Text_ Silvia Buchner Photo_ Romolo Tavani
A guardarlo dal basso mostra una superficie verde, densa, apparentemente invalicabile: così è il monte Epomeo nella parte che affaccia verso Casamicciola. Eppure, sotto le chiome dei castagni, fra i loro tronchi fitti esiste un reticolo di sentieri, passaggi, radure. Un tempo brulicanti di vita, di persone che avevano nel bosco un’importante risorsa, dalla legna, alla caccia, alla raccolta di funghi e castagne, cui si aggiunse in certe epoche addirittura lo sfruttamento di giacimenti minerali – argilla, caolino, allume – come vedremo subito per quest’ultimo. Ma, anche oggi gli ischitani che ‘vivono’ i boschi sono più di quanti s’immagina, molte famiglie ne posseggono appezzamenti e ne conoscono tutti i segreti: con questa passeggiata dalla località Campomanno a Casamicciola Terme fino alle fumarole di Monte Cito, al confine con Lacco Ameno, realizzata con la guida di Giampaolo Castagna, vogliamo portare i lettori a conoscere un ‘mondo altro’ a poche centinaia di metri dalle vie asfaltate, dove la luce, i profumi, l’atmosfera avvolgono chiunque vi entri. Si inizia dal piazzale del Celario, presso piazza Maio, nella parte alta di Casamicciola: già qui il panorama è di quelli che non si dimentica e sulla nostra testa si erge in tutta la sua imponenza la parete Nord del monte Epomeo, quella più ripida, interamente coperta dal bosco, appunto. Le prossime ore le trascorreremo lì, nel regno del castagno, che nelle zone meno soleggiate dell’isola qual è appunto questa, si estendeva (e oggi rimane, comunque, dominante, anche se la costruzione di strade e case che si spingono anche nelle zone impervie, l’ha fatto arretrare) addirittura dai 100 ai 700 metri sul livello del mare, quindi quasi fino alla cima più alta. Ancora oggi in questa zona, periodicamente, si effettua il taglio delle ceppaie, che garantisce il fatto che le piante crescano bene e contribuisce, perciò, in maniera fondamentale alla prevenzione del rischio idrogeologico, in quanto alberi sani svolgono in maniera ottimale l’importante compito di trattenere con le loro radici il suolo, qui molto friabile. Dopo aver percorso meno di un chilometro di una stradina stretta ma ancora asfaltata (via Campomanno), una deviazione sulla destra si inerpica verso il bosco. Addentrandosi, si giunge ad un pianoro che custodisce strutture che potremmo definire di archeologia industriale: in mezzo ai ceppi di castagni appena recisi, in parte coperti dalla macchia mediterranea, ma comunque ben visibili, emerge, infatti, una serie di fosse di forma conica, rivestite di pietre regolari e di vasche larghe e dal fondo basso, ricoperte sulle pareti con un battuto di malta e mattoni sbriciolati e collegate fra loro da canalette. I casamicciolesi le chiamano ‘caulare’, cioè caldaie, e danno questo nome anche alla località, anticamente chiamata anche piazza de la Pera. Fosse e vasche sono gli ultimi resti di un impianto che lavorava l’alunite, un minerale che si cavava a vari chilometri di distanza. Qui, infatti, si avevano a disposizione sia l’acqua in abbondanza, grazie alla presenza di sorgenti, che il combustibile da ardere, il legno di castagno, essenziali al processo di lavorazione che consentiva di ottenere dal minerale l’allume. Oggi, troviamo l’allume di rocca accanto al rasoio degli uomini più anziani, che ancora hanno l’abitudine di tamponare le piccole ferite causate dalla rasatura usando una piccola pietra biancastra che ha un forte potere emostatico, e altro non è appunto che allume, ma un tempo esso era indispensabile per la concia delle pelli, la tintura dei tessuti, la fabbricazione del vetro, l’estrazione dell’oro e mille altre attività. E quando le imponenti miniere di allume presenti in Turchia furono precluse all’Europa a causa delle guerre a sfondo religioso con le popolazioni musulmane, naturalmente si cercò