Friday, November 22, 2024

IN NOME DI DIO, TI AMMAZZO DOMENICO QUIRICO:

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Un incontro che ti modifica le convinzioni di tutta un’esistenza .

La mia formazione laicocristiana innervata in un credo socialista m’ha sempre spinto ad invocare instancabilmente l’idea di integrazione legandola alla cultura della tolleranza; lontano dalle guerre di religione, dalle realtà di asperrimi scontri razziali e cullato nel ventre di una società ricca e pacifica ho vissuto i miei primi 50 anni pensando che il mondo potesse abbracciare la globalizzazione assorbendo le diversità attraverso un colossale programma di amalgama culturale che procedesse per approssimazioni successive, pacifiche e irrefrenabili. Domenico Quirico m’ha posto (brutalmente) davanti alla fallacità delle mie convinzioni. I recentissimi attentati di Parigi, Tunisi e ovunque nel mondo dimostrano incontrovertibilmente che una politica di accoglienza che si illuda di poter integrare una cultura tanto “altra” quanto estranea, se non addirittura ostile, semplicemente con l’idea di concedere la cittadinanza del paese ospitante, è una politica fallimentare. La nostra mentalità occidentale non ci permette di comprendere l’enorme e profondissima diversità di formazione ideologica, religiosa e culturale che ci allontana da quei popoli che vivono secondo impostazioni assai diverse dalle nostre. Noi europei, semplicemente, non abbiamo gli strumenti per capire il grave pericolo che l’intero Occidente vive se non si apre ad uno studio di questo fenomeno che, secondo Domenico Quirico, si riduce ad una semplicissima scelta: o noi o “loro”.

Sembra che Obama abbia preso una decisione epocale: d’ora in poi le famiglie dei prigionieri americani potranno pagare i riscatti. Questo secondo te cambia qualcosa nella scena internazionale?
Può cambiare molto per la vita di alcune persone, nel senso che se uno era americano o inglese, anglosassone diciamo così, anche prima dell’avvento del califfato se veniva sequestrato non aveva alcuna possibilità di tornare a casa. Da questo momento, in teoria, anche gli americani hanno la possibilità di sopravvivere ad un sequestro. Spesso mi sono chiesto come avrei vissuto la mia prigionia se avessi avuto un passaporto statunitense, sapendo che il mio Paese mi aveva automaticamente abbandonato. Vedo che, con molto ritardo e molta ipocrisia, la normativa americana fa sì che i parenti dei sequestrati possano pagare un riscatto e lo Stato, in questo modo, se ne tiene fuori. Da un punto di vista politico, questa scelta secondo me costituisce un segno di debolezza, di ritirata. L’America è il soggetto storico più pericoloso in questo momento, perché agisce e pensa come se fosse una grande potenza, ma in realtà non lo è più, e di conseguenza può commettere gli errori più grossi, sia come azioni che come omissioni. Per esempio, adesso anche negli USA non c’è più nessuno in grado di pagare il prezzo politico di una vera guerra in Medio Oriente, perché ai primi dieci morti americani ci sarebbe una tale sollevazione dell’opinione pubblica da far crollare il mondo addosso al Presidente. Questa è la vera debolezza degli americani. In termini militari, invece, è ovvio che sono diecimila volte più forti del califfato, ma questo è solo un aspetto del problema: bisogna chiederci se loro si possono permettere di usare quella potenza, in certe condizioni e in certi luoghi, e la mia risposta è no.
Perché parli di sopravvivenza a un sequestro da parte di milizie islamiche solo “in teoria”?
Dico in teoria perché con l’avvento del califfato tutto è cambiato. Io ora sto qua a parlare con te perché sono stato sequestrato in un momento in cui il califfato era nascente, e non aveva ancora applicato determinate regole. Oggi, se vieni rapito da loro, puoi offrirgli cento milioni di dollari in oro, e non ti rilasciano. Perché ora sequestrano non per denaro, di cui dispongono a profusione, ma per avere un oggetto, una cavia su cui procedere alle proprie strategie comunicative, ovvero ucciderla. Per questo dico che adesso la possibilità di sopravvivere a un sequestro da parte di forze legate al califfato è praticamente inesistente.
Facendo un discorso non immorale ma amorale, cioè sospendendo il giudizio morale sui fini della loro azione, non credi che sia geniale la strategia di guerra con cui si sta muovendo il califfato?
Assolutamente sì, il califfato utilizza un carnet di strategie estremamente vasto, adattato alle differenti realtà locali. Fa una guerra tradizionale, esercito contro esercito in Siria ed Iraq e conquista territori, amministra città, caccia via gli altri tenendoli fuori dalle sue frontiere. Fa una guerra non tradizionale dove non ha la forza necessaria per battersi direttamente contro gli eserciti di quei paesi, parlo ad esempio della Somalia dove fa operazioni di guerriglia, in Nigeria è passato dalla guerriglia alla guerra tradizionale, dopo aver cacciato l’esercito nigeriano dalla parte nord-est del paese; in altri luoghi ancora, dove non è presente se non con unità singole e non ha la forza per occupare, si serve degli strumenti tradizionali del terrorismo, quindi attentati, attacchi con bombe, autobombe, tutto quello che era il “menù” di Alcaeda. La genialità sta nella capacità di manovrare in modo estremamente duttile, elastico e veloce ognuno di questi mezzi, sconcertando l’avversario, imponendoci scenari diversi, come Occidente abbiamo perso l’iniziativa strategica col califfato, gli corriamo dietro.

