In primavera, e poi in autunno, dalla terraferma sono partite due indagini che, accompagnate da grande clamore mediatico (la prima è stata uno tsunami d’immense e distruttive proporzioni!), hanno colpito alcuni nostri rappresentanti politici (il sindaco Giosi Ferrandino* e il consigliere regionale Maria Grazia Di Scala) con provvedimenti restrittivi della liberà personale (nel caso del consigliere Di Scala mentre scrivo questo editoriale il Tribunale del riesame ha appena riconfermato le misure cautelari) che agli occhi di molti – certo ai miei – sono apparsi assai sproporzionati in relazione alla portata delle imputazioni. In entrambi i casi, i rispettivi Partiti d’appartenenza hanno fatto spallucce, mentre si è assistito ad una detestabilissima, avida morbosità dimostrata dai media nell’affannarsi a divorare delle vicende, evidentemente ritenute “succulente”. Tutto ciò mi spinge a pensare che sul continente si sia formato un granitico pregiudizio negativo, difficile da scardinare, ogni qual volta si parla di Ischia.
Cercherò di spiegare, almeno attraverso le mie lenti di lettura, il perché. Forse, inconsapevolmente, Truman Capote aveva riassunto in poche righe il nocciolo della questione: “Ho sempre pensato che le isole sono come delle grosse navi tenute permanentemente all’ancora. Metterci il piede sopra è come salire sulla passerella che unisce la nave alla terraferma: si è subito presi da un senso di meraviglioso isolamento e sembra che lì niente ci possa raggiungere e nulla di brutto o volgare ci possa accadere”. Dove per “volgare” si intende la contaminazione con la terraferma. L’indipendenza di un’isola rispetto al continente, o se preferiamo l’alterità (l’essere altro), è l’elemento di maggior distinzione – e quindi di contrappunto – che separa, per il solo fatto di essere circondato dal mare, un piccolo fazzoletto di terra dal resto del mondo. Ecco perché (la Storia ci insegna) quando un personaggio, per volontà o per pena, deve allontanarsi dalla comunità con la quale ha rapporti (siano essi buoni o negativi) si ritrova a vivere in un’isola. Fu così per l’imperatore Tiberio che volle allontanarsi da Roma, per Napoleone costretto all’esilio, per Garibaldi quando si ritirò a Caprera, per i grandi artisti che avvertono l’esigenza di creare distacco tra sé e il mondo, Neruda, Ibsen, Auden, Visconti o il più moderno Faletti. Ma l’isola si trasforma spesso anche in luogo di detenzione: l’Asinara, Ventotene, Procida, Nisida, la celeberrima Montecristo (solo per citarne qualcuna…), insomma la separazione dalla terraferma dona, sì, l’indipendenza ma relega anche nell’isolamento (appunto!). È, a mio parere, proprio questo l’aspetto che il “sistema sociale – politico, economico, culturale – della terraferma” non accetta e, in ultima istanza, condanna: ciò che non mi appartiene (e che non riesco a dominare) deve essere ricondotto all’appartenenza, o tutt’al più, posto in condizioni di non produrre interferenze. Proviamo a capire come tale aspetto condizioni la vita di Ischia nei livelli strategici, quindi sui piani economico e politico. Tanto l’impresa quanto la politica isolana sono assolutamente indipendenti dall’influenza della terraferma; non è da Napoli, né dalla Campania che giungono i grandi capitali di investimento (generalmente autoprodotti sul posto), e neppure dal continente arrivano voti o appoggi significativi per supportare gli esponenti della politica locale (Giosi Ferrandino, Domenico De Siano, lo stesso Francesco Del Deo devono il loro successo esclusivamente al potere elettorale che hanno saputo costruire sul posto; solo successivamente, alcuni di loro, hanno utilizzato questa forza per espandersi in terraferma). Questo mancato processo di osmosi (sia in positivo che in negativo, ovvero non arrivano aiuti ma neppure stroncature impattanti) determina che Ischia non sia controllabile. E sottrarre l’azione di controllo ai centri di poteri costituiti (politica, economia, mafia, cultura) equivale a proporsi quale “possibile rischio”. È pericoloso, infatti, tutto quanto non è gestibile (un cane rabbioso, un ordigno non disinnescato, una malattia inguaribile, un folle in libertà, un’impresa economica sfuggita al controllo, un politico disancorato dal Partito, etc.). Questo sentimento di prevenuta diffidenza nei confronti dei fenomeni (siano essi sociali, economici o culturali) ritenuti “indipendenti” genera, il più delle volte, rigetto. Dove, ovviamente, per rigetto