la preziosa sostanza più vicino e se in Toscana vi era il più grande giacimento di tutto il vecchio Continente (la città di Allumiere deve il suo nome all’attività di estrazione che vi si faceva), tuttavia tra il ‘400 e il ‘600 anche filoni del minerale più modesti come quello di Ischia furono assai sfruttati, benché pare che la qualità non fosse eccelsa. La nostra passeggiata ripercorre a ritroso proprio il cammino dei carretti colmi di alunite (e ancora oggi il tracciato viene chiamato via dei Carri), che dalle fumarole di Monte Cito, dove si formava e veniva cavato, era portato per la lavorazione fino alle Caulare di Casamicciola, appunto. Il giacimento di alunite fossile allora sfruttato si trovava nelle località monte Bianchetto e Crateca, assai vicine a Monte Cito, dove ancora oggi si forma grazie alla vigorosa attività delle fumarole. La presenza di acque termali a ph acido, infatti, attraverso una serie di reazioni chimiche, altera e disgrega i tufi vulcanici caratteristici dell’isola d’Ischia, dando vita al minerale. Dove oggi ci si deve fare largo nel bosco invaso dalla esuberante vegetazione spontanea c’era un sentiero in alcuni punti anche rivestito con blocchi di pietra, lungo il quale con fatica i muli trascinavano i blocchi che custodivano al loro interno la preziosa sostanza fino alle Caulare. Lì subiva trattamenti di calcinazione, lavatura, bollitura nelle caldaie per purificarla e, una volta estratto finalmente l’allume, sotto forma di cristalli era riposto in casse che si trasferivano sulla costa, dove veniva imbarcato per la terraferma. L’attività per un paio di secoli fu intensa dando lavoro a tanti abitanti, al punto che la marina di Casamicciola si chiamava l’Alumiera. Il segno più evidente, anzi maestoso, che possiamo vedere ancora oggi e che lascia immaginare come doveva essere la via dei Carri quando era percorsa da uomini ed animali in attività, è data dagli alti muri a secco. Se, infatti, ‘parracine’ ne incontriamo spesso e volentieri lungo i percorsi che attraversano l’interno dell’isola, tuttavia quelle che caratterizzano tuttora per molte centinaia di metri la zona che collega le Caulare a Monte Cito sono vere realizzazioni murarie. Fiancheggiano il sentiero ergendosi in alcuni punti anche fino a tre metri, formate da blocchi grandi e perfettamente sagomati: intorno, ovunque, il castagneto è fittissimo, fino a quando si arriva finalmente al pianoro di Monte Cito da dove, invece, lo sguardo può correre libero da Casamicciola fino al promontorio di Zaro, passando per Lacco Ameno. Ma qui vale assolutamente la pena di osservare con attenzione il suolo: esso assume, infatti, colorazioni speciali che vanno dal rosso carminio al giallo intenso e, toccandolo, si percepisce chiaramente che emana un forte calore e si sente distintamente odore di zolfo. Siamo, infatti, in uno dei campi fumarolici attivi dell’isola (altri sono a Forio). Se, infatti, da oltre 700 anni Ischia non ha più assistito a eruzioni vulcaniche, sono ben evidenti quelle che i geologi chiamano “manifestazioni secondarie del vulcanesimo”: una è costituita dalle acque termali e l’altra, appunto, dalle fumarole, che si formano quando i gas trovano una via libera per la superficie attraverso una faglia e, a contatto con le rocce, le modificano chimicamente e si manifestano tutti quei fenomeni che si notano così bene a Monte Cito. Addirittura, il forte calore che viene dalle viscere della terra ha creato un microclima perfetto per piante che oggi possono vivere esclusivamente qui. A Monte Cito sono ben visibili, per esempio, robusti ciuffi di Cyperus polystachyus, vegetale diffuso a Ischia come nel resto d’Europa quando l’isola e il continente avevano un clima molto diverso, di tipo tropicale, e che adesso cresce solo dove l’attività delle fumarole, appunto, ricrea un ambiente caldo-umido, mentre altrove è scomparsa.