Mi ha colpito la teatralità con cui i terroristi dell’Isis inscenano le loro esecuzioni, l’uso dei camicioni arancioni, la sfilata dei prigionieri: insomma, queste uccisioni sono curate nei particolari. E’ forse il perfezionamento di quello che è accaduto alle Torri gemelle?

Io ho un’idea un po’ diversa, che mi sono fatta parlandone con loro. Noi crediamo che tutto questo venga confezionato per un pubblico occidentale, ma non è così, è per il loro circuito comunicativo che lo fanno. Certe immagini, che a noi paiono strazianti, orrende, da girarsi dall’altra parte (insomma il contrario della comunicazione), i musulmani le guardano e si esaltano, ne traggono “lezioni di storia contemporanea”. Vedere un combattente dell’Islam che uccide un americano a noi sembra un delitto, ad un musulmano sembrerà la manifestazione di un’inversione del corso della storia in questa direzione: “E’ arrivato un tempo in cui alcuni di noi hanno preso il coraggio di sgozzare un americano, mentre prima i musulmani li tenevano a Guantanamo, con addosso il camicione, aizzandogli contro il cane e sputandogli contro, la forza ora ce l’ha l’Islam, gli occidentali sono meno forti di come dicono, quindi si possono eliminare”. E’ per questo tipo di messaggi che il video viene confezionato. Sentivo un conduttore di Sky che diceva che non avrebbero più trasmesso i loro video, e mi è venuto in mente un comandante delle file Jihadiste che ho conosciuto quando sono stato prigioniero: quante risate si sarebbe fatto sapendo che non gli trasmettevano più il video! A lui che importa, come se dovesse preoccuparsi del fatto che Sky non fa vedere a 500mila italiani lo sgozzamento di un americano… Che lo vedano 1 miliardo e 300 milioni di islamici dall’Indonesia alla periferia di Marrakesh, quello gli interessa! Noi non capiamo di essere un ‘effetto secondario’ della loro offensiva, infatti la loro strategia iniziale è impadronirsi ed unificare il mondo dell’Islam. Quando questo mondo sarà purificato dagli eretici, dai blasfemi, dagli sciiti, insomma quando avranno ripulito la terra del loro dio da quelli che ci hanno messo i piedi dentro e sono falsi musulmani (come è scritto nel Corano), corrotti dal contatto con l’Occidente, che vanno vestiti come gli occidentali, che fanno i “cani da salotto” nei villaggi turistici, quando avranno fatto tutto questo dall’Atlantico al Pacifico, allora cominceranno ad occuparsi della ‘terra delle tenebre’, dall’altra parte del mare – come è scritto sempre nel Corano – cioè di noi. Fra 10, 20 anni – quando appunto avranno ripulito la terra di Dio dalla sporcizia che vi si è depositata mentre erano poveri, deboli e umiliati – saranno anche diventati abbastanza forti come potenza militare, e potranno confrontarsi con noi. Questo è il loro disegno: qualcuno dice che le mie sono visioni esagerate, da manicomio, forse sarà vero, ma questo è ciò che mi hanno raccontato mentre ero in Siria. Pensavo che i tempi sarebbero stati lunghi, invece in un anno hanno fatto un percorso incredibile, e sono più forti di prima. E nessuno si sogna di andare a spostarli da lì, perché se tu elimini tutte le chiacchiere di questi leader occidentali… Cosa resta? Cosa ha detto il presidente francese Hollande dopo l’ultimo attentato (Ndr. L’assalto alla fabbrica di bombole del gas presso Lione)? “Non ci faremo intimidire”! Le stesse parole pronunciate dopo la strage presso il giornale Charlie Hebdo, e dal suo predecessore Sarkozy a seguito di altri attentati avvenuti in Francia. Bene, e poi?

