Piccoli tasselli, uno dopo l’altro. Per un mosaico composito che domani si estenderà su 14 ettari: dodici appezzamenti differenti, l’innata vocazione per il vino, una sfida per il futuro che parte dal presente ma affonda le sue radici in un passato remoto. E un’idea su tutte. Salvare i terreni dall’abbandono reimpiantandoli a vigneto. Lucia Monti, dal 2009 a capo delle Cantine Tommasone, sorride e racconta. E’ il volto dell’azienda, si definisce una “factotum”, in verità è un’enologa ed imprenditrice illuminata che coniuga il rigore teutonico (la madre è tedesca e ha vissuto a lungo in Germania) con l’affabile semplicità dell’italiana del Sud: due anime contrapposte, che in lei paiono fondersi alla perfezione. E quella di Tommasone è una storia vitivinicola familiare, vi si intrecciano aneddoti e leggende, storie di vita vissuta e di passione per la terra (e per l’isola): da Tommaso, per tutti Tommasone, ad Antonio il figlio, che provò l’avventura della ristorazione in Germania, dove sposò Birgit, la mamma di Lucia. La fiammella della vinificazione, però, è sempre rimasta accesa. E alla fine degli anni ‘90, il richiamo dell’isola rinverdì i fasti del passato. Nel 2004 le prime uve, nel 2005 le prime bottiglie. Intanto, Lucia cresceva e si costruiva una professione, che in realtà ne comprende mille: oggi, ha ben salde le redini dell’azienda. Che omaggia la tradizione dell’isola sin dal nome dei primi due vini, Pithecusa Bianco e Pithecusa Rosso.
Da Lacco Ameno a Forio, passando per Serrara Fontana: la superficie vitata abbraccia piccoli tenimenti presi in gestione sottraendoli all’incuria, un messaggio chiaro e preciso all’isola che riscopre la terra per davvero. Forastera, Biancolella, Fiano e Falanghina per i bianchi, Piedirosso, Aglianico e Montepulciano per i rossi. Varietà autoctone e importanti vitigni campani e non concorrono a costituire una gamma di vini di qualità, che raccontano una viticultura che si sviluppa nelle micro-particelle che compongono l’universo Tommasone. Lo facciamo da anni: la nostra filosofia è chiara, i nostri vini derivano dall’uva che coltiviamo direttamente. Non è semplice, naturalmente. Molti dei terreni abbandonati sono inaccessibili e logisticamente complicati da gestire. Così, siamo costretti a tenere in considerazione anche le nostre esigenze aziendali, prima di tuffarci in nuove avventure: le ultime ci hanno portato ad abbracciare due ettari divisi su quattro apprezzamenti, e ne siamo orgogliosi. I nuovi terreni, ad eccezione della Tenuta Calitto della signora Sachs, a Panza, raccontano di un passato, più o meno antico, di vigneti. Ma a Citara, per esempio, reimpianteremo un terreno che non è più coltivato da almeno settant’anni, neanche i proprietari ne hanno più memoria. E’ un messaggio all’isola, perché ai nostri figli dobbiamo lasciare un territorio bello e curato, e insieme una scelta che conviene: i terreni abbandonati spianano la strada alla flavescenza dorata, uno dei principali problemi della viticoltura isolana. Quella di quest’anno è la sua settima vendemmia. Bilancio positivo? Direi di sì. Abbiamo ricavato 1.300 quintali di uve da dodici ettari di vigneti, suddivisi ad oggi su otto tenute. Abbiamo registrato un incremento del 10% rispetto al 2015: alcuni vigneti giovani sono andati in produzione per la prima volta. Il bilancio quantitativo, complice un’estate non troppo secca, è decisamente buono. E la qualità? I vini bianchi e il rosato, che deriva da una lavorazione analoga, hanno profumi intensi. Si prospettano ottimi anche i rossi. Produrremo 110 mila bottiglie circa, complessivamente. Ma la vera novità riguarda il rosso Per ‘e Palummo di Monte Zunta. Esattamente. E’ una vigna giovane, impiantata nel 2012. Piccola, ma bellissima: dal punto di vista paesaggistico, affacciando sulla torre di Sant’Angelo, e da quello della qualità della produzione. Raccogliamo Per ‘e Palummo