In quel pomeriggio assolato cominciai a pensare per la prima volta seriamente all’estetica dell’assenza, dell’omissione. Il modernismo ha instillato nel creatore responsabile l’idea che certe scelte artistiche non siano più possibili. Scrivere come x, dipingere come y, comporre come z diventa prova di una mancanza di serietà, di una non voglia di appartenere veramente al presente artistico.
“Di qui è facile passare all’idea che la serietà di un artista, la misura del suo talento e la stima del suo valore – la triangolazione che consente a ciascuno di calcolare l’altezza del proprio ’rilievo’ – è data da ciò che gli sembra impossibile, intentabile, irraggiungibile, proibito, proscritto, interdetto, negato. Un artista dovrebbe essere valutato per ciò che non ha fatto: un pittore per le sue tele abbandonate e intentate, un compositore per la durata e l’intensità del suo silenzio, uno scrittore per il suo rifiuto di pubblicare o anche soltanto di scrivere.
Si fa presto a capire che la parte più importante dell’opera di un artista è il lavoro che egli sa di non poter più intraprendere. (…) Le opere create in senso più pieno da un artista – quelle che ha pensato e capito più a fondo – sono quelle in cui egli non si cimenta. L’artista vive con un’idea, coabita con essa, la sonda, la saggia, finché trova la ragione per cui essa è impossibile… in quel momento, sicuramente, egli l’ha compresa più a fondo, l’ha davvero creata in senso più assoluto di quanto non faccia il suo meno sagace Doppelgaenger il quale, fatalmente e sconsideratamente, commette l’ingenuo errore, di sicuro affascinante e purtuttavia madornale, di affidare effettivamente i suoi pensieri alla carta, alla tela o al pianoforte (…).
Da Gola di John Lanchester, ed. Guanda, pp. 72 e ss.
Text_ Riccardo Sepe Visconti Photo vernissage_ Dayana Chiocca
Queste riflessioni sull’arte dal contenuto al limite del paradossale del giornalista e scrittore inglese Lanchester mi richiamano alla mente le immagini realizzate dal fotografo Jean-Marie Manzoni (nelle foto, la sua ultima mostra Sarabanda, tenutasi alla torre di Guevara a Ischia). Ancor prima dell’opera stessa, infatti, lo stile del suo lavoro artistico si sostanzia del non detto – piuttosto che di ciò che viene esplicitato. L’artista accantona i colori per il bianco e nero, non dà alcuna importanza ai luoghi in cui vivono gli animali che ritrae, non viene descritto il mare, né la savana e, in realtà, neppure il soggetto principale – che sia un uccello o un bufalo. Vengono fermati dallo scatto piuttosto la picchiata dell’uccello, il ruggito del leone, l’incornata fra i bufali: un’estrema sintesi, insomma, il resto per lui rimane al di fuori dell’inquadratura. Anzi, Jean-Marie crea un’emozione proprio attraverso ciò che sottrae, che non c’è, fino al punto che il valore della sua opera è in ciò che ha avuto il coraggio di togliere, considerandolo inutile orpello per la rappresentazione.
Jean-Marie Manzoni fotografo lo è diventato costruendo la sua vita professionale in ambiti che sono agli antipodi: prima fotoreporter per una testata giornalistica ginevrina, poi autore di immagini in still life per grandi aziende svizzere produttrici di orologi di lusso. “Fare il reporter è un lavoro che ti fa stare sempre sul filo del rasoio – spiega. Devi tornare con una foto degna di essere pubblicata, sei in competizione con altri grandi fotografi e questo è molto stressante: ho ritratto John Lennon, scattato il ’68 francese, i funerali di De Gaulle, la guerra dei sei giorni, i giochi olimpici. Una foto di reportage, al di là del fatto che deve costituire una documentazione, contiene una sua dose di ambiguità, perché ha sempre un taglio che esprime il pensiero, i sentimenti con cui il fotografo giunge davanti al soggetto”. Ed è per questo, forse, che ad un certo punto Jean-Marie ha preferito dedicarsi solo a splendidi oggetti come gli orologi. Ma quando può fare ciò che davvero gli piace, riprende a essere un reporter, spinto però da tensioni diverse. Oggi i protagonisti della sua instancabile ricerca dell’essenza – del movimento, della forza, della bellezza, della vita – sono infatti gli animali selvaggi, leoni, bisonti, orche, orsi, meduse e tanti, tanti uccelli. Insieme alla moglie Maggie va a cercarli nel loro mondo, in Africa, California, Alaska, imparando le loro abitudini, aspettandoli per ore sulla sponda di un fiume o lungo una pista per poi avere pochi secondi a disposizione per scattare…