L’Europa non esiste? Com’è possibile?
No, l’Europa non esiste, ma questo è un discorso complicato. L’Europa è presente, forse troppo, in certi settori come l’economia che in Occidente è considerato ciò che conta, oggi i veri capi di Stato sono i ministri dell’economia, i direttori delle grandi banche centrali. In quel senso lì l’Europa esiste. Invece, per comprendere il versante della politica, ti faccio un esempio classico, ciò che accadde negli anni ‘30 del secolo scorso ed è un ragionamento che riguarda gli uomini: da una parte c’era un tizio esaltato e tremendo che incantava, magnetizzava un popolo tra i più civili e più importanti del mondo, che si dava da fare quotidianamente per compiere genocidi e costruire un potere mondiale, dall’altra parte chi c’era? Chamberlain. Con il suo ombrello, la bombetta, un notaio di paese. Oggi da una parte c’è un tipo – diamo una faccia al califfato, Abu Bakr al-Baghdadi, per esempio – che con tre parole scatena una serie di assassini, di attentati, che sta costruendo l’unificazione di un mondo dopo un secolo, che ha già cancellato Stati, che ha sterminato, fatto fuggire intere religioni come i cristiani, che non ci sono
più, e vivevano in quei territori da mille anni. E dall’altra parte chi c’è? Hollande, Cameron, la Merkel, Obama. Questi sono i “Chamberlain” dei nostri giorni, non hanno più l’ombrello e la bombetta, hanno il tablet, ma è esattamente lo stesso: da una parte c’è un profeta selvaggio, che è convinto di operare nel nome di un dio immanente e dall’altra non c’è nessuno. Quindi, tu la consideri una lotta tra uomini e non una lotta tra sistemi?
È anche una lotta tra uomini, gli uomini sono l’incarnazione dei sistemi e la leadership occidentale è il problema. Viviamo in un’epoca in cui un miliardo di uomini aspetta disperatamente dei profeti anche feroci, ma dei profeti, non dei chiacchieroni.
In che momento della storia si ha bisogno di un profeta?L’Europa non esiste? Com’è possibile?
No, l’Europa non esiste, ma questo è un discorso complicato. L’Europa è presente, forse troppo, in certi settori come l’economia che in Occidente è considerato ciò che conta, oggi i veri capi di Stato sono i ministri dell’economia, i direttori delle grandi banche centrali. In quel senso lì l’Europa esiste. Invece, per comprendere il versante della politica, ti faccio un esempio classico, ciò che accadde negli anni ‘30 del secolo scorso ed è un ragionamento che riguarda gli uomini: da una parte c’era un tizio esaltato e tremendo che incantava, magnetizzava un popolo tra i più civili e più importanti del mondo, che si dava da fare quotidianamente per compiere genocidi e costruire un potere mondiale, dall’altra parte chi c’era? Chamberlain. Con il suo ombrello, la bombetta, un notaio di paese. Oggi da una parte c’è un tipo – diamo una faccia al califfato, Abu Bakr al-Baghdadi, per esempio – che con tre parole scatena una serie di assassini, di attentati, che sta costruendo l’unificazione di un mondo dopo un secolo, che ha già cancellato Stati, che ha sterminato, fatto fuggire intere religioni come i cristiani, che non ci sono
più, e vivevano in quei territori da mille anni. E dall’altra parte chi c’è? Hollande, Cameron, la Merkel, Obama. Questi sono i “Chamberlain” dei nostri giorni, non hanno più l’ombrello e la bombetta, hanno il tablet, ma è esattamente lo stesso: da una parte c’è un profeta selvaggio, che è convinto di operare nel nome di un dio immanente e dall’altra non c’è nessuno. Quindi, tu la consideri una lotta tra uomini e non una lotta tra sistemi?
È anche una lotta tra uomini, gli uomini sono l’incarnazione dei sistemi e la leadership occidentale è il problema. Viviamo in un’epoca in cui un miliardo di uomini aspetta disperatamente dei profeti anche feroci, ma dei profeti, non dei chiacchieroni.
In che momento della storia si ha bisogno di un profeta?