da due anni, un’uva meravigliosa. Al punto che abbiamo deciso di dedicarle un Cru ad hoc, già nell’annata 2016. Saranno bottiglie esclusive, in tutto circa duemila: si chiamerà Tenuta Monte Zunta, un prodotto di nicchia, destinato alla ristorazione di qualità dell’isola, ma anche all’esportazione per intenditori. Avrà un packaging importante, stiamo studiando un’etichetta particolare: sarà una sorpresa. Usciremo intorno a settembre prossimo. E intanto c’è lo spumante che fermenta. Sta fermentando in bottiglia dal 2 giugno 2015, è necessario altro tempo. Per gioco, abbiamo aperto una bottiglia con i miei genitori quest’estate, promette bene. Saranno in totale duemila litri, un prodotto totalmente nuovo per noi che uscirà nel 2018. La crescita del turismo enogastronomico, i numeri interessanti della manifestazione dedicata al mondo del vino locale “Andar per cantine”, il trend positivo di alcune aziende: il volto agricolo dell’isola sta vivendo un momento fortunato? C’è sicuramente un processo positivo in atto, che abbraccia anche la crescente alfabetizzazione dell’utente medio, che arriva da noi con una cultura del vino inimmaginabile fino a quindici anni fa. Ma restiamo costretti a guardare oltre l’isola: la vendita a Ischia non garantisce la sopravvivenza, gli albergatori continuano – anche in virtù delle politiche tariffarie al ribasso – a proporre vini di fuori, più economici. Qualcosa è cambiato nella ristorazione, dove la stragrande maggioranza degli operatori propone i vini isolani. Per fortuna, siamo ormai lontani dalle carte dei vini di vent’anni fa, dove si spingeva il prodotto dell’Alto Adige o della Sicilia. Ian D’Agata, grande esperto a livello internazionale e raccontatore del mondo del vino, ha sottolineato a Ischiacity le potenzialità inespresse di un’isola che vanta una Doc che ha appena compiuto 50 anni e una tradizione vitivinicola millenaria, sintetizzata nella Coppa di Nestore. Potremmo fare di più, suggerisce. E’ d’accordo? Io direi che Ischia ha numeri naturalmente limitati, in termini di produzione, data l’estensione del suo territorio. Detto questo, Cantine Tommasone, oggi, arriva in Giappone e Stati Uniti, Hong Kong e Germania, in Belgio e in Svizzera. In Italia registriamo una crescita del 20%. Quanto all’appeal dei nostri vini, paghiamo certamente dazio al fatto che Ischia sia poco conosciuta, a Copenaghen, per esempio, il nome dell’isola non evocava granché. E il vino è veicolo del territorio, non a caso Toscana e Piemonte sono realtà che tirano. Inoltre, Ischia paga le defaillances, in termini di marketing territoriale legato al prodotto vino, della stessa Campania, forse anche penalizzata dagli effetti deleteri del clamore legato alla Terra dei Fuochi. Ciò detto, itinerari del vino che abbraccino Ischia sono logisticamente complicati: non possiamo importare il modello delle Langhe, per esempio. Possiamo però puntare sull’enogastronomia di qualità, legata alla nostra specifica identità. Come nasce, professionalmente, Lucia Monti? Ho aiutato mio padre nella ristorazione in Germania, ho trascorso 10 mesi in un’azienda in Friuli, restando incantata dall’amore verso il territorio espresso in quella regione, un modello che ho provato a trasferire a Ischia, dove sono tornata nel 2009. Prima, ho lavorato presso un’azienda vinicola anche in Germania, in alternanza con la scuola, facendo teoria e pratica. Guidavo il trattore, facevo la potatura, tre anni di esperienza vera. Che oggi mi hanno portato ad essere quella che sono: da enologa (insieme al mio fidanzato Giuseppe Andreoli) a responsabile della promozione e delle vendite, una vera ‘factotum’! Un anno, pensi, mi sono occupata in prima persona della potatura dei vigneti…
Cantine Tommasone Via Provinciale Lacco, 98 (loc. Fango) Lacco Ameno Tel. 081. 3330330 – www.tommasonevini.it FB Cantina Tommasone Si può visitare la Casa Vinicola e fare degustazioni