Giorgio Albertazzi, Toni Servillo, Lina Sastri; poi Pietro Greco e Paolo Franchi, Andrea Cerroni, Carlo Borgomeo, Sergio Ferrari; e, ancora, Loretta Napole- oni, Gianni Mura e Francesca Rigotti, Costanza Gialanella, Alessandra Benini e molti altri, per un elenco di protagonisti e partecipanti lungo e avvincente. Tutti «dentro» Il Contastorie, il festival organizzato dall’associazione Ter- ra presieduta da Franco Iacono, con il contributo della Regione Campania e il sostegno della Camera di Commercio: appuntamento settembrino su «l’opera e l’autore, la memoria e il racconto, il passato e il presente», che aveva un baricentro e una definizione preliminare sul piano comunicazio- nale, provare a storicizzarsi. Dopo il doppio start-up del 2011 e dello scorso anno, la terza edizione della kermesse, al di là del tourbillon di eventi, aveva pure una sfida dalla quale prendere lo slancio decisivo: la dedica globale dell’iniziativa a Hans Werner Henze, compositore tedesco, il fiore più esotico tra i grandi che scelsero l’isola come ‘buen retiro’, nel secondo dopoguerra.
C’era il rischio dell’autoreferenzialità del ricordo, l’amarcord, la trappola ole- ografica a meno di un anno dalla morte del musicista. Il dinamismo intuitivo di Iacono, i rigorosi apporti testuali di Laura Novati, responsabile culturale del progetto, il contributo di Gastón Fournier-Facio e di Roberto Bertinetti, di studiosi, attori e musicisti, hanno – nella celebrazione dell’attesa giornata clou per Henze – aggirato molti ostacoli e freni, legati alla formula «evene- menziale» della manifestazione. Sono stati fissati mattoni importanti. Il festi- val, va detto, non solo è riuscito a ospitare momenti di spicco, ma ha percor- so una serie di strade alla ricerca del proprio senso che verrà, passando dagli spettacoli alla formula colloquiale, dalla poesia al teatro, dalla canzone alla lirica, dalla presentazione di libri ai convegni specialistici, disponendo tasselli, tessere e tappe orientati verso quel «senso del sapere» da costruire insieme. Da ricostruire. Come in un cantiere aperto. Ed è stata una sensazione grade- vole, mentre si dipanava il successo delle mattinate a Villa Arbusto o al Liceo; dei pomeriggi “a ora insolita”, alla Colombaia; e degli incontri alla Biblioteca Antoniana, che hanno fatto da corollario alla fiumana popolare delle serate di Sant’Angelo (Servillo), Palazzo Bellavista a Casamicciola (con Albertazzi), Ischia Ponte (la «chitarrata» prima, poi, lo show di Mimmo Maglionico, Alfio Antico e Pietrarsa), del Soccorso a Forio (Lina Sastri).
Ma è su Henze che bisogna aprire il discorso. Il giorno di Hans Werner, il figlio ante-litteram per alcuni anni, di Lucia Cucuruzzo maritata Capuano, ha ricucito uno strappo mnemonico. La parziale saldatura del debito d’ono- re contratto dall’isola, e da Forio, nei confronti del compositore tedesco è un dato sostanziale che lo scenario della kermesse ha – clamorosamente – messo in rilievo grazie a un accorgimento non progettato. Le ore trascorse a ridosso del litorale di San Francesco, durante il primo cerimoniale comme- morativo; e poi gli intensi rendez-vous pomeridiani, serali e notturni vissuti alla Colombaia viscontiana, non hanno evocato soltanto i miti ma hanno regalato una verità che non si può smentire: a Forio la sonorità della luce, paradigma sinestesico della contemporaneità artistica, è ancora intatta. E questa dimensione privilegiata ha favorito il gesto di riappropriazione – con gusto sciovinistico – di alcune delle atmosfere generatrici della musica di Henze, 60 anni dopo il suo soggiorno ischitano. Una musica che continua a fluire nel bacino idrografico della modernità, ma esondando da quella cosiddetta società liquida che poco o nulla, a volte, riesce a stringere tra le mani. Complessa, concettuale, impegnativa, la sua produzione ha attra- versato la seconda metà del Novecento. Un arco temporale lungo che, al di là dei tanti e dichiarati tributi – dal Serialismo al Barocco napoletano e a Gustav Mahler; per evidenziarne solo alcuni, tra quelli citati nell’ambito della giornata d’ascolti e confronti a lui dedicata –, non impedisce di sot- tolinearne l’originalità proteiforme e l’importanza. L’esperienza festivaliera ha sistemato dei massi per attraversare il guado di quel suo fiume a tratti melanconico, umbratile; e solare ma senza abbagli, tacitianamente tedesco e un po’ titanico, ma gioiosamente contaminato dalla relazionalità all’italia- na. Calore, umanità e visionarietà. A Ischia il giovane Hans ne aveva fatto i primi assaggi, prima di eleggere l’Italia a patria definitiva, scegliendo infine l’oasi postrinascimentale della villa La Leprara a Marino. La tappa cruciale, allora, fu a via Cesotta, a Forio che, all’inizio degli anni ’50, era un percorso rurale punteggiato di casolari, colorato di fiori, limoni e spezie, avvolto da salsedine e aromi forti, non lontano dal mare sovrastato dalla falesia di Punta Zaro. Proprio a Forio anche Eduard Bargheer, il pittore di Finkenwerder che, fin dal ’39, era diventato un’icona del Bar Internazionale di Maria, decise che il giovane compatriota Hans Werner Henze dovesse trovare una dimen- sione domestica per un bel po’. E, dal 1953, per tre anni, il musicista elesse quello spicchio di eden vulcanico, giardino sensuale di avventure artistiche e umane, a laboratorio ideale di una creatività straordinaria. Una storia che Il Contastorie ha raccontato. Per tutti.
text_redazione Ischiacity | photo_Dayana Chiocca,Ciro Di Raffaele, Luca Fiorentino