non intendo un grossolano respingimento in blocco di qualsiasi manifestazione che provenga dal territorio insulare ma, semmai, un assai più sottile senso (tacitamente diffuso e condiviso) di scetticismo ed alterità, per cui l’isola viene sentita come un’entità da non dover promuovere e, in certe circostanze, addirittura da non dover difendere. Solo così mi spiego, ad esempio, come sia possibile che per quanto la regione Campania incassi dall’isola una importante quota di tassazione sul capitolo delle entrate (poiché Ischia produce circa il 25% di tutto il fatturato turistico della provincia di Napoli), non investa che pochi spiccioli sul nostro territorio in interventi strutturali ed infrastrutturali. Per tutte queste ragioni sono convinto che se il sindaco Giosi Ferrandino riuscisse ad occupare un seggio nel parlamento di Strasburgo, per Ischia questo evento costituirebbe una buona opportunità. Egli, infatti, avrebbe fra i suoi compiti quello di intervenire per modificare queste dinamiche che ci mortificano, riportando l’isola al centro del dibattito sul rilancio delle risorse del Sud Italia, e con ciò restituendo a questo territorio la dignità d’essere parte di un insieme, che attualmente tende ad allontanarlo da sé. Purtoppo, Ferrandino è risultato il primo dei non eletti, e nell’attesa di un possibile slittamento per guadagnarsi il seggio europeo, è precipitato al centro di un’inchiesta giudiziaria dai contorni assai opachi (al momento in cui scrivo, il PM dichiarandosi – sorprendentemente – incompetente, ha chiesto al Tribunale di Napoli di spedire gli atti alla Procura di Modena, dove già si svolge un altro troncone del processo che riguarda questa inchiesta, per continuare in quella sede il procedimento giudiziario!…) ed il suo nome, complice uno schieramento pressoché uniforme di giornalisti artatamente (e spesso opportunisticamente) indignati, si è guadagnato la ribalta a caratteri cubitali sulle copertine di tutta la stampa italiana. È in occasioni come questa che si è assistito (non senza sconcerto da parte mia) a come si consenta agli organi di informazione di dare sfogo a questo “deleterio senso comune di diffidenza” enfatizzando – spesso con estrema insolenza e dannosissima superficialità – gli aspetti più dolorosi della nostra quotidianità. È il vecchio leitmotiv “sbatti il mostro in prima pagina” che domina queste scelte. Dove il “mostro” è invariabilmente Ischia. E la cosa assume un carattere tanto più preoccupante in quanto, a differenza dei tempi di Tangentopoli, quando la magistratura si serviva della stampa per dare maggior enfasi alle proprie inchieste, oggi, nell’ “Era Renzi”, è la stampa a servirsi della magistratura. Le modalità con cui sono nate alcune grandi inchieste, una per tutte Mafia Capitale (che trae origine da un’importantissima indagine giornalistica de L’Espresso, “I 4 re di Roma”, che con due anni di anticipo aveva indicato al procuratore Pignatone la strada da seguire) supportano questa mia visione, e le stesse recenti, umiliantissime, dimissioni del sindaco Marino sono state originate da articoli di giornali e non certo da attività della magistratura (che, almeno fino ad ora, non sono state avviate). Tale capovolgimento di ruoli, che solo in rarissimi casi assume contorni virtuosi, assai più spesso appare inquietante: è evidente, infatti, come in Italia la Giustizia sia in affanno e soprattutto risenta eccessivamente delle pulsioni dettate dall’opinione pubblica, che a sua volta rischia di essere manipolata con freddo cinismo da un uso molto scorretto degli organi di informazione. E così torniamo al pregiudizio che danneggia Ischia: non credo che esista un progetto lucido e definito per affossare l’isola, ma sono convinto che ci sia – questo sì – un tacito e condiviso senso comune che spinge chi non ci conosce a diffidare di noi a causa della nostra eccessiva indipendenza, e così basta un piccolo spunto per titillare la perfida morbosità di chi ci vorrebbe “normalizzati” all’interno di un sistema controllato dalla terraferma.
*Ndr. Nell’inchiesta sugli appalti della CPL Concordia ad Ischia è stato coinvolto anche Silvano Arcamone, dirigente dell’UTC di Ischia che, come il sindaco Ferrandino, ha patito misure restrittive della libertà ed il cui iter giudiziario ha seguito lo stesso identico destino di quello del primo cittadino. Quindi, ancorché Arcamone non sia un personaggio politico, è stato coinvolto nelle medesime aberranti dinamiche.