspromonte, era stato, infatti, il capo del governo, Urbano Rattazzi. Scopo della missione: fermare il “Padre della Patria” nella sua marcia verso Roma, la cui liberazione pure tutti parevano, con ardore non minore di Garibaldi, volere. In realtà, in quel momento il grido di “Roma o morte!”, che egli aveva fatto suo, non poteva essere – almeno alla luce del sole – condiviso e sostenuto dalle istituzioni, a cominciare dalla monarchia. Il rischio era di provocare un grave incidente diplomatico con la Francia di Napoleone III, che si era posto a strenuo difensore dell’indipendenza dello Stato pontificio. Di qui derivò la decisione inevitabile, ma pur sempre ambigua, di mandare l’esercito contro le camicie rosse – insomma, italiani contro italiani – che risalivano la penisola, dirette alla conquista della Città-simbolo. Con l’ingloriosa – e non certo per colpa di Garibaldi – conclusione della vicenda dell’Aspromonte, ha inizio un lungo periodo (la breccia di Porta Pia è infatti solamente del 1870) durante il quale intorno alla ‘questione romana’ i maggiori protagonisti degli eventi politici del tempo, il re Vittorio Emanuele II, l’imperatore francese Napoleone III, il papa Pio IX, Mazzini (non però il geniale artefice dell’unità, il conte di Cavour, morto nel 1861), giocarono una complessa partita diplomatica fatta di accordi firmati con mille riserve mentali, di compromessi che con disinvoltura non vennero osservati, di intese segrete che, portate allo scoperto, furono immediatamente seguite da smentite ufficiali.

E Garibaldi non era a suo agio in una situazione del genere: fosse stato per lui, la cosa si sarebbe risolta in quattro e quattr’otto, possibilmente replicando anche per lo Stato pontificio l’audace impresa dei Mille, che aveva in un baleno liberato dal Borbone prima la Sicilia e poi Napoli. Ma i nodi della storia non sempre si possono tagliare con la spada e quindi non ci si sorprenda del fatto che, mentre sceglieva di dedicare qualche settimana alle cure termali a Casamicciola nella speranza di alleviare i dolori alla gamba, Garibaldi avviò contemporaneamente una fitta agenda di incontri politici e di strategia, con abboccamenti e contatti. L’intento era di rilanciare un’azione decisa, fuori dagli schemi imbalsamati della politica di palazzo, per arrivare prima a Roma e poi, magari, a conquistare il Veneto. Egli credeva che la ‘vacanza casamicciolese’ potesse offrire ai suoi disegni quella necessaria copertura da occhi indiscreti che altrove non avrebbe avuto. Già, perché il Generale era un sorvegliato speciale delle autorità costituite ed egli s’illuse che, stando in un luogo comunque più appartato, gli venissero per una volta risparmiati i consueti occhiuti controlli. In realtà, la polizia italiana (che all’epoca era sabauda) non lo perse mai di vista e sui suoi movimenti venivano redatti dettagliati rapporti, da cui gli storici hanno ricavato informazioni utili sul soggiorno. Senza dimenticare che ai movimenti di Garibaldi erano interessati naturalmente anche i filo borbonici, ansiosi di fargliela pagare e quindi in costante ricerca di notizie con cui alimentare l’attività di propaganda contro di lui. Garibaldi abitò in un primo tempo  presso l’albergo di Luigi Manzi, cittadino illustre di Casamicciola. Proprietario delle terme omonime (oggi, dopo un attento recupero sono un albergo a cinque stelle, e all’interno si conserva la vasca in pietra che si dice fu usata per le abluzioni del Generale), era un personaggio interessante, un patriota che aveva contribuito economicamente alla causa mazziniana e garibaldina e un imprenditore pieno di idee. A lui è attribuita l’invenzione della sambuca, il famoso liquore a base di anice poi sfruttato industrialmente dalla famiglia Molinari e, in una lettera che scrisse alla moglie, si legge che naturalmente la fece assaggiare al Generale, dopo il caffè, ed egli la gradì molto. Al punto, sempre secondo il racconto di Manzi, da acquistarne per sé delle casse. Per una coincidenza quanto meno spiacevole il fratello di Manzi, Raffaele, era uno dei funzionari incaricati di sorvegliare Garibaldi. Presto, però, questi decise di trasferirsi in un luogo molto più tranquillo, lasciando l’albergo di Manzi e piazza dei Bagni. Le ragioni non sono del tutto chiare. Sicuramente, dall’animatissima piazza provenivano infernali rumori che disturbavano il suo sonno: infatti, vi si radunavano giorno e notte gruppi di sostenitori intenzionati a incontrarlo a tutti i costi e a fargli giungere in ogni modo il loro entusiasmo; per di più, la banda di Forio suonava in continuazione l’inno a lui dedicato.