Tornando all’esempio degli anni ‘30, i tedeschi avevano bisogno di un profeta, e lo stesso vale per quelli che hanno dato la vita per il comunismo staliniano! Il comunismo è stato una straordinaria febbre laica, assimilabile a quella che si vive oggi nel Medio Oriente. C’era della gente che votava la propria vita alla vittoria della rivoluzione mondiale, alla nascita dell’uomo nuovo comunista, alla fine delle classi, pur non vivendo in Russia. E che cos’era? Un califfato laico! Gente che è morta, si è immolata e ha ammazzato, facendo cose terrificanti in nome del comunismo. Il problema è che i due grandi avversari, noi e loro, hanno incarnazioni diverse, l’attuale leadership occidentale è fatta da mediocri, che vanno benissimo nelle epoche normali, ma questa temo stia diventando un’epoca eccezionale, in cui la storia del mondo rischia di cambiare, l’asse del mondo rischia di rovesciarsi. A questo punto non bastano più i twitter di uno che va in motorino a trovare l’amante, o di un altro che regala la maglia della Fiorentina a tutti quelli che incontra. Non basta più!

Questa è anche una guerra economica, oltre che culturale?

Da parte loro è solo una questione di religione. Mi dicevano che sono contro gli occidentali perché sono vigliacchi, attaccati alle cose che hanno, le nostre preoccupazioni sono la macchina, la bella casa, le vacanze, i vestiti, l’amante…. A loro non gliene frega assolutamente niente, il denaro gli serve per i fini che devono raggiungere, è uno strumento di Dio. Non hanno paura di diventar poveri, lo sono già. Ma, attenzione, non è una lotta di classe, è una lotta fra puro ed impuro. Una cosa molto più complicata. Quando stavo lì, i miei carcerieri non mi hanno mai toccato, li potevo contagiare in quanto occidentale, nel mio essere fisico ero l’ebola vivente. Allora, capisci che con gente del genere, discorsi economici come quelli sulle risorse petrolifere, il denaro, non fanno presa: loro oggi sfruttano i pozzi perché si devono finanziare, ma domani possono minarli e distruggerli. Gli attacchi in Tunisia vengono fatti per punire il paese che si è venduto all’Occidente,sterminando gli stranieri. E poi, una volta ottenuto il potere, non è che fanno tornare i turisti perché hanno bisogno di soldi, sotto gli alberghi ci metteranno la dinamite e basta.

Noi occidentali a questo punto non abbiamo nessuno strumento per controbattere una visione del genere: è un mondo che non capiamo il loro?
Infatti, secondo me non c’è possibilità di dialogo. Non c’è una scelta, semplicemente cercano di imporsi su di noi.

