OGGI SI ARRAMPICANO FINO ALL’EPOMEO SOPRATTUTTO I TURISTI, GLI APPASSIONATI DI TREKKING, I CACCIATORI, E QUANTI COLTIVANO ANCORA UN ORTO LASSU’. MA PER SECOLI LA CIMA DI S. NICOLA E’ STATO EREMO PER RELIGIOSI, RIFUGIO DAI PIRATI, SIMBOLO PER TUTTA L’ISOLA. E NON SOLO.
Salire su una cima, qualunque sia la sua altezza, rappresenta un momento sempre speciale, come se l’ascesa – e le fatiche che comporta – preparasse a vivere il momento in cui “si contempla il mondo dall’alto”. E a renderlo unico. Da qui il fascino che sprigiona il monte Epomeo, la “cima” dell’isola d’Ischia, 787 mt s.l.m. raggiungibili da più punti, attraversando boschi e radure per “conquistare” il cocuzzolo. Completamente spoglio, solo il tenero tufo scavato dallo scorrere dell’acqua e dal vento che vi batte incessante, da lassù lo sguardo abbraccia tutta l’isola: non a caso i Greci, precoci abitatori dell’isola d’Ischia, dove fondarono nell’VIII sec. a.C. Pithecusa, la più antica colonia greca nel Mediterraneo Occidentale, lo battezzarono Epopon, parola che deriva dal verbo greco epopao, e che significa “luogo da cui si può vedere ampiamente intorno” ed Epopon è ricordato come nome dell’altura più elevata di Ischia per esempio dal naturalista romano Plinio il Vecchio. Tuttavia, il nome del monte così come viene battezzato oggi – Epomeo – è frutto di un errore e di una particolare concomitanza di eventi. Infatti, il termine Epomeo (invece di Epopeo) si ritrova nello storico Strabone, a causa di un banale errore di copiatura del testo dell’autore greco da parte di uno degli anonimi copisti cui si deve la salvezza di tante opere del mondo classico durante il Medioevo. E questa forma errata è stata adoperata ampiamente in uno dei testi fondamentali per la storia dell’isola d’Ischia, il libro dedicato alle acque termali dal medico Giulio Iasolino, che lo scrisse nella seconda metà del Cinquecento e ignorava la forma corretta Epopeo. Il nome Epomeo troneggiava anche al centro della carta geografica dell’isola allegata all’opera di Iasolino, dove si legge MAXIMUS MONS EPOMEUS: a partire da quel momento è stato adoperato nelle tante mappe dell’isola che da questa prima derivano e si è consolidato, per divenire infine, oggi, il toponimo con cui è conosciuta la vetta di Ischia. I panorami sono a volo d’uccello: sotto la distesa vellutata del bosco della Falanga, di fronte i promontori che articolano le coste dell’isola – da S. Angelo a punta Imperatore al Soccorso con la candida chiesa protesa sul mare. E, poi l’altro versante: dai Maronti, attraverso monte Cotto, i piani di Testaccio, monte Vezzi, fino alle colline di Campagnano, sullo sfondo Capri e la penisola Sorrentina. Più vicini, in serrata successione Procida, capo Miseno, il golfo di Pozzuoli e l’isoletta di Nisida, capo Posillipo… E ancora, la costa laziale, i Campi Flegrei, Lago Patria e il Fusaro, Monte Nuovo, Napoli, il Vesuvio. Per questa ragione, quassù per secoli è stato attivo uno strategico punto di avvistamento e rifugio: in asse con quello di monte Vico, sull’omonimo promontorio di Lacco Ameno, infatti e con quello che si trovava sulla collina dei Camaldoli, a Napoli, consentiva di inviare (usando segnalazioni di fuoco o di fumo) precoci allarmi per avvisare la popolazione dell’avvicinarsi delle temibili navi saracene, e consentirle, così, di mettersi in salvo, anche sulla cima stessa, dove erano stati realizzati dei ricoveri. Che erano conosciuti come Bastia ed hanno costituito il primo nucleo di architettura spontanea del monte Epomeo; poi si è aggiunta la chiesetta consacrata a S. Nicola (che è anche il nome con cui il monte è stato chiamato popolarmente per secoli), esistente sicuramente già alla