Ma una ricostruzione alternativa attribuisce questa decisione al fatto che Garibaldi scoprì di essere ‘spiato’ dal fratello del suo ospite e che naturalmente la cosa gli dispiacque molto. Quale che sia la causa del cambio di residenza, la scelta cadde sulla bellissima, panoramica e appartata Villa Zavota, che era un albergo con il nome di Hotel Bellevue (oggi è Villa Parodi Delfino) in località Sentinella. Qui – dove soggiornò come un ospite qualunque (tanto che si conserva il conto di 78 franchi che fu pagato per 23 giorni di permanenza!) – Garibaldi, tra una cura termale e l’altra, passò il tempo alternando agli incontri politici (in uno di questi fu addirittura costretto a fare da paciere fra i suoi stessi sostenitori che, in disaccordo sulla linea d’azione da adottare, stavano per venire alle mani) passeggiate in carrozzella, durante le quali pare che un giovanotto locale gli portasse ogni giorno del latte di capra fresco per la colazione. E fra i molti incontri di rilievo che Garibaldi tenne a Villa Zavota, vi furono sicuramente quello del 2 luglio 1864, quando convocò le logge massoniche italiane che sperava di vedere unite in nome del comune obiettivo (ma non ci riuscirà, tanto che poco tempo dopo mandò le proprie dimissioni alle due logge di cui era membro) e quello con il colonnello Salvatore Porcelli, inviato direttamente dal re. Un documento, venuto alla luce solo pochi anni or sono e proveniente dal fondo Savoia, prova inoppugnabilmente che l’ufficiale era stato mandato a Casamicciola per portare l’appoggio di Vittorio Emanuele II alla causa di Garibaldi. Si conserva, infatti, il mandato del Generale in persona a Porcelli per l’acquisto di una nave da impegnare in successive azioni militari e, naturalmente, il denaro necessario all’operazione veniva dalla casa reale. Da quanto si è detto, si potrebbe trarre l’impressione che la storia della ferita fosse solo una trovata per camuffare la sua attività politica. E invece così non era, essa esisteva davvero e non lo lasciava in pace, tanto che Garibaldi si sottopose docilmente ai trattamenti a base di acqua termale delle fonti del Gurgitello e dell’Occhio, frequentò le stufe a S. Lorenzo (nella vicina Lacco Ameno), bevve l’acqua di Castiglione. Tuttavia, la cura fu travagliata e i risultati assai meno brillanti delle previsioni. La terapia la stabilirono i suoi medici personali, coadiuvati però dal dottor Antonio Mennella, casamicciolese ed esperto termalista, ma le modalità furono sbagliate, tanto che a un certo punto Mennella entrò in disaccordo con i colleghi, i dolori alla gamba ferita addirittura aumentarono e Garibaldi interruppe il trattamento. Non prima, però, di rischiare la vita. A raccontarlo, l’episodio fa sorridere, ma allora per poco non volse in tragedia: durante una delle sedute alle stufe (una sorta di sauna), i medici, rapiti dalla bellezza del panorama, dimenticarono il Generale all’interno della stufa stessa, dove, chiuso in uno scafandro che ne impediva i movimenti, si sottoponeva alle sedute a base di vapori caldi. Solo la prontezza di una vecchia inserviente che si accorse che il Nostro era sigillato da troppo tempo dentro lo stanzino, riuscì a sottrarlo a quella morte di cui, in mille battaglie e scontri in giro per il pianeta, era sempre riuscito a farsi beffa. Infatti, lo tirarono fuori esanime, si faticò non poco a rianimarlo e i dottori decisero una ‘congiura del silenzio’, stabilendo di tenere nascosto l’increscioso episodio. Tuttavia, avevano dimenticato la vecchia donna, che si vantò di come aveva salvato Garibaldi con il suo medico di fiducia, Tommaso Cigliano (foriano, ebbe la cattedra di omeopatia all’università di Napoli; era proprietario dell’originale palazzetto al centro del suo paese che reca il motto dell’omeopatia “similia similibus”). E il dottore, a sua volta, non riuscì a tacere la clamorosa rivelazione e spiattellò tutto ad un giornale inglese! Se Garibaldi sospese le cure, continuò, tuttavia, il soggiorno casamicciolese, in un crescendo di entusiasmo intorno alla sua persona. Oltre agli importanti incontri politici, una grande quantità di lettere, telegrammi, dispacci, documenti ufficiali gli vennero inviati e raccontano dei tanti, tantissimi cittadini, associazioni, logge massoniche, sindaci e amministrazioni che portarono saluti ed auguri all’illustre degente. E la folla che intendeva accorrere ad Ischia per omaggiarlo era tale che l’isola ricevette l’appellativo di “nuovo santuario di libertà”, proprio per l’ospitalità offerta all’Eroe. Tra le curiosità che si conservano, vi è l’annuncio di una compagnia di navigazione che comunica le corse speciali per Ischia destinate a chi voleva rendere visita “al nostro eroico liberatore Giuseppe Garibaldi” viaggiando “con un vapore che offre ogni agio, comodità e sicurezza”. E venne, infine, il giorno della partenza. All’alba del 19 luglio, Garibaldi s’imbarcò sul piroscafo che lo porterà definitivamente via da Ischia, ma nel lasciare l’isola, portò con sé qualcosa, o meglio qualcuno, che gliela ricorderà per sempre: ad accompagnarlo vi era, infatti, un contadino del posto che doveva aiutarlo a coltivare il suo orto-giardino di Caprera.