Allora, si deve tornare all’idea di una “sentinella del mondo”, come venivano definiti gli Stati Uniti nel secondo dopoguerra? Il militarismo americano, quindi, è utile?
La domanda da porsi è: vuoi sopravvivere? Se c’è qualcosa che ti vuole cancellare, cosa puoi fare di diverso? Prendendo ancora un esempio dalla storia, se non fossero intervenuti gli Stati Uniti, Hitler sarebbe ancora a Berlino! La Seconda guerra mondiale l’ha vinta una potenza industriale che è sempre stata al di fuori della possibilità di essere colpita dall’alto. Allora gli USA sono stati utili sì, certo! Poi che tutto questo si motivasse all’interno di un loro gioco strategico di controllo delle forze presenti in campo…direi che è banale e inevitabile.

Ci può essere rispetto da parte dell’Occidente per una cultura totalmente diversa dalla nostra, sperando che si possa convivere?
No. Non verso una cultura totalitaria come quella dell’Islam.

Vorrei farti una riflessione provocatoria. Molto tempo fa c’era una donna in un paese islamico per cui si raccoglievano le firme, per salvarla dalla lapidazione. Io dopo un lungo ragionamento non me la sono sentita di firmare, perché non trovo giusto di “entrare” in un altro paese e dire loro cosa fare, se hanno una cultura molto diversa dalla mia. Anche perché io la loro cultura non la capisco.

Capisco il tuo ragionamento, mi sembra un po’ vecchio, però, rispetto al califfato. Nel senso che il califfato in quanto struttura totalitaria, discrimina gli uomini uno ad uno, non secondo delle categorie di pensiero, e li elimina, questo è il problema. Non ci troviamo davanti ad un sistema autoritario che costringe certe persone a vivere una vita di serie B o non gli concede alcun margine di potere, queste sono le dittature arabe classiche (per capirci Mubarack, Ben Alì o Gheddafi). Il problema è che l’Isis fa una distinzione fra i singoli uomini, e decide se eliminarli sparandogli in testa o lasciarli vivere secondo un criterio che è quello dell’appartenenza alla loro unica vera religione, nella versione wahabita. Allora, di fronte ad una separazione degli esseri umani così inumana, non c’è modo di confrontarsi e dobbiamo difendere quantomeno la consistenza teorica
di ciò che proclamiamo, cioè che ognuno vale per sé, e indipendentemente da quello che è. Siamo quello che siamo essendoci costruiti nel tempo con enorme fatica, con grandi passi indietro, perché anche noi abbiamo avuto i nostri roghi e crociate, anche crociate interne, come quelle contro gli albigesi e gli ugonotti… Le nostre ‘notti di San Bartolomeo’ (Ndr. Riferimento ad una delle stragi religiose compiute in Europa nel XVI sec. dai cattolici a danno dei protestanti francesi, detti Ugonotti) sono più numerose di quelle che ha compiuto il califfato finora, per ragioni di tempo, se non altro.

Quindi, pensi che si potrebbe scatenare una guerra molto più ampia?

Secondo me sì e si stanno accelerando i tempi. Le loro offensive diventeranno sempre più numerose, in luoghi che faranno sempre piu male; oggi ci sono già delle terre “perdute” come Siria ed Iraq, nel senso che gli Stati precedenti non torneranno più.

In questo senso, paradossalmente, è di forte attualità il ragionamento secondo cui c’è bisogno di un certo numero di dittatori per la stabilità del mondo…
È un discorso difficile. Il fatto che abbiamo eliminato Gheddafi – per carità, legittimamente, era una canaglia diciamolo – ma adesso stiamo cercando un altro Gheddafi, e ugualmente dopo aver lasciato cadere Mubarak, in Egitto, applaudiamo a un “altro Mubarak”, un po’ più magro e un po’ più giovane, è la dimostrazione matematica dell’inconsistenza delle nostre strategie politiche. Gli altri sono razionali nel loro fanatismo, fanno calcoli, guardano agli avversari, osservano le reazioni e agiscono di conseguenza. Noi, invece, tutte
le volte che succede qualcosa ci muoviamo in ordine sparso, discutiamo, produciamo fiumi di parole, promettiamo di aiutare i curdi come gli sciiti in funzione anti califfato, ma alla fine nulla di concreto.