metà del ‘500, mentre le cellette del convento furono costruite, invece, alla fine dello stesso secolo, quando la nobildonna Beatrice Quadra, vedova consacratasi alla vita monastica come clarissa, vi si stabilì insieme alle sue compagne. In breve, però, le difficoltà pratiche e la rigidità del clima d’inverno le fecero trasferire sul Castello; ma è quando vi giunge fra’ Joseph D’Argout che gli ambienti destinati ai religiosi vennero ampliati, la chiesa abbellita e fu stabilita la Regola che scandiva la vita dei suoi abitanti. Fra’ Joseph D’Argout, fiammingo, portò, infatti, nella sua ‘seconda vita’ da religioso, la determinazione, il senso dell’ordine, le capacità di comando che avevano caratterizzato la prima parte della sua esistenza, quando fu il comandante del Castello. Nel 1734 era giunto a Ischia come comandante della flotta che seguì il re spagnolo Carlo III di Borbone quando questi riconquistò il regno di Napoli, togliendolo agli Austriaci. In quell’occasione fu nominato comandante e governatore del Castello e quando due suoi sottoposti disertarono fuggendo sull’Epomeo, egli li seguì per riportarli indietro. Nel momento in cui li stanò sulla montagna e cercarono di ucciderlo, fece un voto a S. Nicola: se si fosse salvato, avrebbe consacrato la propria esistenza a Dio. Così fu e indossò fino alla morte, nel 1778, il saio degli anacoreti insieme ad altri ex militari, suoi compagni. L’istituzione che aveva organizzato con molta efficienza – provvedendo ad acquistare anche dei terreni in modo che i frati potessero provvedere al loro sostentamento – gli sopravvisse: fino agli inizi del ‘900, infatti, il luogo fu abitato e, molto spesso, i religiosi erano di origine tedesca.
Oggi, l’eremo e la chiesa dell’Epomeo sono proprietà del comune di Serrara Fontana, che ha dovuto affrontare una questione di difficile soluzione, vale a dire la gestione di un bene prezioso, importante per l’identità della comunità e per il quale – però – si deve reinventare una nuova funzione, diversa da quella per la quale la struttura era stata creata e che era quindi perfettamente coerente con essa, pena il perderla in modo definitivo. E Serrara Fontana, come ribadisce il sindaco Rosario Caruso, ci sta lavorando da tempo per ristrutturare i luoghi e ottenere un cambio di destinazione. Per un certo periodo, infatti, negli anni ’90, l’eremo ha ospitato anche un ristorante; adesso si pensa di crearvi un museo. Grazie ai finanziamenti regionali ottenuti nel 2014, infatti, si sono potuti completare il restauro della chiesetta e i lavori di riqualificazione degli ambienti interni, che sono stati inaugurati lo scorso luglio, mentre successivi interventi forniranno la struttura di servizi e miglioreranno l’accessibilità della strada. Chi arriva fin lassù, e sono sempre più numerosi, potrà ammirare di nuovo i paesaggi che si contemplano dalle finestre (sbarrate per ragioni di sicurezza, poiché affacciano su uno strapiombo): sono di quelli che ti restano dentro, centinaia di metri di vuoto e poi le soffici chiome dei boschi sottostanti; in fondo il tramonto nel mare di Forio.
La sommità del monte Epomeo, con il panorama, l’architettura dei luoghi e la presenza dell’eremo è protagonista anche di molte opere di vedutisti romantici: in questa pagina Léopold Robert ritrae un eremita che riceve in dono frutta da una ragazza in costume ischitano (1827). Nella pag. seguente, è di un Anonimo, la gouache con il suggestivo notturno a volo d’uccello che riprende Vivara, Procida e la terraferma; nella pag. successiva, la stessa visuale è stata preferita da Giacinto Gigante per il suo olio (1835) dalla magnifica luminosità.
text_Silvia Buchner | photo_archivio Ischiacty