Stai delineando il quadro di due mondi separati e chiusi, come confermano anche gli attentati, eseguiti da persone naturalizzate nei paesi dove si sono poi trasformati in terroristi. Questo significa che accettarli, accoglierli e fare un lavoro di acculturamento, non serve a nulla?

Non serve a niente: il fatto è che la seduzione esercitata da un certo mondo musulmano è molto più forte della nostra. Il nostro percorso storico ci ha portato, con grandi vantaggi, a pensare che il problema di Dio non esiste, o se esiste è a livello individuale. Ma nel caso dei musulmani, il problema di Dio esiste, perché c’è un miliardo e trecentomilioni di persone che vivono la loro vita attorno al problema di Dio, alla parola “Dio”. Allora, da una parte c’è l’ossessione di Dio, dall’altra c’è l’assenza di Dio. La chiesa Cattolica un tempo era come l’integralismo islamico, finché ha avuto la possibilità pratica di manifestare questo integralismo. Ad un certo punto, gli Stati nazionali le hanno imposto di diventare tollerante, cioè di abbracciare in un certo senso un principio opposto a quello di una religione monoteista, che come tale riconosce solo a se stessa di detenere la verità.

Tu sei credente? Sì, lo sono.

Problema nel problema, secondo me l’Italia sta gestendo abbastanza male la questione dell’immigrazione. Secondo te, cosa si dovrebbe fare?

Quello dell’integrazione è uno dei problemi più complessi e inestricabili del mondo moderno. Non esistono ricette assolute, bisogna tenere sempre presente come cambia la realtà. Se noi avessimo dato una risposta diversa al problema dell’immigrazione, anzi della migrazione, cosa ben diversa, perché è uno spostamento di popoli (in Africa ho visto interi paesi svuotati), se avessimo avuto atteggiamenti diversi dall’indifferenza e dal rifiuto, probabilmente avremmo tolto all’islamismo radicale molti argomenti, o comunque avremmo creato una generazione che tornando nei propri paesi, avrebbe portato un messaggio diverso. Invece respinti, rispediti a casa, considerati come dei ladri che venivano nel nostro paese per rubarci i soldi, cosa hanno fatto? Hanno votato per gli islamisti.Che cosa gli restava? Qual era l’alternativa? Il problema è se queste persone, i migranti, cominceranno a lavorare per il califfato: al momento non è così, questa visione oggi esiste solo nelle chiacchiere di Salvini. Fino ad ora, peraltro, l’Isis non controllava le zone dove i migranti si fermavano, ma oggi quelle persone tornate nel loro paese, che non hanno più niente, non hanno più speranze, diventano facili prede: sarebbe un pericolo enorme se parte di tutti quei migranti entrassero nelle milizie del califfato. La Tunisia, per esempio, non è come la raccontano in televisione, sono totalmente diversi da noi e ormai tutti islamici. Gli islamisti hanno fatto un lavoro di seduzione, è gente abilissima, un po’ di denaro a chi non l’aveva, un po’ di violenza e di paura, perché se non fai come dicono loro ti ammazzano e i risultati ci sono: solo l’1% del paese lavora con il turismo, il resto è quinto mondo, poverissimi e già tutti integralisti.

Cosa significa vivere sapendo che in ogni momento ti potrebbero ammazzare, com’è successo a te?

Io pensavo di essere già morto, di non essermi accorto di essere già morto: quella forse è la concezione dell’inferno, essere chiuso in un posto dal quale non si può uscire. Spero di averti risposto.

#interview #politics #isis

Nelle foto, alcuni dei principali protagonisti dello scenario politico internazionale ricordati nell’intervista: Francois Hollande, Barack Obama,Angela Merkel, Mu’ammar Gheddafi, papa Francesco I con il patriarca della chiesa ortodossa turca.

Interview_Riccardo Sepe Visconti

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